1. Promessa

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1. PROMESSA










"Solo tre cose sono infinite.
Il cielo nelle sue stelle,
il mare nelle sue gocce d'acqua
e il cuore nelle sue lacrime."
-Gustave Flaubert











10 agosto, 2011







Voleva scappare.

Filare a nascondersi in cameretta per piangere e gridare contro la federa del cuscino, al riparo da occhi indiscreti. La piccola Kendra avanzava a passi lenti sotto il peso di un cuore battente; teneva le braccia distese rigide lungo i fianchi, e le mani strette a pugno, così forte da fermare il sangue, evidenziavano insieme alle nocche sbiancate l'urgente bisogno di sfogo. Cercava di reprimere a tutti i costi il desiderio intenso di correre via senza voltarsi indietro.

Quel giorno non vi era un minimo accenno di azzurro nel cielo. Le nuvole erano cariche d'acqua e le gocce parevano d'esser pronte a precipitare da un momento all'altro. Il giardino di casa sua era stato allestito per quell'insolita occasione: sul prato erano state posizionate varie sedie pieghevoli, sulle quali si sarebbero accomodate le decine di persone presenti, mentre centinaia di petali di giglio di mare, i fiori preferiti di suo padre, erano stati fatti cadere sul terreno umido quasi a formare un sentiero.

La bara in mogano chiaro si trovava a pochi metri dal bordo della piscina: proprio lì Kendra aveva mosso le sue prime bracciate, seguita dall'occhio attento del padre. Lui le aveva trasmesso il talento, le aveva inculcato un rigido sistema di valori, le tecniche peculiari, tutti i trucchi del mestiere e lei non aveva fatto altro che assimilare da quando era venuta al mondo.

Aveva letto, da qualche parte, che in natura esistono degli squali atipici, detti pelagici, che vivono in mare aperto e che col tempo hanno perso la capacità di pompare acqua attraverso le branchie, perciò, sono costretti a muoversi di continuo per ricavare ossigeno. Se si fermano muoiono, anche quando riposano devono nuotare. Beh, lei era un po' così.

Aveva seguito le indicazioni di suo padre per sette lunghi anni, senza fermarsi mai, in preda a una fame che non si poteva spegnere, bruciava dentro di lei come un fuoco selvaggio. Era certa che con i suoi consigli avrebbe di sicuro ottenuto la gloria. Più vinceva, più le piaceva vincere. Più le piaceva vincere, più aveva voglia di vincere.

Un piccolo gerride pattinava leggero sulla superficie dell'acqua; era venuto a salutare il sole, purtroppo non l'aveva trovato. Kendra non conosceva la maggior parte delle persone presenti, con alcuni addirittura non aveva mai aperto bocca, l'idea le metteva lo stomaco in subbuglio. Insomma, sarebbero potuti restare a casa, piuttosto che venire a deprimersi, fumando una sigaretta dietro l'altra e soffocando i loro polmoni di fumo nero -lo stesso colore dei vestiti che avevano addosso- con un grande, ma chiaramente finto, dispiacere stampato in volto. 

Loro avevano avuto l'opzione della scelta, lei invece no. Aveva dovuto esserci per forza... dopotutto, quello era il funerale di suo padre.

Si era appena messa a sedere, lo sguardo perso nel vuoto, quando una folata di vento le scompigliò i ricci scuri. Sollevò leggermente il capo, sufficiente affinché potesse vedere un singolo raggio di sole aprire uno squarcio di luce fra le nubi. Le carezzò le guance, le baciò il volto, irradiando calore. "Papà..." mormorò con gli occhi lustri, inumiditi dalle lacrime represse.

D'istinto strinse la mano attorno alla medaglia d'oro che portava al collo; suo padre l'aveva vinta alla sua stessa età nei cinquanta metri farfalla.

"Kenny," bisbigliò una voce, "va tutto bene?"

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