Mark guidava da parecchio. Aveva percorso le strade ed i vicoli più dissestati che sapeva essere per certo, i più malfamati della città, rischiando parecchio, aggirandosi con una Mercedes come la sua. Ma il rischio non gli importava, nella sua folle mente il gioco valeva la candela.
Aveva abbassato i finestrini, incurante della gelida aria che entrava nell'abitacolo. Quel completo blu sembrava soffocarlo. Il pesante cappotto e la cravatta li aveva abbandonati sul sedile posteriore da tempo.
Si sentiva accaldato, eccitato, in preda all'agitazione. Come se sapesse che era vicino a qualcosa, come se dentro di sé sapesse che la chiave era vicina.
Non prestava nemmeno attenzione alla strada davanti a sé. Guardava solo ai cigli delle strade, ai marciapiedi, alle panchine ed ai muretti. Cercava persone in sosta, gente che camminava avanti e indietro in attesa.
C'era parecchia gente in quello stato, tanta che nemmeno lui avrebbe mai sospettato che Seattle pullulasse di cotanta feccia, di tanta gente ridotta a quel livello di sopravvivenza. Eppure gli sguardi persi, i vestiti stracciati e sporchi e l'aria un po' trasandata e stanca erano un segnale inoppugnabile.
Stava perdendo le speranze. La notte aveva oramai fatto capolinea sopra gli altissimi palazzi e le uniche luci erano quelli delle finestre e dei lampioni lungo la strada.
L'unico rumore udibile era quello delle auto che veloci sfrecciavano in preda ad una frenesia, che con i loro motori violentavano l'asfalto ed emettevano la loro grigia nube, rendendo ancora più cupa quella fredda serata. Cominciava a scendere una fitta pioggia. Quelle fastidiose goccioline di pioggia che raffreddano ancora di più le serate, che rovinano i piani. Sentiva l'incessante e fastidioso ticchettio delle gocce sul tettuccio dell'auto, i tergicristalli andavano già ad un ritmo costante e quelle poche gocce s'erano già trasformate in una pioggia scrosciante e spessa.
Mark era in procinto di rinunciare al suo pazzo e stravagante tentativo di variare i suoi piani. Chi mai sarebbe rimasto fuori con una pioggia simile? Chi avrebbe potuto incontrare con un tale tempo così ostile?
Scontento ed amareggiato decise di imboccare una strada secondaria, che non aveva mai percorso ma che il navigatore gli dava buona per tornare verso il centro e quindi verso casa.
Evidentemente era destino. La pioggia era un segnale chiaro e lampante che qualsiasi piano volesse programmare fuori dall'ordinario per lui era irrealizzabile. Quello poi, così folle e così perverso, al limite della legale comprensione umana e della razionale ragione, lo avrebbe sconsigliato chiunque.
Era sicuramente il destino. Mark Ness era troppo razionale e pragmatico per credere che una forza astratta e superiore comandasse l'universo, ma arrivati a quel punto, dopo tutto il suo riflettere, dopo tutti i suoi tentativi, non poteva far altro che arrivare a quella drammatica conclusione.
Il destino lo voleva incastrato in quella scomoda vita.
Stava imboccando la via indicata dal navigatore, nel silenzio del suo abitacolo. Guardava ancora le strade, deserte, come se la speranza fosse davvero l'ultima a morire e sperasse in una sorta di miracolo. Sarebbe sceso a patti col diavolo se avesse creduto in lui o in Dio o in qualsiasi altra cosa che non fossero i soldi.
Si stava maledicendo per la sua sfortuna, per il suo fato e per la sua stessa vita noiosa quando qualcosa catturò la sua attenzione.
Era difficile notarlo, in realtà, si domandò come lui stesso fosse riuscito a vederlo. Eppure v'era una figura, seduta su un basso muretto che costeggiava la strada. Rannicchiata e chiusa in un vecchio giaccone nero.
Era difficile, sotto la coltre d'acqua e con il buio della sera distinguerne i tratti, tanto che Mark lo superò.
Eppure, qualcosa di quella figura lo attrasse. Come un pezzo di ferro, una puntina che viene attirata dalla calamita. Come un satellite attirato dall'orbita del pianeta.
Sentiva un fatale e disperato interesse per quel groviglio appollaiato sul muretto, tanto da inserire la retro e tornare indietro, contro ogni qualsiasi logica.