12. LA PENSIONE STELLA

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La torcia scivolò dalle mani di Romana, cadde a terra e si spense. Il buio pesto piombò su di loro, imprevedibile, come una scampanellata del rappresentante della Folletto di domenica mattina.
Booth si svegliò improvvisamente nella sua borsa.

«Meow!», disse allarmato anticipando i tempi.

«Andate all'inferno!», urlò il nuovo nemico dandosi la carica e lo slancio per assalire i tre assaltatori della sua base segreta. «Non mi avrete mai!»

Tutti e tre ebbero la prontezza di fare un passo all'indietro.

«Maria! Il nano parla...», esclamò inorridito Mario. La sua vocetta somigliava molto a un'altra vocetta, la vocetta con l'alitosi di Flavio, che infestava i meandri della sua memoria. «Non ti muovere, abbiamo le pistole cariche. Bang! Bang! Bang!».

Mario congiunse le mani a formare una pistola e il nano si bloccò di colpo.

Il signor Bramanti, preso da un eccesso di cavalleria, si portò in avanti nascondendo il delicato corpo di Romana con il proprio. Aprì i palmi mostrandoli al nano. O almeno quella era l'intenzione. Sperava che il nano fosse lì,ma non lo poteva sapere con certezza: era tutto troppo scuro.

Bramanti sentì la lama vibrare a poca distanza dalla sua pelle, e deglutì nervosamente, iniziando a sudare copiosamente e a pensare intensamente a un piano intelligente per risolvere quella situazione che, lo sapeva, non aveva niente di rassicurante. Evidentemente il nano ci vedeva anche al buio, mentre loro tre erano ciechi. Tre topolini ciechi.
Lo sapeva, sarebbe morto a Misano Adriatico: la città dove era nato e cresciuto. Che vita magra.

«Non ascoltare il pazzo Mario. Nessuno ti farà del male! Veniamo in pace», disse cercando di calmarlo.

«Voi non venite mai in pace!», protestò il nano sibilando come un serpente.

«Noi sì!», incalzò Romana con la sua voce suadente. «Io sono un'antropologa forense. Mi chiamo Romana. E tu?».

Il nano rispose con una domanda: «Che cosa sarebbe? AntroCosa... CosaOrense...?». Faticò a pronunciare quelle due parole che non aveva mai sentito.

«È un mestiere molto pericolos...»

Romana non fece in tempo a finire la frase che alle loro spalle, dall'imboccatura del tunnel si udì un grido e dei passi possenti che scuotevano l'oscurità.

«Bravi! Avete attirato qui i mostri!» urlò il nano sopra il baccano.

«I M... i M.... i M... i Mostri? Oh!, Maria: vieni e portami via!», farfugliò Mario andando in iperventilazione.

«Carrote! Carrote!», sbraitò la voce sempre più vicina.

«Carote?», domandò confuso Bramanti.

«È Carmen: ha detto correte!», si sbrigò a tradurre Romana.

Il nano aveva già cominciato a correre verso la fine del tunnel, verso la sua tana, e i tre lo imitarono.

Carmen arrivò qualche minuto dopo di loro. Bramanti pensò che doveva essere trafelata e molto probabilmente rossa in volto e grondante di sudore: l'olezzo che improvvisamente si era propagato nel corridoio segreto era una fitta che straziava i cervelli.

«Che cosa è successo, Carmen?», le chiese Romana andando a sostenerla a tentoni.

«Alfonsi...», disse concitata: «Alfonsi avevo una cannona lasor!»

Il signor Bramanti le guardò sbigottito: «Un cannone laser? Non voglio sapere dove...». Romana gli lanciò un'occhiataccia. 

«Chi ha acceso la luce?», chiese Bramanti.

LA MANO MISTERIOSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora