CAPITOLO 1 - PARTE 8 - LA CARTELLA ROSSA

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SANEM

La sveglia mi fa saltare per aria. Ho dormito così profondamente che mi sento intontita. Avevo bisogno di una bella dormita rigenerante. La giornata di ieri mi ha sfibrato, eppure la rivivrei altre mille volte. Non faccio altro che pensare al mio Albatros. Sento ancora il profumo della sua pelle nelle narici e avverto ancora l'emozione e il brivido del suo tocco... Quanto vorrei trovarlo e baciarlo di nuovo, confessargli che sono io la timida ragazza che ha baciato senza alcun freno nel buio di quel palco.

Mi accorgo che sono già quasi in ritardo. Devo darmi una mossa o al mio secondo giorno di lavoro farò un'altra delle mie pietose figuracce. Stamattina opto per un look più casual. Scelgo il top a righe bianche e nere e i miei pantaloni bianchi preferiti. Via qualunque scarpa che abbia più di due centimetri di tacco. Leyla se ne farà una ragione: da oggi e finché ne avrò voglia, solo scarpe comode, per la gioia dei miei poveri piedi. Indosso la giacca sfoderata senape con borsa abbinata e mi avvio leggera ad affrontare il mio secondo giorno in agenzia.

Le prime ore in ufficio volano via come l'aria. Un corriere chiede del signor Emre, ha una consegna per lui. Mi affretto a firmare e a ricevere il pacco. E' una cartella di colore rosso. Sono il braccio destro del capo adesso e devo tutelare i suoi interessi nel miglior modo possibile. Non posso deluderlo.

D'un tratto mi volto, lascio la cartella rossa sul bancone e vengo catapultata in un universo parallelo. Il signor Can appare nel mio angolo visuale ed è... bello da morire. Ha i capelli raccolti sulla nuca, una camicia in jeans che porta sbottonata, con i polsini ripiegati che lasciano scoperta la pelle dei polsi, invitandomi a pensieri sconci e poco adatti ad una brava ragazza quale dovrei essere. La canotta bianca che indossa sotto alla camicia per fortuna è di una taglia in più e non lascia intravedere gli addominali, altrimenti sarebbe stato davvero troppo per me. Jeans scuri che gli fasciano le gambe e sneakers bianche completano il look da urlo. Cammina così sicuro di sè che sembrerebbe farlo apposta. Provo a scansare i pensieri indecenti che sopraggiungono incontrollati con un gesto della mano. Lo faccio spesso quando sono in situazioni come quella, per tornare in fretta alla realtà. Ma fallisco miseramente quando vedo il signor Can sorridere a qualcuno... Accidenti! Potrei svenire se lo fa di nuovo! Mi chiedo come possa, un ragazzo così carino, essere anche così malvagio come mi ha raccontato il signor Emre. Il mio compito adesso è scoprire le sue carte e ce la metterò tutta.

Can bey viene dritto verso di me e in quei pochi istanti che ci separano mi impongo di ritornare sul pianeta Terra. Mi chiede di portargli le cartelle con le campagne degli ultimi tre mesi. Potrebbe chiedermi anche di buttarmi dal balcone, per quanto ne so, ché lo accontenterei. Ma cosa dici, Sanem?! Datti un po' di contegno! Eccola la mia fastidiosissima vocina interiore che mi dà il tormento.

Raccolgo su indicazione di Guliz tutte le cartelle nere insieme a quella rossa e mi avvio verso l'ufficio di Can.

Sto per raggiungere la scrivania, quando mi sento chiamare alle spalle. Dallo spavento lascio cadere tutti i faldoni a terra. Eccone un'altra delle mie, maledizione!

Mi ritrovo di fronte all'uomo più bello che abbia mai visto, ancora una volta incapace di parlare. Ho ancora le mani aperte e rimango imbambolata di fronte a lui che invece è sempre così sfacciatamente sicuro di sé da innervosirmi! Nota i nomi scritti sul palmo della mia mano. Oddio, che vergogna! Propino anche a lui la scusa dell'hobby. Ma evidentemente questa volta non funziona. Vedo il signor Can guardarmi dubbioso, mentre raccoglie con me i fogli sparsi sul pavimento.

Meno male che il trillo del telefono mi offre una via di fuga da quella situazione imbarazzante. Esco in fretta dall'ufficio col permesso di Can bey. E' mia sorella Leyla che vuole aggiornamenti sulla situazione in ufficio e per darmi altre istruzioni su come comportarmi con il signor Emre. Su sua indicazione, gli porto immediatamente il caffè. Da da maldestra e impacciata quale sono stata creata, inciampo e il caffè finisce rovinosamente sulla giacca del mio capo. Sarei felice se si aprisse una voragine sotto i miei piedi e mi inghiottisse, ma non accade, purtroppo. Chiedo scusa sforzandomi di essere convincente. Meno male che il signor Emre è un gentiluomo. Un'altra persona mi avrebbe buttato via dall'ufficio senza aggiungere altro. Lui invece mi rassicura che è tutto a posto. Mi chiede, piuttosto, se è già arrivata la cartella rossa. Oddio, la cartella rossa! Devo averla accidentalmente lasciata nell'ufficio del signor Can.

Non sono capace di farne una buona. Continua ad accumulare mosse sbagliate, una dopo l'altra. Informo timidamente il signor Emre e la sua reazione mi lascia intuire che l'ho fatta grossa.

-Dannazione, Sanem! Devi recuperarla immediatamente! Se la trova mio fratello, siamo finiti. Tu e Leyla perderete il lavoro.

La minaccia mi fa rabbrividire. Non posso controbattere. Devo fare il lavoro sporco, me la sono cercata.

Passo il resto della giornata a fallire nel tentativo di allontanare Can dall'ufficio e recuperare la benedetta cartella. Tutto tempo perso. Oltre al fatto che la cartella rossa è ancora nelle sue mani, io mi sento frustrata. Quest'uomo è irresistibile. Davvero non capisco come possa essere anche solo lontanamente cattivo. A me sembra un uomo buono e dolce. Sopporta pazientemente tutte le mie incursioni, mentre io non faccio altro che tormentarlo. E comunque non riesco a raggiungere l'obiettivo. A fine giornata sono disperata: Can bey si porta via le ultime cartelle a casa per terminare di leggerle con calma e tra quelle che anche la rossa!

Chiamo il signor Emre per informarlo del fallimento della mia missione. Gli spiego che ho provato a cambiare le cartelle, come lui aveva suggerito, ma mi sono portata via quella sbagliata.

-Sanem, devi andare a casa di Can.

-A casa sua?? No, non voglio farlo!

-Ti mando l'indirizzo. Ascolta, Sanem. Mio fratello esce ogni sera per andare a correre. Prendi un taxi e vai lì. Devi recuperare assolutamente la cartella.

-E' impazzito, signor Emre? Non ho intenzione di farlo.

-Sanem, non posso andarci io. Sono nel bel mezzo di una riunione. Io ti ho fatto un favore, restituiscimelo.

Durante il tragitto in taxi immagino tutte le facce che potrebbe avere la mia compagna di cella in carcere. Ho una paura tremenda e per allentare un po' la tensione chiamo Ayhan per raccontarle dei guai in cui mi sono cacciata. Ma non serve a farmi stare meglio. Devo recuperare quella benedetta cartella rossa e uscire in fretta da questa casa e da questa brutta situazione. Forza, Sanem! Puoi farcela!

Provo a forzare il portoncino di ingresso al giardino, ma è chiuso. Scavalco dal muretto laterale. Spero proprio di non rompermi nessun osso. Ma, conoscendomi, sarebbe la cosa più graziosa che potrebbe capitarmi.

Non so come ma sono dentro, finalmente. Invoco tutte le divinità che conosco affinché vada tutto per il meglio. Raggiungo, acquattandomi dietro un albero e l'altro, l'ingresso della villa. Una casa maestosa, devo dire. Ma non ho il tempo di soffermarmi ad ammirare la bellezza della casa. Proseguo verso l'interno. Pare non ci sia nessuno, per fortuna! Inizio a rovistare nei vari cassetti, ma non trovo nulla. Mi ritrovo in quella che deve essere la camera da letto del signor Can. Vedo una sfilza di magnifiche macchine fotografiche d'epoca sullo scaffale a mensole accanto al letto. Continuo a frugare tra le cose di Can bey. L'adrenalina mi da il coraggio e la spinta per proseguire, anche se vorrei solo scappare in fretta da lì. Dei rumori provenienti da un'altra stanza mi fanno sobbalzare. Quasi me la faccio addosso dalla paura. Mi nascondo sotto al letto in fretta. E' Can. Lo vedo entrare in camera in abbigliamento sportivo. Deve essere rientrato dalla sua corsa serale. Si sfila la felpa. Non sta accadendo davvero?! Non si starà spogliando sotto ai miei occhi??? Entra in bagno e ne approfitto per rialzarmi e uscire immediatamente da lì. Non prima di aver dato una sbirciatina rapida ai bicipiti dell'uomo che si sta spogliando a pochi centimetri da me. Devo essere folle per lasciarglielo fare senza guardarlo, o peggio, senza toccarlo. Vado via in fretta, prima di rischiare un infarto.

Passo in fretta alla camera accanto. Deve essere quella del signor Emre. Noto la giacca che gli ho macchiato di caffè appesa all'armadio e ancora incellofanata. Deve essere appena rientrata dalla lavanderia. Continuo a frugare in ogni posto. La cartella rossa è sparita. Poi d'improvviso me la ritrovo sotto agli occhi in soggiorno. Finalmente! La scambio al volo con quella che ho in borsa. D'un tratto sento di nuovo i passi di Can che è uscito dalla doccia. Maledizione! Devo muovermi. Ma la mia goffaggine torna a farmi visita. Urto contro una sedia. Faccio l'ultimo tentativo estremo di fuggire dalle porte scorrevoli che danno sul giardino. Ma sono chiuse. E io sono finita. Can mi ha visto.

L'albatros e la fenice - Fan Fiction Erkenci KusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora