Il mistero dorato

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Una fiammella che brancola nella tempesta e tenta di restare viva, mentre il vento continua a minacciarla da tutti i lati. Era così che mi sentivo.

La sola forza di volontà mi spingeva a continuare a muovere i piedi uno davanti all'altro, senza arretrare.

Non potevo tornare indietro. Quello da cui scappavo era molto peggio di quello che mi attendeva.

Il calore del deserto mi aveva arso la pelle, spaccato le labbra. Mi sentivo ormai la sabbia ovunque, tanto che mi sembrava di averla incrostata persino nelle orecchie.

Sabbia, dune, e vento soffocante mi avevano accompagnato per quella landa desolata, dove cercavo disperatamente un rifugio. Un nuovo punto di partenza.

Arranco.

Ho finito le scorte di acqua e sento le forze abbandonarmi.

Il deserto è un dedalo che non cambia mai.

Sabbia giallastra su uno sfondo azzurro terso che di notte diventa nero, e di giorno trema per il caldo. Il vento ogni tanto solleva i granelli come fosse una mano che pesca in un barattolo di miele.

Un altro passo. Due. Tre.

E poi lo vedo. Un vivido luccichio all'orizzonte. Forse è un miraggio, ma i miei piedi sembrano animati di nuovo vigore mentre corro tra le dune, sperando di trovare un'oasi.

Più mi avvicino e più noto che è una città. Guglie dorate splendono al sole, torri bianche al di sopra di mura altrettanto imponenti. Il rosso e il verde dei mosaici si rincorrono nei tasselli a creare figure decorative sulle pareti.

Controllo la mappa che ho rubato a quel pazzo venditore di cammelli, ma nel punto in cui mi sembra di essere arrivata non c'è nulla.

«Altolà!» mi blocca una voce prima che potessi mettere piede all'ombra dell'arco all'ingresso.

«Vi prego» farfuglio. Non so cosa dire. Cerco con lo sguardo da dove possa provenire quella voce ma non vedo persone. La città sembra abbandonata, eppure qualcuno ha parlato. «Dove sei?».

Non oso muovere un passo in più. Le gambe mi tengono in piedi malferme e i miei polmoni protestano per la corsa improvvisa.

Ho sete. Molta sete.

La voce non risponde e spero di non averla offesa.

«Vi prego» tento di ripetere: «Sono solo una viaggiatrice. Ho bisogno di un riparo. Cibo. Acqua».

Osservando tra le case noto tappeti variopinti stesi ad asciugare ai davanzali delle finestre, alberi dalle lunghe foglie che sbucano con le alte chiome tra le volte, piante cariche di frutti.

«C'è qualcuno?» chiedo, trovando il coraggio di muovere un passo all'interno del varco.

«Altolà!» ripete possente la voce del guardiano invisibile.

Mi blocco all'istante come se mi avesse lanciato una stregoneria.

«Se vuoi passare, straniera, dovrai risolvere l'indovinello» dice.

Avevo affrontato di peggio. «Lo risolverò».

«È necessario che si muova. Lento o veloce è nostra decisione. Si può spostare, ma è meglio non farlo, seppur non abbia fissa dimora. Può piantare la sua tenda ovunque desideri, anche se può non essere ben accetto e venir sfruttato».

Mi siedo sulla sabbia, facendo danzare quelle parole nella mia testa.

Non hanno senso.

Ma posso farcela.

Ma posso farcela

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