15. Bentornata a casa

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Abbiamo appena finito di cenare, dopo circa una ventina di minuti di chiacchiere interminabili. Ho salutato i ragazzi concedendomi di fare un ultimo, piccolo sorriso: mentre li guardo allontanarsi, cerco di ricordare a me stessa di essere un po' meno emozionabile. Se voglio fare il soldato per bene, non è consono che io rida e scherzi più di tanto con gli altri compagni. Specialmente perché sono la più piccola, devo dimostrare che la mia età non influenza la mia maturità... che idea potrebbero farsi gli altri soldati e i miei superiori di me, se passo la mia vita con un sorriso da ebete in volto? Certo, non voglio passare per musona incontentabile, però... meglio cercare di contenere le emozioni.
Mentre rifletto, riordino i piatti sulla tavola per facilitare il lavoro ai gentili domestici che danno una parvenza di ordine alla base, anche se non mi spetterebbe; nel frattempo, getto anche delle fugaci occhiate alla sala che si svuota lentamente. Mi concentro particolarmente su quello che mi circonda, annuso l'ultimo sentore di minestra che vaga nell'aria e si disperde e ascolto il chiacchiericcio sommesso dei soldati che escono e combattono il freddo di gennaio con le sciarpe e gli stivaloni pesanti, in modo da godersi al massimo l'unico momento della giornata in cui possono essere loro stessi al massimo. L'atmosfera è così allegra e rilassata che sembra di essere in uno di quei villaggi vacanze del mio futuro, non in una base militare. D'ora in poi, la mia vita sarà così: seria per tutto il giorno e spensierata la sera. Sembra proprio un bel programma: monotono forse, ma almeno sono sicura che avrò un posto sicuro dove stare. Beh, almeno quando non andrò in missione.

Quando anche l'ultimo dei soldati è uscito, sospiro e penso a cosa fare adesso. Shojiro è sicuramente lì fuori ad atteggiarsi con i suoi amici e non credo di essere ancora pronta a cercare di stabilire una relazione con persone che mi hanno maltrattata per anni, né a rivedere lui più del dovuto. Finora l'ho incontrato da sola, ma chi mi garantisce che, una volta in gruppo, non torni l'arrogante di sempre? Se ci fosse stato solo lui, sarebbe stato un altro conto, forse.
Petra e Oruo hanno bisogno della loro privacy e gli altri frequentano sicuramente compagni della loro età... non ho voglia di essere la loro ombra, per stasera. Per quanto siano miei amici, capisco che non devo essere troppo attaccata a loro: finirei solo per essere la bambina di turno, trattata come una stupida, esattamente come capitava quando partecipavamo alle cene di lavoro della mamma. Non mi pare nemmeno il caso di passare a salutare a quest'ora Erwin e gli altri. Ora che lui è un mio superiore non posso comportarmi come la bambinetta che ero tempo fa, non posso piombare nel suo studio, abbracciarlo e dirgli "Ciao Erwin, da quanto tempo!". Insomma: tutte le opinioni scartate. Non mi rimane altro che tornare in stanza e riposarmi, per prepararmi alla giornata di domani.

Sono girata verso il muro e mi sto risistemando lo scialle, sia mai che mi prenda un raffreddore proprio prima della mia entrata ufficiale in servizio

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Sono girata verso il muro e mi sto risistemando lo scialle, sia mai che mi prenda un raffreddore proprio prima della mia entrata ufficiale in servizio. Poi sento un suono quasi impercettibile: il cigolio dell'entrata secondaria della mensa e il successivo eco che il tonfo della porta produce nella sala deserta. Rimango al posto mio perché la prima cosa che penso è che possa essere un cameriere che ha scordato qualcosa. Poi ascolto una profonda voce maschile, che parla con un accenno di sorriso: "Ma come Spilletta, questa non te la perdono! Ti pare normale il fatto che da tre anni ti scrivo dicendoti che non vedo l'ora di rivederti e che tu non mi venga a cercare non appena scesa dalla carrozza?"

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