L'ultima promessa

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La pioggia scrosciava fitta quando Kaori fece ritorno all'albero di canfora. I lampi si rincorrevano tra le nubi, illuminando con scatti di luce intermittente i tetti neri del villaggio di Gurin. Gli Uloé, pesci alati, si beavano di quella pioggia e piroettavano nell'acqua del delta che circondava le alture del villaggio, spiccando il volo verso il cielo, dove con le scaglie catturavano i flash dei lampi imprigionandoli nelle loro grandi pinne. 

Quel temporale era un buon segno. Da quando il Re dal rosso manto si era stabilito sull'isola non era più caduta nemmeno una goccia d'acqua.

Kaori posò le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. Aveva corso; la pioggia le aveva appiccicato i lunghi capelli neri sul collo e sulla fronte e la sua tunica azzurra grondava acqua dagli orli ricamati. La larga chioma dell'albero le offrì riparo e lei si accoccolò stremata contro la corteccia ruvida e grigia. 

Soltanto sette giorni prima, il Signore dei Metalli aveva radunato sotto quelle foglie verdi i suoi guerrieri più virtuosi affinché partissero in una spedizione per uccidere il Re dal rosso manto. Fra di loro c'erano la nobile Mizu, l'agile Yuki, il risoluto Taro, l'inflessibile Daiki, la valorosa Kaede e suo fratello Kasai.

Lei lo aveva seguito di nascosto fino all'altura dell'albero di canfora, e aveva udito la promessa che si erano fatti i cavalieri: trovare la tana del drago e ritrovarsi lì fra una settimana esatta con qualunque risultato.

Kaori lo sentiva dentro le ossa gelate dall'acqua e dal vento: il Re era morto, doveva essere così.

Si strinse le braccia al petto e attese, accostando la fronte al tronco. Pregò sottovoce come aveva fatto ogni giorno da quando suo fratello era partito. Pregò per il suo ritorno, e pregò per la guarigione di possibili ferite; dopotutto un drago non era una creatura facile da abbattere, nemmeno se si è uno dei favoriti del Signore dei Metalli.

«Ti prenderai un raffreddore». 

Una vocina aveva interrotto le sue mute richieste. Kaori spalancò gli occhi nel momento esatto in cui l'Hanagée allungava le sue dita violacee per scostarle una ciocca fradicia dietro l'orecchio. Rimase per un lungo attimo a fissare lo spirito mutaforma; sotto la sua pelle si rincorrevano le stelle e i suoi capelli ondeggiavano come collanine di perle di rame. 

Aveva la tentazione di sfiorarla, ma sapeva che se lo avrebbe fatto senza permesso, lo spirito sarebbe scomparso. Gli Hanagée raramente si mostravano agli umani e la tradizione voleva che fossero fatti della stessa materia dei sogni.

«Ti ha sfidato un Selwyn, vero, bambina?» le domandò scuotendo il capo, contrariata. «Fanno sempre richieste assurde promettendo doni, ma non li devi mai ascoltare». 

«No, no. Sto aspettando mio fratello» si affrettò a risponderle. 

Da quando il drago era apparso, creature come i Selwyn, piccole volpi con lunghe orecchie dal pelo argentato che profumava di miele, se ne stavano rinchiusi al sicuro nelle loro tane.

Kaori si ricordò di uno dei poteri degli Hanagée, ovvero quello di percepire la presenza di altre creature sovrannaturali. 

«Il Re è morto?» 

«Io...» la fanciulla si posò le dita sulle tempie, come se avesse il mal di testa. «Non sento più la sua presenza qui vicino, ma non sento nemmeno quella dei tre Madi che sono partiti per ucciderlo». 

Kaede, Taro e Daiki erano i Madi di cui stava parlando. Creature simili agli umani, che si nutrivano soltanto di sabbia e bacche, ma con la pelle molto più dura, difficile da scalfire.

Kaori era abbastanza grande per capire cosa significasse. Sospirò, cercando di placare l'angoscia che le stringeva il petto. «Resteresti a farmi compagnia?» 

Viaggio nel Regno FantasticoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora