Capitolo 5

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"Tish, Tish fermati!"
Lo ignoro, continuando a camminare con le cuffie dentro le orecchie.
Ho la canzone in pausa, ma non le tolgo. Almeno ho una scusa.
"Tish, cazzo" mi afferra il polso e si mette avanti a me.
"Allora le parolacce sai dirle anche tu" lo prendo in giro e mi libero dalla sua presa cercando di superarlo, ma mi si mette ancora di fronte bloccandomi il passaggio.
"Alberto, per favore spostati.
Sono stanca e voglio andare in camera" sono visibilmente irritata. Oggi si sta impegnando a far uscire il lato peggiore di me.
"Fai che vuoi, se davvero ci tieni e vuoi dirmi che cosa ti prende sai dove trovarmi" e mi volta le spalle senza aggiungere altro.
Arrivata in camera, saluto velocemente Federica e mi fiondo nella doccia.
Non vorrei neanche scendere a cena, non vorrei neanche vederlo, in realtà non ho neanche così tanta fame.
Decido, alla fine, di scendere giù. Ma questa sera son troppo stanca e do il peggio di me presentandomi a cena senza trucco.
Esclusi i puntini, quelli sempre al loro posto.
Alberto è li, al nostro tavolo ed è solo.
Al tavolo accanto ci sono Jefeo e Ludovica, la maggior parte è già andata via.
Cerco di cenare il più veloce possibile, ho solo voglia di andarmene a letto.
Lui ha finito già da un po', ma resta lì.
Forse attende che io vada a parlargli dato che non mi stacca gli occhi di dosso per tutto il tempo.
Finisco e mi alzo, mentre tiro fuori dalla tasca il pacchetto delle sigarette.
Mi siedo ai soliti divanetti presenti all'esterno mentre me ne accendo una.

"Possiamo parlare, per favore?"
ha un tono estenuato, rassegnato.
"Non avevi detto che potevo far ciò che volevo e che avrei dovuto cercarti io?" il mio invece è il tipico tono da 'nordica fredda', proprio come mi definisce sempre lui.
"Tish basta, davvero. Mi vuoi dire che cos'hai? Sei sfiancante" si siede sulla poltrona accanto a me, poggiando i gomiti sulle gambe e guardandomi con insistenza.
"Alberto ti ho già detto qual è il problema.
Non andiamo d'accordo.
Io reputo importanti anche le cose più piccole, mentre tu no.
Non è detto che la mia visione sia giusta, ne sbagliata.
E' mia, è di Tish.
E si sa, non sono una persona facile da gestire" ora invece ho la voce tranquilla, apparentemente.
"Beata te, riesci ad essere così ferma, indifferente a tutto questo.
Evidentemente non sono così rilevante" fa per alzarsi, ma sento i passi fermarsi dietro di me.
"Non ti aspettare che ti rincorra" gli dico secca.
"Sai che c'è Tijana? Che io da te non mi aspetto proprio un cazzo.
Non ho mai preteso nulla da te, non ho mai preteso che fossi come tutte le altre, che avessi comportamenti conformi e banali.
Anzi, ti ho sempre spinto ad essere ciò che sei veramente, anche se sei lontana anni luce dal mio essere, anche se sei dannatamente fredda e lunatica, ingestibile, asfissiante, stressante, soffocante.
Anche se faccio fatica a gestirti, io da te, non ho mai preteso niente.
A parte una cosa, lasciarmi l'opportunità di scoprirti.
Di scoprirti per davvero, conoscere quel lato di te che fa da contrasto a tutti gli aggettivi che ho utilizzato poco fa per descriverti.
E so che c'è.
Lo so perché è tra le mie braccia che hai pianto, in maniera inconsolabile.
E' tra le mie braccia che sei caduta con tutte le tue fragilità.
Ed è tra le mie braccia che poco dopo hai sorriso.
Poco dopo mi hai regalato per la prima volta la parte più intima di te.
Io non dimentico, non posso"

**

"Ma basta" impreco spegnendo l'ennesima sveglia di questa mattina.
Sono le sette e mezza e devo ancora sistemare il vestito della serata in valigia e prepararmi.
Alle 9 ho il treno diretto per Riccione e giuro che vorrei darmi per dispersa o per ammalata.
Questi 10 giorni sono stati un inferno.
Da quel messaggio si son susseguiti giorni pesanti e lenti.
Giorni che ho passato chiusa in cameretta provando a riversare tutte le mie sensazioni su un pezzo di carta.
Ho scritto cose per poi accartocciarle e gettarle.
Ho scritto cose su cui ho pianto per ore, fino a farmi venire l'emicrania.
Ho scritto cose fino a notte fonda, addormentandomici sopra.
Ma il risultato è sempre stato lo stesso.
Patetico e struggente.
Ma non posso farne a meno.
Già.
Come non posso fare a meno delle sigarette, del mio ukulele, di mio fratello, della mia musica, dei miei amici, del mio locale preferito, della mia città, di te.
Dei tuoi baci da cui mi sono, ti sei, ci siamo sottrati.
Dei tuoi baci che mi immagino ogni volta che vedo una tua foto.
Quelli che ho chiuso dentro la scatolina delle polaroid.
Sai, ne ho una proprio dietro la cover del telefono.
Te lo ricordi?
Era il giorno prima che ci dividessero in squadre, avevamo da poco finito di cenare e avevamo deciso di passare la serata soli in camera.
Eravamo tutti tesi, emozionati e spaventati.
Soprattutto tu, o forse io.
Nessuno dei due ha osato esternarne il timore che aveva.
Eppure io di paura ne avevo eccome.
Ma non ce lo siamo detti, quella sera abbiamo lasciato parlare i gesti.
Le carezze, i baci, i sorrisi sulla bocca, le risate nella stanza, i sospiri, i profumi.
E poi una foto, questa, proprio questa che ora stringo tra le mani seduta al mio posto 14b di un Frecciarossa.
Ci siamo io e te di fronte allo specchio, tu che mi abbracci da dietro ed io che ho la tua maglia addosso.
Quella grande, quella che piaceva a me, quella che, a volte, io ancora indosso per dormire.
E provo ad immaginarmici anche il tuo odore sopra, ma la verità è che non mi riempie e non riempie la mia stanza da troppo.
La verità è che un po' faccio fatica a ricordarmelo.

L'ossimoro del respiro mancatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora