10. A due passi dalla luna

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10. A DUE PASSI DALLA LUNA
















"Possiamo chiudere con il passato,
ma il passato non chiude con noi."
-William Shakespeare

















21 giugno, 2019















L'atmosfera era cambiata radicalmente. Ora che l'euforia era scesa di tono, l'atavico piacere di ciarlare sconfisse la musica, e la sua cassa toracica fu più che grata di smettere di vibrare, mentre di fatto le voci dei cantanti amatoriali divennero misero sottofondo, cori melodici di contorno a schietta ilarità, intensi schiamazzi e franca allegria.

Si erano seduti al tavolo rotondo vicino il palco, assieme ad altre persone che facevano parte della comitiva di Francisca. Per quasi tutto il tempo Kendra non aveva fatto altro che mangiare e ascoltare gli altri parlare. L'aria era carica di nicotina, pettegolezzi succulenti venivano scambiati come fiches da poker in un casinò di Montecarlo e i dispiaceri venivano annegati nell'alcol. Si era fatto tardi, molto tardi, le due ore promesse da Francisca se ne erano andate a quel paese nell'attimo in cui aveva mandato giù il primo shottino, il primo di tanti.

In quel momento non era nelle condizioni di mettersi al volante, per cui non le andava di chiederle di riaccompagnarla a casa, sarebbe potuto succedere qualcosa di brutto. Non era brava a guidare da sobria, figuriamoci da ubriaca. Avrebbe dovuto essere a letto da un pezzo: tra otto ore le sue chiappe sode si sarebbero dovute trovare nell'acqua clorata della piscina, perciò era giunta veramente l'ora di andare. Francisca era occupata e non voleva rovinarle il divertimento, dunque decise che sarebbe tornata a casa con l'autobus, dopo aver tirato fuori il coraggio di chiedere a qualcuno quale prendere.

Cercava di dissipare il nervosismo che le attanagliava le viscere, nascondendosi dietro luminosi sorrisi e risatine esitanti. Odiava non avere il controllo e non poter gestire una situazione a suo piacere le faceva provare un senso d'ansia che la metteva a disagio. Non aveva voglia di parlare, non aveva voglia di pensare, voleva solo che la situazione smettesse di essere così disordinatamente complicata.

Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi cerulei di Reed, che era seduto dall'altra parte del tavolo; aveva la camicia sbottonata sul petto e le gote rosate, sintomo di leggera ebbrezza. Il suo sguardo divertito si posò prima su Francisca, che beveva e sorrideva ignara, poi su di lei. Gli vide alzare le sopracciglia, e incurvare le labbra in un cinico sorriso. Come intendi tornare a casa ora? Sembrava chiedere il suo sguardo.

A quel punto decise di darci un taglio, rinunciando anche all'ultimo fremito di dignità. Era spossata. E così, anziché chinare il capo e continuare a torturarsi le mani di nuovo, come aveva fatto le altre sette volte negli ultimi dieci minuti, sbuffò e recuperò la borsetta dalla spalliera della sedia. Nel mettersi in piedi, il vestito aderente che le aveva prestato Francisca si era alzato leggermente, e gli occhi di Reed saettarono curiosi sulle sue cosce lunghe e atletiche. Con rabbia tirò giù il bordo, prima di avanzare a piccoli passi verso Francisca.

Avrebbe tanto voluto che la sua fuga fosse il più discreta possibile, non le piaceva stare al centro dell'attenzione, per cui con fare furtivo si chinò a parlarle all'orecchio sottovoce, però, essendo avvinghiata al torso di Reed, finì per sentire anche lui.

"Francisca," la chiamò a bassa voce, "mi sa che torno al campus."

Voltò il capo verso di lei, ritrovandosi a pochi centimetri dal suo viso, e quando aprì la bocca per parlare l'odore rancido di sudore acido la investì, insieme a un altro fetore fin troppo noto: alcol.

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