8. Verso l'inferno e... no, rimango qui

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Quando apro gli occhi, la prima cosa che noto è l'assenza di Hanje. Mi ci vuole un po' per guardarmi attorno e lasciare che i contorni della mia nuova realtà si rimettano a fuoco, catapultandomi nell'inizio del giorno che mai avrei voluto vedere. Guardo il pulviscolo danzare nella lama di luce che mi sfiora il viso per un po', poi decido di iniziare a prepararmi per la giornata. La mia ultima giornata di felicità.

Sembro un fantasma che vaga per le sale, immerse nel bagliore della prima mattina che dà loro un'aria irreale, quando mi dirigo ai bagni comuni, nel corridoio vicino a quello della nostra stanza. Quando mi bagno il viso, l'acqua ricade pesantemente nel bacile di legno che sto utilizzando, producendo un rumore che viene amplificato dalle pareti di liscia e fredda pietra.
Mi preparo con l'impressione di star seguendo un copione, di non essere veramente cosciente di quello che sto facendo. Dopo essermi legata i capelli in una treccia, decido di scendere in sala mensa:  le mie scarpe ticchettano sugli scalini di pietra mentre scendo, la fredda aria del mattino si impossessa del mio corpo e rabbrividisco, complice lo sconforto. La mensa, che di solito è un luogo pieno di vita, non sembra la stessa con l'aria vuota che emana adesso, con solo altri pochi soldati mattinieri e il suono delle posate che tintinnano. Faccio colazione, pensando al primo giorno che ho messo piede qui: sembra passata un'eternità, invece non prima di qualche settimana fa ero ancora a casa mia.
Ma d'altronde non dovrei più stupirmi: ho sperimentato di persona la velocità con cui cambiano le situazioni. Con la morte dei miei genitori. 

Con la partenza di altre due persone tra le più importanti per me oltre a loro. Mi capita, ogni tanto, di pensarci: eravamo migliori amici, compagni d'avventure... non mi ero mai resa conto che fossimo, in realtà, perfetti sconosciuti. Eravamo così impegnati a badare alla nostra vita perfetta che non ci siamo resi conto della fragilità di quella di Tamiyo, nell'aspetto forte come una roccia ma, all'interno, debole quanto una foglia secca in autunno. 
Ancora mi maledico per la mia stupidità e non credo che riuscirò mai a sentirmi a posto con me stessa a causa della sua morte. Ero solo una bambina, ma non importa. Per il mio essere bambina troppa gente l'ha pagata cara. E mi sono stancata di questo.

Faccio tintinnare il cucchiaino contro la ciotola, forse con troppo vigore, interrompendo questa catena di brutti pensieri. Prima di salire in camera non mi volto indietro, risalgo nella nostra stanza e mi limito a prendere la valigia, dando un ultimo, muto saluto alla mia casa mentre scendo per arrivare alla carrozza che mi aspetta per portarmi in un nuovo posto ignoto. Scatto fotografie mentali a tutti i luoghi più significativi, le chiudo nell'album dei ricordi del mio cuore in attesa di ritornare di nuovo e vedere tutto dal vivo.

All'entrata dei dormitori trovo Hanje ed Erwin che mi aspettano: non ci parliamo, si limitano a seguirmi quando inizio a camminare, incapace di sorreggere il peso del loro sguardo

