𝘗𝘢𝘳𝘵𝘦 𝘚𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢

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Stava per scolarsi l'ultimo bicchiere di bourbon della serata e fare le valigie, quando un ragazzo entrò nel locale. Non lo avrebbe degnato di uno sguardo, se non fosse che cercava a gran voce proprio un tale Min Yoongi.

- Ce l'hai davanti ragazzo, cosa vuoi? E come hai fatto a trovarmi? - domandò, leggermente brillo per l'alcol in circolo.

- L'ho cercato a casa, ma la signora a cui dà l'affitto mi ha detto che è un cliente abituale di questo bar - proclamò lo sconosciuto. Era bello, diavolo se lo era. Slanciato, magro, una bocca capace di fare invidia alle donne di strada.

- Perché mi stai cercando? -

- Ho qualcosa che le appartiene - disse, infilandosi una mano nella tasca della giacca.

- Sarebbe? - lo sconosciuto appoggiò l'involucro di carta rovinata sul bancone e lo fece strisciare con due dita fino a Yoongi.

- Le dice niente Park Jimin? Sono delle lettere che ha scritto, per lei. Gli ho giurato di portargliele nel caso in cui fossi riuscito a tornare a casa, e io mantengo le mie promesse -

- Che cosa? - chiese sconvolto l'immortale.

- Sono lettere da parte di Pa-

- Ho capito - tagliò corto Yoongi, mettendo le mani sul pacchetto di carta consunta.

- Eravamo entrambi medici in campo, per questo l'ho conosciuto -

- Signore, posso farle una domanda? -

- Sbrigati a farla - che l'unica cosa che voleva fare, era tornare a casa a leggere e rileggere tutti i pensieri e i pianti del suo amore, come per ricordarlo ancora una volta.

- Era innamorato di lei non è vero? - sussurrò, in modo da non farsi sentire da nessuno.

- Cosa stai dicendo? - domandò Yoongi, non volendo condividere con il ragazzo l'amore che provava per Jimin. Un istinto di autoprotezione dai suoi stessi ricordi, che parlarne, avrebbe portato a galla solo dolore dal sapore agrodolce.

- Non sono cieco signor Min. Ho visto come me ne parlava, come mi parlava di lei, l'unica cosa che voleva fare era ritornare a casa disperatamente da qualcuno. E presumo che quel qualcuno sia lei - continuò a parlare lo sconosciuto imperterrito.

- Questo non è il luogo adatto per parlarne - disse Yoongi, sconfitto.

- Ho ragione quindi? -

- Non qui ragazzo. Vieni con me -

- Qui possiamo parlare senza problemi - disse, una volta entrati nel suo appartamento. Era un luogo che non ostentava la ricchezza o l'eleganza, al contrario, era un alloggio da pochi soldi, scarsamente illuminato, il giusto necessario per leggere un libro quando il giorno soccombeva alla notte.

- Siediti - e fece segno al ragazzo di accomodarsi sul divano accanto a lui.

- Come ti chiami? - chiese l'immortale, rendendosi conto che non aveva nemmeno avuto la decenza di chiedergli il suo nome.

- Kim Taehyung -

- Raccontami cos'è successo - dichiarò serio l'uomo, volendo sapere ogni cosa che gli era stata preclusa conoscere. Taehyung fece un grosso sospiro, teso e desolato, gli occhi vitrei di morte, non la sua, ma le morti vissute sul campo di battaglia.

- Ho conosciuto Jimin il primo giorno. Eravamo stati assegnati allo stesso contingente, ed essendo entrambi medici, operavamo insieme. Si sa, la guerra nonostante l'odio, unisce gli uomini. Perché ogni sera tutti pregavamo per la stessa cosa: tornare a casa da quelli che amavamo. Mi ricordo che il signor Park, nominava spesso il figlio Jungkook e anche la moglie, Misun. Ma il nome che gli ho sentito pronunciare più spesso è stato il suo, signor Min. Mi diceva spesso che eravate amici di lunga data, ma da come ne parlava non sembrava affatto. Lo sentivo sussurrare il suo nome prima di addormentarsi fra il fango e i morti della trincea, lo pronunciava ogni volta che stava per imbracciare il fucile e scendere in campo a salvare qualcuno. Era una specie di preghiera. Ogni notte, quando riusciva a recuperare uno straccio di foglio e dell'inchiostro, usava il suo tempo per sfogarsi. Erano tutte lettere indirizzate a lei signore - Taehyung, finito di parlare, appoggiò la schiena al divano, evidentemente il troppo parlare lo aveva sfinito.

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 𝘎𝘭𝘪 𝘢𝘯𝘯𝘪 𝘪𝘮𝘮𝘰𝘳𝘵𝘢𝘭𝘪 𝘥𝘪 𝘔𝘪𝘯 𝘠𝘰𝘰𝘯𝘨𝘪 || 𝑶𝒔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora