Poco dopo lasciarono le silenziose strade periferiche e sconosciute, ricordate solo da chi viveva alla giornata, di chi non guardava dritto davanti a se, ma teneva lo sguardo basso e assente, triste. Trovarono invece la via per la città delle luci e del caos. Delle macchine di lusso e dei negozi sempre aperti, delle lussuose marche e dei profumi costosi.
Tia era incantato, vedeva le luci sfrecciare da dentro l'abitacolo, tentando di capire dove si trovasse, di orientarsi. Era in una zona a lui proibita. Dove chi come lui, troppo in basso nella catena alimentare, non aveva accesso. Mai nella sua vita aveva visto una strada tanto bella e tanto viva. Gioia e vitalità, felicità e vita allo stato puro. Erano tutte cose a lui sconosciute e nonostante l'incedere veloce del mezzo, tentava di coglierle tutte.
Ad un tratto le luci sparirono e solo allora Tia si accorse che la macchina era entrata in un parcheggio, uno di quelli sotterranei, facenti parte di moderni edifici per appartamenti, quelli alti, fino al cielo, tutti di specchi, uno uguale all'altro, simili a torri di un immaginario futuro.
Il ragazzo sentiva l'agitazione salire fino al basso ventre. Sapeva che era vicino al momento in cui avrebbe dovuto adempiere ai suoi doveri, in cui avrebbe annullato sé stesso.
Entrare in quel parcheggio era il primo passo verso l'entrata all'inferno.
Mark al suo fianco era silenzioso, sembrava immerso in una religiosa preghiera a chissà quale Dio, Tia era convinto che volesse immolarlo ad un qualche altare, per chissà quale rito, era spaventato dall'atmosfera e dai toni che il ragazzo usava. Troppo perentori, troppo rigidi per un ragazzo della sua età.
Decise di svuotare totalmente la mente prima del tempo. Se si fosse lasciato prendere dal panico le gambe non lo avrebbero di certo aiutato ad uscire da quella macchina.
Finalmente arrivarono al capolinea. Posto auto numero 36A. Il parcheggio era buio, isolato e silenzioso. Sembrava la location perfetta per un film thriller, dove l'assassino abborda la povera vittima malcapitata con una scusa, per poi portarla in un parcheggio e ucciderla. Solo il cartello "area sottoposta a videosorveglianza" gli fece tirare un sospiro di sollievo, ma era comunque in balia di un uomo, ben piazzato e in un posto a lui sconosciuto. Nonostante facesse da tempo quel lavoro, avvertiva una strana tensione nell'aria. Qualcosa di strano lo attendeva ne era certo.
Presero un modernissimo ascensore di quelli in vetro, ultramoderni e Mark spinse uno dei bottoni più in alto sulla tastiera. Se c'era un'altra cosa che Tia aveva imparato sul mondo era che, più in alto avevano la loro casa più cospicuo era il loro conto in banca. Quello era uno dei palazzi più alti della zona ed il biondo aveva pigiato l'ultimo piano. Forse non era così impossibile la cifra che gli aveva proposto.
Sembrava che l'ascensore ci mettesse una vita, era troppo lento. Tia non era impaziente di farsi seviziare da quel uomo, ma più l'attesa si allungava più era snervante.
Mark al suo fianco sembrava rilassato. Era appoggiato alla parete della cabina e teneva la testa alzata verso il soffitto, gli occhi chiusi e le mani in tasca. L'emblema lampante della beatitudine. Tia voleva quasi colpirlo! Lui era nervoso, un fascio di nervi, guardava il panorama e intanto picchiettava i vetri con le dita, muoveva nervoso la gamba, sembrava in preda da tic da ricovero in un ospedale psichiatrico, mentre il biondo sembrava in procinto di coricarsi a letto.
L'ascensore si fermò con un tin e le porte si aprirono. Mark guidò il ragazzo, camminando davanti a lui fino all'unica porta. Digitò il codice per aprire la porta e lo fece accomodare.
Il povero ragazzo, povero nel vero senso del termine, mai nella sua vita aveva visto tanto lusso tutto insieme. Racchiuso in metri quadri di vetro e acciaio. Non aveva alcun termine di paragone valido o vicino da poter valutare tutto il fasto e la modernità che lo investirono non appena mise piede nell'appartamento.
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