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All'entrata dei dormitori trovo Hanje ed Erwin che mi aspettano: non ci parliamo, si limitano a seguirmi quando inizio a camminare, incapace di sorreggere il peso del loro sguardo. Tutti e tre ci dirigiamo verso il grande ingresso che non ho mai attraversato da cosciente.
La carrozza si staglia contro il bagliore mattutino dell'alba e non mi permette di vedere i labirinti delle abitazioni di chi vive la realtà delle mura come un umile civile. Chissà come sarebbe stato vivere qui in una famiglia normale e non in una base militare. Avrei potuto scegliermi un lavoro, giocare, studiare di più... magari anche mettere su famiglia. Purtroppo questa opzione non mi è concessa, ormai, ma sono comunque grata di aver trovato qualcuno, questo è già abbastanza.
Non voglio salire, non voglio nemmeno guardare il mezzo che mi condurrà via di qui. Prima di salire, saluto i miei due amici: ho provato ad immaginare, nei rari momenti che mi concedevo per pensarvi, come sarebbe stato l'addio. Ma ora non ho nemmeno la forza di ricordare se è come lo avevo progettato. "Grazie di tutto, sul serio. Non so come altro sdebitarmi, anche se vorrei tanto... ci tengo solo a precisare che sono veramente grata per la vostra gentilezza e disponibilità, mi avete dato un motivo per cui tornare a vivere veramente. Farò tutto il possibile per tornare qui con voi il prima possibile. Lo prometto."
"Oh Sumire, ci stai già ringraziando abbastanza partendo per questa avventura, credici. Quando tornerai ci sarai molto utile, abbiamo proprio bisogno di soldati, in particolare di cadetti giovani e straordinariamente dotati come te. Ci terremo in contatto con le lettere, ci rammarichiamo di non poter fare di meglio... " risponde Hanje con un'espressione poco convinta. Il suo solito sguardo curioso ed eccitato è velato di malinconia. Non so come fare a consolarla, così mi limito ad annuire e a sorridere come meglio posso. Lei si rallegra almeno un po': "Brava la mia bambina. Ora però dovrei andare... ti voglio bene Sumire e sappi che... pretendo che tu mi aiuti a studiare giganti quando torni!"
Mi stritola in un abbraccio e si allontana a passo svelto, lasciandomi sola con Erwin. I suoi occhi azzurri scintillano anche con questa luce debole, mi fissano con tranquillità. Sapere che lui pensi che questo sia il futuro migliore per me, mi rende un po' più tranquilla.
"Sumire, non credere che per me non sia difficile lasciarti andare. Io... penso che tu sappia che non ero molto d'accordo sulla questione di tenerti con noi, però mi sono reso conto che ho fatto benissimo a dar retta ad Hanje e a Levi. E sono fiero di ciò che stai per fare. Mi raccomando, dai il massimo e costruisciti un futuro, io sarò qui ad aspettarti sempre", mi sussurra, accennando un sorriso orgoglioso, "Arrivederci Sumire".
Gli stringo la mano rivolgendogli uno sguardo carico di promesse e rispetto. Questa è l'ultima volta che lo rivedrò, prima di chissà quanto tempo. Salgo in carrozza, sedendomi sulla panchetta rivestita di tessuto soffice. Fisso il sole che sorge fuori dal finestrino, facendo iniziare una delle tante giornate di lavoro per la gente delle mura. Mentre i movimenti irregolari del carro mi sbatacchiano nell'abitacolo della carrozza, mi rendo conto di essere triste per il fatto che Levi non sia venuto a salutarmi.
È il momento di ricominciare sul serio, con o senza di lui. Campo di Addestramento, inizia a temermi. Sarò fortissima!

Ho addosso la stessa divisa che hanno tutti a casa, solo che al posto delle Ali della Libertà ci sono due spade incrociate, simbolo del Corpo Cadetti

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Ho addosso la stessa divisa che hanno tutti a casa, solo che al posto delle Ali della Libertà ci sono due spade incrociate, simbolo del Corpo Cadetti. Sono in riga con i miei compagni che hanno la stessa età di Levi e mi rendo conto di essere piccolissima in confronto... loro hanno dodici anni, sono dei giganti! No, forse giganti potrebbe risultare un insulto. Keith Shadis, che qui è il capo al posto di Erwin, sta girando tra le file di cadetti, chi spavaldo e chi impaurito, in questo campo desertico e vastissimo, gridando in faccia a quasi tutti i cadetti. Eccolo che arriva da me...
"Dannata! Come ti chiami?"
Il sole si riflette sulla sua testa pelata, conferendogli un'aria meno spaventosa di quella che ha in realtà. 
Lo guardo negli occhi, faccio il saluto segreto e gli rispondo: "Sono Sumire, signore!"
"Quanti anni hai?"
"Nove, signore!"
"Ah! Questa è bella. Una mocciosetta! Lo sai che qui non si viene per giocare, che puoi morire? Chissà cosa ci ha visto Erwin in te!"
Si prende gioco di me. Si prendono tutti gioco di me. Perché il fatto che io sia piccola deve risultare così limitante? D'accordo, non sarò grande e grossa come la gente che ho attorno, però alcuni di loro sembrano anche peggio di me. Se Erwin mi ha spedita qui, sicuramente un motivo ci sarà. E non cederò senza combattere. Gli altri seguono il nostro dibattito con un ghigno sul volto, contenti di non essere al mio posto. Sicuramente pensano che sarà divertente vedere una mocciosetta che sviene dalla fatica, ma non posso dargliela vinta. Scruto la folla di cadetti disposti in file ordinate, squadrandoli uno per uno. C'è uno che sghignazza ancora più vivacemente degli altri, sembra che non tema l'arrivo di Shadis. I suoi occhi verdi sono pieni di sfrontatezza, forse è proprio questo che mi spinge a rispondere più scorbuticamente di quello che avevo previsto.
"Signore, sono consapevole del fatto che potrò anche essere ripagata con la morte e sono felice di sacrificarmi per il bene comune. Non ho tempo per giocare. Quanto ad Erwin, è un uomo intelligente e so che per mandarmi qui ha avuto le sue ragioni. Infine, gradirei che non mi chiamasse mocciosetta, perché sono capace di diventare un'umile soldatessa della Legione Esplorativa tanto quanto gli altri".

In risposta alla mia sfrontatezza, ricevo cinquanta giri di campo, che impiego tutto il pomeriggio per fare. Con le ultime forze rimaste, mi dirigo verso la mensa solo per trovarla chiusa. Allora torno in dormitorio dove trovo le mie compagne che russano, gentilissime. Crollo sul letto ancora completamente vestita e l'ultima cosa che penso è che saranno tre duri anni.

Sasageyo,
Arienty

Attack on Titan: Lost in the WallsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora