Capitolo 9

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02 luglio 1911
Al largo del Lago Michigan

Fu la sirena di una nave a risvegliare Luca dalle preoccupazioni che si stavano annidando nel suo cervello, che lavorava a macchinetta da più di mezz'ora. Si passò la mano ruvida e callosa sul viso puntellato di schizzi di acqua, cercando di riprendersi completamente: si era scordato di quanto fosse estenuante lavorare su una peschereccio per giorni e giorni, senza mai fare una pausa o trovare un modo per distendersi completamente ma, per sua immensa fortuna e gioia, avevano preso già da un paio di ore la rotta per ritornare verso il porto di Chicago. Non gli importava nemmeno di tornare a casa in quelle condizioni, con il volto sfatto dalla stanchezza e dal vistoso tremore alle mani dovuto al messaggio ricevuto poco prima, una serie criptata di punti e linee che gli avevano fatto schizzare il sangue al cervello dall'emozione.

Si fermò ad osservare il tramonto con sguardo malinconico: il lago Michigan sembrava essere una distesa infinita che si perdeva all'orizzonte, mescolandosi con il cielo che pian piano si tingeva di viola. Ogni tanto si alzava la foschia, rendendo il tutto misteriosamente affascinante: forse era per quel motivo che amava andare al largo e restare in mezzo all'acqua perché solo lì riusciva a sentirsi finalmente libero, lontano da tutto e da tutti ma in quel momento non vedeva l'ora di ritornare a casa. Sogghignò all'idea di poter finalmente riabbracciare Angelica e di baciarla con passione... 

Tutto stava andando per il verso giusto: la famiglia che si allargava, un matrimonio felice, ... e persino le cose tra Vincent e Joe che sembravano essersi appianate del tutto. "Forse è solo la calma prima della tempesta..." Pensò però amareggiato, lasciando ciondolare le braccia oltre il parapetto della nave con i ricordi di più di un anno prima che gli frullavano il testa.

«Stiamo per attraccare, capo» Gli urlò ad un certo punto un ragazzo uscito dalla cabina.

Luca girò lo sguardo di tre quarti, abbastanza da fargli un cenno di assenso prima di staccarsi dalla ringhiera. Diede due colpi a pugno chiuso al metallo e si stiracchiò, avviandosi con le mani in tasca verso il ponte di prua. Si fermò chiudendo gli occhi e inspirando a fondo. Chicago si stagliava a poche centinaia di metri con tutto il suo fascino: le gru portuali, i grandi palazzi in piena costruzione e quell'odore di casa che già riusciva a percepire.

Si precipitò verso casa a bordo dell'auto che il cognato gli aveva fatto trovare pronta subito fuori dai moli, finché non si ritrovò sul vialetto che lo separava dalla sua donna. 

Aprì la porta con una frenesia tale da farla sbattere contro il muro e, senza nemmeno curarsi di richiuderla, si fiondò al piano di sopra dove si sentivano delle grida concitate. Non appena fu sul pianerottolo individuò subito Vincent, fermo e in piedi davanti alla camera degli ospiti con le braccia conserte. Luca era incredulo: non si capacitava di come riuscisse a restare statuario nonostante la situazione, mantenendo oltretutto quel suo solito portamento duro e fiero che lo contraddistingueva. Non poté neppure fare a meno di chiedersi se si era comportato allo stesso modo anche quando era nato Antony.

«Sei arrivato finalmente» Gli disse quest'ultimo girando lo sguardo nella sua direzione.

«Ho fatto rotta indietro appena ho ricevuto la comunicazione!» Replicò Luca a fiato corto, spostando lo sguardo sulla porta chiusa subito dopo. «Come sta andando?»

Il moro alzò le spalle, scuotendo appena la testa. «Sono tre ore che aspetto e non è ancora venuto nessuno a dirmi nulla. Spero stia bene» Mormorò piano. «Ormai dovremmo esserci»

L'altro uomo si abbassò per respirare meglio e si sedette su una panchina che adornava il corridoio, lasciando la testa ciondoloni per qualche istante rimanendo in silenzio. «Grazie per tutto, ti devo un enorme favore»

Vin sogghignò. «Non potevo certo lasciare mia sorella da sola in un momento così importante»

«Sarei dovuto esserci io al tuo posto... Doveva proprio arrivare due settimane in anticipo, eh?» Scherzò.

Il cognato gli si avvicinò per dargli una sonora pacca sulla spalla. «L'importante è che sei qui ora, in fondo sono solo rimasto in piedi dietro una porta a farmi venire un gran mal di schiena. Non devi preoccuparti» Tentò di consolarlo.

Luca annuí ma, mentre stava per aprir bocca un'altra volta, un urlo più forte degli altri li fece voltare di scatto. A quell'urlo si mescolò in seguito il vagito stridulo e lamentoso di un neonato: il più giovane si bloccò di colpo per poi lanciarsi contro la porta in legno aprendola con tutta la foga che aveva in corpo, come in preda ad una scarica di adrenalina.

In piedi, al centro della stanza, una balia teneva in braccio un fagotto di lenzuola bianche che lasciava solo intravedere una faccina rosa e grinzosa che strillava a più non posso. Lo sguardo in seguito si spostò subito verso il letto, dove un'altra donna si stava prendendo cura di Angelica: quando le lasciarono prendere in braccio il bambino, sul suo volto stremato e lucido di sudore comparve il sorriso più bello che Luca avesse mai visto in tutta la sua vita. «Auguri cara, è un maschio!» Le disse la balia, con tono vivacemente cordiale.

Angelica scoprì leggermente il viso del bambino appena venuto al mondo, ammirandolo entusiasta come se avesse appena finito di dipingere un quadro spettacolare. «Ciao piccolo Andrew...» Gli sussurrò dolcemente prima di girarsi verso il marito che, da quando era entrato, non aveva mosso nemmeno un muscolo, paralizzato dalla forte emozione appena provata.

«Coraggio, mister Sileo, vada a vedere suo figlio» Gli disse il medico mentre si assicurava delle condizione della donna. «Sembra in perfetta salute, questo è un buon segno» Lo sentì borbottare dopo.

Luca deglutì vistosamente avvicinandosi al letto ma il suo volto teso e scosso si sciolse in un caldo sorriso rivolto alla sua famiglia appena allargata, mentre il cuore iniziò a battere felice come mai prima di allora non appena suo figlio lo guardò dritto negli occhi con un mugugno divertito.

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