Sinfonia nocturna

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«Vado a dirgli di smetterla, Dèi del cielo! Mettersi a suonare a quest'ora della notte, proprio sotto la nostra taverna!» inveii, dopo essermi messa il cuscino sopra la testa, continuando a sentire risuonare la sua musica.

«Non ti preoccupare, vado io» mi rispose la mia sorellina. Aveva già i piedi fuori dal materasso e i capelli ancora umidi dal bagno che avevamo fatto insieme prima di coricarci. Non feci in tempo a dirle qualcosa che si precipitò fuori dalla stanza.

Sentii i suoi passi, veloci come quelli di un topolino, scricchiolare sul legno del corridoio. Rimasi a concentrarmi sui miei respiri, avvolti dalle note della melodia. Dopo poco la musica si arrestò, segno evidente che Eona aveva convinto quel bardo a smettere di pizzicare le corde del suo mandolino.

Un sorriso mi affiorò sulle labbra aspettando che Eona tornasse, ma non accadde. Preoccupata mi affacciai alla finestra. La frescura della brezza notturna entrava dagli scuri aperti.

«Tutte quelle cicatrici te le ha fatte un drago?» stava domandando la sua vocina allo straniero.

Da quell'angolazione riuscivo a scorgerla, mentre saltellava accanto al mantello rosso dell'uomo. La luce lunare proiettava le loro ombre sulla strada che costeggiava la taverna.

«Sarebbe bello vederne uno, ma dicono che si siano estinti» le rispose; allungò una mano per scompigliarle i capelli e mi chiesi per quale ragione quello strano soggetto non facesse paura a mia sorella. «Torna in casa o prenderai freddo. Ti prometto che non ricomincerò a suonare se da fastidio a tua sorella».

Eona congiunse le piccole mani: «Sì, te ne prego. I nostri genitori hanno lasciato Melys ad occuparsi della taverna e la sera è molto stanca. Sono già due notti che si lamenta sempre».

Arrossii e mi nascosi dietro al davanzale quando l'uomo alzò gli occhi proprio verso la finestra da cui li stavo osservando.

La mia sorellina si aggrappò ai lembi del suo mantello. Seguì un silenzio, in cui lei lo pregò per una storia, allargando i suoi occhi color nocciola.

«Una volta» si schiarì la voce l'uomo: «Ho combattuto contro una strega dell'acqua. Successe in una città chiamata Dharas al centro del lago di Ponteriverso. Fu lei a sfregiarmi in questo modo, con le sue unghie lunghe e affilate».

«E perché l'hai dovuta combattere? E come era fatta?».

L'uomo rise. «Una domanda alla volta». Si grattò la barba scura e le sue dita volarono alle corde dello strumento che teneva stretto in grembo, ma si fermò. «Sono creature orribili. I loro capelli sono viscidi come la pelle dei serpenti, ti possono intrappolare avvinghiandosi attorno al tuo corpo. Basta un loro bacio per toglierti tutta l'aria dai polmoni e nelle loro bocche hanno file denti aguzzi per strapparti le carni».

«Oh» mia sorella si coprì impressionata la bocca con le mani.

«L'ho dovuta combattere perché rapiva i bambini del villaggio sul lago. Ma non temere, l'ho sconfitta seducendola con la mia musica».

Alzai gli occhi al cielo, confusa.

A me aveva raccontato che era caduto in un cespuglio di spine.

A me aveva raccontato che era caduto in un cespuglio di spine

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