9. BOOTH

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Il fritto, alla fine, si era rivelato delizioso. Gamberetti sgusciati, calamari, filetti di merluzzo impanati. Gnam.

Me ne stavo sotto la sedia della padrona, a leccarmi la zampa come al solito, ma con le orecchie dritte per ascoltare la conversazione che si stava svolgendo oltre la tovaglia a quadrettoni bianchi e rossi.

«Quasi quasi me ne preparo un'altra porzione», aveva detto Mario. Poi si era alzato dalla sedia e si era diretto in cucina.

L'avevo seguito, ché quel pazzo non me la raccontava mica giusta.

Arrivato in cucina Mario si era immobilizzato e aveva incominciato ad annusare l'aria. Lo avevo imitato, ma l'odore di fritto copriva ogni altra traccia: possibile che quell'essere umano avesse un olfatto migliore del mio? Meow...

Mario, in stato di trance, aveva mollato il suo piatto sopra il bancone d'acciaio che ospitava il cuoco Alfonso ed era sparito nella cella frigorifera: cosa ci era andato a fare?
Mi ero avvicinato, silenzioso come un gatto, e avevo spiato.

Mario era lì, in piedi davanti a un grande scaffale di ferro, il dito indice che rimbalzava nell'aria rivolto verso i numerosi contenitori che ne ingombravano i ripiani. Stava contando.
Arrivato al numero trentasette si era fermato e aveva tirato giù dallo scaffale una lattina formato famiglia di wurstel di pollo. Gnam.
Aveva sbattuto il contenitore, lo aveva guardato e riguardato e poi lo aveva messo a posto.
Poi aveva ricominciato a contare di nuovo, e questa volta, arrivato al trentasette, aveva estratto dallo scaffale una lattina formato famiglia di carote lesse.

Un sonoro clang mi aveva fatto drizzare la coda: non potevo credere ai miei occhi!
Una porta, che prima era completamente invisibile, si era aperta accanto allo scaffale. Un passaggio segreto, meow.

Mario era entrato nel passaggio segreto e la porta si era chiusa ritornando invisibile agli occhi.
Avevo atteso diversi minuti, poi, siccome avevo ancora fame ero ritornato in sala pranzo.
Mentre pregustavo l'idea di papparmi un altro gamberetto ero andato a sbattere contro il sacchetto che conteva la mano del cuoco. Era proprio lei, non potevo sbagliare: la scritta sulla plastica trasparente diceva la mano misteriosa.

Il sangue della mano aveva smesso di colare, e guardandola meglio avevo notato un particolare assai inquietante. Avevo preso la busta di plastica tra i denti e mi ero diretto ai piedi della mia padrona.

«Meow meow!», avevo detto.

«Che c'è, Booth? Vuoi un altro gamberetto», aveva detto lei lanciandomi un gamberetto.

Stavo per rispondere che avevo una cosa importante da dirle, molto importante, ma un gamberetto fritto non si rifiuta mai.
Mi ero gustato il gamberetto molto lentamente, la qualità di quel fritto era veramente alta. Superiore.

«Meow meow!», avevo detto dopo essermi leccato la zampa.

La mia padrona non mi aveva risposto, mi aveva lanciato direttamente un altro gamberetto.
L'avevo lasciato a terra, a malincuore, e con la busta di plastica tra i denti ero saltato sul grembo della mia padrona.
La mia padrona, alla vista della mano, aveva emesso un urlo fortissimo e aveva tirato la busta di plastica dritto dritto, in faccia a Bramanti.

«Meow meow!», avevo detto.

Bramanti si era ritrovato a fissare la busta, poi l'aveva alzata in alto verso la luce che proveniva dalla finestra e aveva stretto gli occhi.

«Qui c'è qualcosa di strano...» aveva detto Bramanti.

Bramanti aveva aperto la busta, aveva rovesciato la mano sul proprio piatto, e con coltello e forchetta aveva incominciato a sollevare la pelle nella zona del polso.

«Questo non è sangue», aveva detto stranito osservando il riflesso del liquido spalmato sul coltello.

Carmen aveva mosso rapida un dito, l'aveva pucciato nel presunto sangue e se l'era messo in bocca.

«Questa è ketchupa», aveva detto Carmen allargando gli occhi.

«Ketchup?», avevano ripetuto in coro gli altri.

Bramanti aveva alzato ancor di più il lembo di pelle.

«Guardate!», aveva detto sollevando il piatto, «Fili elettrici!».

«Meow!» avevo esclamato in risposta, stupito.

«Dovremo controllare anche Alfonso a questo punto», sentenziò la mia padrona con fare indagatore. Sicuramente anche il lago di sangue attorno al cuoco allora non era davvero sangue. Se fossi stato abituato all'odore del ketchup sicuramente me ne sarei accorto subito e lo avrei detto.
Meow! Tutto questo pesce sta facendo impazzire la mia povera testolina pelosa.

Perché c'era tutto quel ketchup, perché c'erano tutti quei fili metallici? Meow, la faccenda incominciava a farsi seria, era una faccenda da poliziotti: poliziotti seri!
Non avrei mai immaginato i risvolti che avrebbe preso quella faccenda, però sapevo bene che quando Romana si metteva qualcosa in testa era impossibile fermarla.

LA MANO MISTERIOSADove le storie prendono vita. Scoprilo ora