7. IL SIGNOR BRAMANTI

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Adoravo Misano Adriatico. Era un posto calmo e il mare era pulito.
Avevo sempre vissuto lì e non avrei mai pensato di trasferirmi altrove.
Poi, un giorno, era arrivato lui: Mario Rossi.
Sembrava un nome puramente inventato, lo so: Oh!, quanto avrei voluto che lo fosse!

Mario Rossi era un mio vecchio compagno di scuola, non lo vedevo da vent'anni ed era bisognoso di aiuto perché finito in un circolo vizioso di droghe e fritture miste che gli avevano fatto perdere il lavoro, la moglie e la sanità mentale.

Il mio animo infinitamente gentile era stato la mia rovina.
Lo avevo accolto in casa mia, spronandolo ogni giorno affinché trovasse una strada alternativa al traffico di droga e di fritture da asporto, e quando mi aveva detto che avrebbe coltivato i pomodori in soffitta avrei dovuto capire fin da subito che non era vero.

Insomma: i pomodori non si coltivano in soffitta, lo sanno tutti. E poi aveva tirato troppe prolunghe: c'erano prolunghe dappertutto! Prolunghe che partivano da ogni singola presa libera del mio appartamento, prolunghe che scomparivano sotto la porta della soffitta.

«È per ascoltare le partite alla radio», diceva.

Ma la bolletta della luce parlava chiaro...
Era tutto così evidente, ma io mi fidavo: io ero cieco.
Poi, una notte, un poliziotto vestito da tecnico dell'Enel aveva suonato alla porta.

«Devo controllare se il vostro impianto è a norma», aveva detto.

«Effettivamente negli ultimi mesi sto consumando più del solito», avevo detto io facendolo entrare.

Mentre gli preparavo il caffè aveva seguito le prolunghe. Aveva scoperto le piantagioni di marijuana in soffitta e aveva tentato di arrestarci.

«Vi dichiaro in arresto», aveva detto, «Mi bevo questo caffè e vi porto in Centrale.»
mentre il poliziotto metteva lo zucchero nel caffè eravamo scappati.

In fretta e furia, come due ladri, lasciando tutto.

Avevamo trovato rifugio in una vecchia pensione. La Pensione Stella, che si trovava a nord di Misano, in una strada fuori mano. Una struttura ricettiva che stava lentamente cadendo in rovina dopo la tragica scomparsa dei suoi proprietari: i coniugi Brennàn, una coppia innamoratissima.

Dopo che la loro unica figlia aveva deciso di intraprendere la carriera odontoiatrica, lasciando la gestione della Pensione ai genitori, le cose erano capitolate. I genitori erano scomparsi nel nulla lasciando la Pensione Stella nelle mani del Destino.
Si vociferava che la figlia fosse diventata una famosa e stimata dentista. Si vociferava che il suo studio, nella vicina Gabicce Mare, fosse stato scelto anche da Mattarella e da Papa Francesco per varie pulizie dentali.

Gli impiegati più affezionati avevano provato a prenderne le redini della Pensione Stella, e all'inizio sembrava andare tutto a gonfie vele.

Ma voci di corridoio narravano che tra quelle quattro mura accadevano fatti strani e inspiegabili, fatti che poi erano diventate vere e proprie leggende metropolitane.

Gli impiegati della Pensione se ne erano andati, la Giunta Comunale aveva fatto spallucce e la Polizia Municipale aveva continuato a far finta di niente. Dopotutto Misano voleva mantenere la sua facciata di paesetto banale e tranquillo, ché altrimenti le famiglie non sarebbero più andate in vacanza sulle sue spiagge.

Al nostro arrivo alla Pensione avevamo trovato il corpo di un cuoco dentro un congelatore, nascosto sotto a diverse confezioni di pesce da friggere. Al cuoco gli mancava una mano, che era stata insacchettata diligentemente in uno di quei sacchetti con la chiusura ermetica. C'era una scritta, sul sacchetto: la mano misteriosa.
Il nostro curiosare per le stanze ci aveva fatto scovare anche molte valigie ed effetti personali di ospiti lasciati a marcire nelle stanze ai piani di sopra.

Le camere erano un enorme caos, come se tutti gli ospiti fossero scappati all'improvviso, o fossero spariti: ciò non faceva altro che alimentare le dicerie su quella pensione dimenticata da Dio.

C'era di tutto: collezioni di francobolli, libri, vecchie riviste, gioielli, denaro, mutande e vestiti di tutti i tipi, costumi da bagno, giocattoli, persino due divise da poliziotto complete di cappelli, manganelli e pistole d'ordinanza.

Del cuoco non sapevo nulla. Non ne aveva parlato nessun giornale della sua scomparsa, mi ero perfino documentato a fondo su Google. L'unica cosa che poteva essermi utile era un tatuaggio sul suo polpaccio con scritto Carmen.
Doveva aver sofferto molto dal momento che gli era stata mozzata una mano e io ho sempre continuato a chiedermi il perché. Perché tanta brutalità? Perché era stato messo nel freezer? Perché l'artefice di quell'efferato gesto non aveva buttato il cadavere del cuoco nel porto, come fanno tutti? Possibile che il cuoco si fosse amputato una mano e poi si fosse rinchiuso da solo nel freezer?
Perché nel freezer c'erano tutte quelle confezioni di pesce pronto da friggere?

La mia vita, dopo la fuga rocambolesca da casa mia, era cambiata per sempre e molto probabilmente sarei invecchiato nascosto tra quelle mura insieme a Mario.
Preferivo non pensarci, quindi mi interrogavo sul cuoco.

Perché era senza mano? Una distrazione sul lavoro? Una scommessa? Una ritorsione?

Ogni ipotesi mi tartassava.

«Mettila nel microonde» aveva detto quel giorno Mario, mentre la spostavo per prendere una confezione di fritto misto da scongelare e cuocere.

«Perché?» mi ero accigliato: Mario se ne usciva sempre con proposte strampalate.

«Come perché? Magari la facciamo al forno, sono stanco di frittura».

«Non ti lascerò mangiare un cadavere!»

«Ma tanto a lui non serve più!» aveva indicato il cuoco morto che avevamo appoggiato momentaneamente sul bancone della cucina.

Avevo sospirato. Era un inferno. Misano era diventata l'inferno.
La mia voglia di non lasciare la città nonostante quello che era accaduto mi aveva fatto diventare prigioniero di quella Pensione. Sarei morto a Misano, sarei morto lì dentro.

«Dai, dai, dai, ti prego» aveva detto Mario. E io, come sempre, non avevo saputo dire di no.

Ogni volta che dicevo di no erano discussioni, discussioni che duravano ore. E io ero stanco.

Sarei morto a Misano, questo era vero, ma almeno sarei morto felice.
Avevo preso un bel respiro: i cadaveri mi hanno sempre stomacato, questo era vero, e anche se quel cuoco era un pretesto per non cedere alla noia, e per un certo verso mi ci ero affezionato, avevo agito. E con gli occhi chiusi avevo messo quel pezzo di carne ben conservata nel microonde, impostando il timer e sperando che Mario non se la mangiasse sul serio.

Poi ricordo di essere andato in bagno, questione di pochi minuti. Quando avevo fatto ritorno in cucina la mano non era più lì, e anche Mario era sparito.
Un moto di disgusto mi aveva ribaltato lo stomaco, ma che altro potevo fare?
Che facesse quel che gli pareva, importante era che mi risparmiasse la scena.

Avevo pensato più volte, in quei due anni, di andare alla polizia per far mettere Mario dietro le sbarre sperando di non essere accusato come suo complice.
Ma avevo paura, l'erba era pur sempre in casa mia. E Mario era pur sempre mio amico... i dannati sensi di colpa vincevano sempre.

No, non sarei mai stato capace di consegnarlo alla Legge. Sarei morto tra quelle quattro mura, lo sapevo.

Se non altro Mario, almeno, era pulito da due anni: nella Pensione avevamo trovato di tutto, tranne sostanze stupefacenti. Di droga neanche un grammo.
E dire che l'aveva cercata senza sosta, la sua amata Maria: come un pirata alla forsennata ricerca del tesoro...

LA MANO MISTERIOSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora