Capitolo 7

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Mi gira la testa.

Mi sento come in una giostra, che gira senza controllo.
Mi sento come in un barca in mare aperto e in piena tempesta.
Dondolo, barcollo, non cedo.
Non cedo perché non realizzo, non cedo perché la rabbia mi mantiene in piedi.
Odio questa stanza, mi fa sentire costretta.
Fa caldo, ho tutto il collo sudato, i capelli a formare piccoli ricci, la frangetta spettinata.
Mi alzo dal letto e vado in bagno a lavarmi il viso; ho i puntini sbavati, ma non mi interessa.
Prendo il pacchetto delle sigarette, ne ho solo due.
"Bene" dico tra me e me, questa notte ce ne vorrebbero 10 per placare il mio umore.
Mi ficco un pantaloncino al volo ed esco dalla camera, intenta a fumarmene una all'aria aperta.
Arrivo al primo piano con l'ascensore, sbagliando, ma noto due grandi finestroni affacciarsi su una terrazza.
Esco e decido di andar lì.
E' immensa e quasi buia, pochi faretti dalla luce soft ad illuminarla dal basso.
E' calda e famigliare, silenziosa, si sente solo il rumore del mare.
Riempio i polmoni d'aria fresca, l'odore del sale mi inebria le narici.
Non amo particolarmente il mare, ma di notte mi sa di quiete e di pace, ma anche di frastuono e caos.
Proprio come me; scuro, violento quando si infrange sugli scogli, dolce quando lento si appoggia alla riva.

Un contrasto perfetto, un'armonia di opposti.

E non posso che pensare a lui, anche questa sera, anche questa notte.

La attraverso fino a raggiungere la balconata, mi ci appoggio con i gomiti e mi accendo la sigaretta.
Per qualche minuto mi si annientano i pensieri, ho la testa vuota e leggera, il vento mi fa rabbrividire quando mi sfiora la nuca e il petto scoperto da questa maglia a V un po' troppo oversize.
Una mano mi afferra la sigaretta tra le dita, la spegne sul bordo della facciata prima di gettarla giù.

La riconosco.
Riconosco i suoi bracciarli e riconosco quell'anello.
Riconosco quel profumo, riconosco il ritmo del suo respiro che mi accarezza la spalla.
Chiudo gli occhi per un istante, la mente si riaccende, così come la rabbia, l'eccitazione, la voglia di baciarlo, di farci l'amore, di rinfacciargli il male che mi ha fatto, di mandarlo a fanculo, di dirgli che lo vorrei nella mia vita, di urlargli di andarsene.

"Tish" lo sussurra, piano, il suo soffio raggiunge il mio orecchio destro.
"No" e mi scanso.
Quei brividi, cazzo.
Mi volto e lo guardo, per poi prendere l'accendino.
"Resta, ho bisogno di parlarti" e sussurra, ancora. Quasi supplicante, quasi arreso.
E mi fermo, non proseguo verso l'uscita.
Prendo un respiro prima di tornare indietro, un respiro che non riesce a placare la mia impulsività.
"Beh, io no. Io no Alberto, io non devo parlarti di nulla" mi ci metto di fronte, le braccia conserte sul mio petto sfiorano il suo.
"Hai la pelle d'oca" prova a sfiorarmi un braccio con un dito, ma mi ritraggo subito al contatto.
"Ma ci fai o ci sei? Ma mi dici che cazzo vuoi da me? Sembra che tu mi prenda per il culo ed io per il culo non mi ci faccio prendere"  alzo un po' troppo il tono della voce, me lo fa presente poggiandomi una mano sulla bocca. Rimane così, per qualche secondo, giusto il tempo di immagazzinare il suo profumo presente sul polso. Poi glielo afferro e lo faccio scivolare via.
"Voglio parlarti e basta. Anzi" e si ferma. Il respiro è pesante, somiglia molto ai miei quando ho il petto oppresso e l'attacco d'ansia dietro l'angolo. Quando mi divora dentro qualcosa che non riesco a rigurgitare perché troppo presente e pressante.
E lo noto, anche quando si stringe le guance con una mano, quasi a convincersi di non dir nulla.
"Voglio sapere di Eugenio" non mi guarda, io sussulto.
Cala un silenzio assordante e questo spazio si fa più piccolo, si stringe attorno a noi quasi ad ingabbiarci.
Ad ingabbiarmi.
"No" replico, quasi senza accorgermene.
"Tish" e ad alzare il tono di voce adesso è lui. Secco.
"Voglio sapere di lui" non è una domanda, non è una richiesta. E' una imposizione.
Ha la mascella serrata, gli zigomi più pronunciati del solito.
E' teso, è un'immagine a cui non sono abituata.
"No" ancora. E non so il perché io continui  a negargli la possibilità di sentirsi bruciare, proprio come ho bruciato io quando ho visto le sue foto con un'altra.
E questa volta non aggiunge altro, mi fissa.
Gli occhi si scuriscono, le papille si restringono. Le labbra strette, i lineamenti duri.
Quasi non riconosco i suoi tratti.
Mi supera, senza dir niente.

"L'ho baciato" lo dico di getto. Si ferma, qualche passo dietro di me. Rimane lì, in attesa che io dica qualcos'altro che però non arriva.
"Lo so già. Dimmi di più" posso sentire il suo respiro farsi più veloce. Posso immaginare il suo petto muoversi cullato dai pensieri che lo stanno attraversando.
"Non ho nient'altro da dire" e faccio qualche passo in più, il giusto che mi serve per appoggiare le mani alla balconata.
"State insieme?" fa un passo, ma non fa in tempo a farne altri.
"Non è affar tuo. Basta, non dovrei neanche essere qui. Non abbiamo che dirci noi due e tu non dovresti neanche avere il coraggio di chiedermi certe cose. Che c'è, vuoi sapere i dettagli? Mi dispiace, certe cose io non le sbandiero ai quattro venti" sono di fronte a lui ora, si volta e posso vederlo andare in fiamme dinanzi a me.
Ha il viso rosso, gli occhi più lucidi del solito.
"Non dirmi che"
"Non dire che cosa Alberto, che cosa? Che ci sono stata a letto? Vuoi sentirti dire questo? Vuoi sapere se è successo o meno? Tra tutte le cose di cui dovresti preoccuparti a cosa pensi? A questa, ovviamente. E' il minimo che potrebbe accadere, a te non frega un cazzo di me. Dovresti pensare a come sto io, a come sono stata. A cosa penso, se ci penso. E invece è la tua solita e futile gelosia a prendere il sopravvento. Ti sfugge, ti sfuggono le cose importanti" e le ultime parole mi si fermano in gola, perché la morsa allo stomaco stringe di più e gli occhi mi si appannano.
"Stai dicendo una marea di stronzate!" si allontana, cammina, si muove frenetico, si apre la maglia con le dita. Ha caldo, i denti a stringere il labbro inferiore.
"Stai dicendo stronzate! Quando ti ho chiesto di parlarmi di lui volevo sapere cosa provassi, se ti facesse star bene. Cosa cazzo mi frega se ci sei andata a letto, io non voglio sapere e non volevo sapere neanche che l'avessi baciato!" urla, si ferma a qualche metro da me. Poggia le mani sulle ginocchia chinandosi leggermente, quasi a voler riprendersi un minimo di autocontrollo.
"Neanche io! Neanche io volevo sapere Alberto! E non solo ho saputo, ma ho visto. Ho visto!" mi avvicino a lui che indietreggia, mi sfugge, mi volta le spalle.
Appoggia le mani al muro, abbassa la testa.
Le luci tracciano il contorno delle sue spalle, delle sue braccia.
Il mio respiro torna a regolarizzarsi per un istante, proprio come il suo.
Siamo così colmi di cose represse, che quasi fatichiamo a starci dietro.
Abbiamo bisogno di pause, è tutto troppo forte.
Alzo lo sguardo verso il cielo, poche stelle.
La luna è piena, di un bianco candido, spicca nell'oscurità.

L'ossimoro del respiro mancatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora