Mera si maledí non appena mise piede alla Mela Avvelenata.
Perché era lì? Cosa le era saltato in mente quando aveva deciso di entrare?
Oramai il danno era fatto, però.
Avanzò quasi scivolando, simile ad un fantasma, lungo il locale. I tavoli erano pieni di uomini corpulenti, donne arcigne, bimbi dagli occhietti rossi e animali dallo sguardo affilato. Con la coda dell'occhio notò un annuncio attaccato al muro con un coltellino da lancio. Un nuovo ballo del principe Giovanni. Forse ci avrebbe fatto un pensierino. C'erano sempre persone ricche e frivole che le avrebbero detto di tutto.
Mera si avvicinò al bancone, sedendosi su uno sgabello, attenta a far calare l'orlo del mantello che indossava sotto il sedere, come separé tra lei e il sudicio legno.
Arabella comparve dalla dispensa, poggiando una mela davanti a lei.
Mera la guardò impassibile, cercando di non far tremare le mani quando prese il frutto dorato.
—E tu saresti quella che mi hanno inviato?— le domandò, prendendo un calice e una pezza, iniziando a pulirlo. —Non sembri nemmeno in grado di pulirmi il banco, con quelle belle manine. Dubito che tu sia un'assassina.
Mera batté le palpebre, lentamente. Bella stava masticando qualcosa, che poi sputò nel calice. Orrore. Si appuntò mentalmente di non bere niente di quel posto, in futuro.
Vedendo che non ribatteva, Bella butto il panno sulla superficie di legno che le separava e le fece un cenno verso i barili di birra, poco distanti. —Prendi qualcosa?
Appunto.
—Non bevo— rispose semplicemente, sentendosi in qualche modo emarginata con quella vocina leggermente tremula, messa a confronto al vocione roco dell'altra.
Bella fece una risata tonante e iniziò a riempire il calice di ferro che aveva in mano con del whisky. Mentre la giovane donna davanti a lei si scolava l'alcolico, Mera era si chiese sotto quale criterio aveva dedotto che non sembrava un'assassina.
Ovvio che un assassino non sembrasse un assassino, altrimenti sarebbero già stati tutti imprigionati, no?
E poi nemmeno Bella sembrava una barista, eppure lo era. La squadrò, serafica. Non era decisamente brutta, anzi. Si chiese come avesse fatto a finire in quel postaccio. E doveva ammettere che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, le sembrava simpatica. Con quel visetto tondo e giulivo, quegli occhi verde scuro come la foresta e pieni di entusiasmo, e quegli indomabili capelli rossi le risultava impossibile non provare simpatia nei suoi confronti.
Aveva un vestito da cameriera, eppure neppure quello poteva oscurare il suo vitino sottile e le sue dolci forme, di sicuro ricercate tra gli uomini.
No, non era affatto brutta. Si chiese quanto potesse essere meravigliosa se tirata a lucido, considerando quanto brillava in quello straccio di vestito e con lo sporco sulla pelle.
Bella tornò da lei, con un sorrisetto sul volto e gli occhi lucidi. Si appoggiò al bancone con i gomiti lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia e mise il mento sui palmi delle mani, guardandola incuriosita.
Tanta bellezza data ad un essere senza grazia, si ritrovò a pensare Mera, rimproverandosi subito dopo per la sua cattiveria.
—Come hai detto che ti chiami?— chiese, con un tono leggermente brillo.
La sedicenne sospirò. —Non l'ho detto. Era sul biglietto da visita che ti hanno inviato.
—Malefica?
—Esattamente.
Bella storse le labbra, in un'espressione di disappunto. Il suo sguardo vagò sul vestito di Mera, che provò l'impulso irrefrenabile di coprirsi da quello sguardo indagatore e penetrante.
Se solo potessi prendere il mio…
La donna puntò gli occhi nei suoi. Alzò un sopracciglio, ironica. —Guarda che l'ho visto, il coltello nel corpetto— le fece notare, con una sorta di delusione.
Mera, abbastanza sorpresa, si chiese se fosse delusa dal fatto che si era portata dietro un coltello, dal fatto che ne aveva solo uno, o che non fosse stata abbastanza brava a nasconderglielo.
Beh, si disse. Almeno non ha visto…
—Ho notato anche quello sulla gamba e quello tra i capelli, cara la mia assassina.
Maledizione.Giovanni si chiese cosa avrebbe fatto, adesso.
Quell'idiota di Robin Hood continuava a saccheggiare il suo oro, mandandolo in rovina. Anzi, mandando in rovina il paesino che tanto diceva di proteggere e di amare. Li avrebbe uccisi tutti, di questo passo.
Il principe si passò le mani tremanti tra i capelli biondi.
Cosa posso fare? Cosa posso fare? Cosa posso fare?
Di sicuro, decise. Non dire la verità a Robin. Quel presuntuoso penserebbe di poter risolvere tutto da solo, e farebbe andare in fumo tutto il mio lavoro di questi cinque anni.
Si accasciò sulla prima poltrona vicina, stringendosi nel mantello. Nonostante il camino fosse acceso, brividi freddi lo facevano tremare.
Proprio quando si stava per alzare per andare a prendere una coperta di lana, il signor Gregor entrò nella stanza.
Vedendolo rannicchiato in un angolo il buon cuore dell'uomo si strinse. Se solo i suoi genitori non fossero morti, forse quel ragazzo avrebbe avuto una vita migliore di quella che conduceva adesso. Con il peso delle vite del suo popolo, un brigante impossibile da imprigionare, e una rivolta cittadina tra le mani la pressione lo stava divorando.
A passo svelto lo raggiunse con poche falcate. Era venuto lì quasi sicuramente per consigliargli di andare a letto, ma Giovanni intuì che a quel punto avesse capito anche lui che gli sarebbe stato quasi impossibile.
Il maggiordomo si inginocchiò, davanti al suo principe. Da dire sembrava assurdo. Come poteva un diciassettenne essere il sovrano di un settantenne? Eppure era così. La vita non è giusta, ma altrettanto assurda.
Giovanni guardò il signor Gregor, con sguardo assente. Da piccolo lo chiamava sempre per nome, e sua madre lo rimproverava sempre. Gli diceva che non era così vicino a lui da potersi permettere di chiamare con il suo vero nome, e che doveva chiamarlo signore. Così Giovanni aveva iniziato a chiamarlo signor Gregor. Dopo un po' tutti rinunciarono a fargli cambiare idea, e Gregor Behemi per lui fu sempre il solo e inimitabile signor Gregor. Oltre che un padre, ovviamente.
L'uomo mise le mani sulle ginocchia del ragazzo, e cercò i suoi occhi grigi. —Vedrà che si risolverà tutto— lo rassicurò. —E quando tutto questo sarà finito potrete partire, e andare ovunque voi vogliate, per la vostra ricerca.
Giovanni gli regalò un sorriso stanco. —Le tue sono belle parole, signor Gregor. Ma non penso che potrò mai lasciare il mio regno. Mio fratello Riccardo non vede l'ora di poter mettere le mani sui miei sudditi. Non posso abbandonarli. Nemmeno per la mia ricerca.
—Ma si tratta delle ricerca più importante della vostra vita!— esclamò il signor Gregor fissandolo, stralunato. —La ricerca dell'amore non può essere rimandata per nessun motivo!
Giovanni socchiuse gli occhi, senza dargli risposta. Era vero, lui avrebbe dovuto, avrebbe voluto, cercare una donna che lo rendesse felice. Una donna dolce, che quando sarebbe tornato da una riunione con i suoi comandanti delle guardie l'avrebbe caricato di attenzioni, senza lasciarlo andare. Una donna paziente, che l'avrebbe aspettato in caso di guerra, sperando di vederlo tornare vittorioso ogni sera. Una donna amorevole, che non avrebbe esitato a dirgli che lo amava ogni qual volta che sentiva il bisogno di dirlo.
Ma semplicemente non poteva lasciar morire i suoi cittadini, nonostante tutti lo odiassero. Nemmeno per l'amore della sua vita. E questo era deciso. Perché era questo che faceva un principe. Un re.
Senza nemmeno provare a resistere, Giovanni cadde in un sonno profondo, senza sogni. Il suo petto si alzò e abbassò ritmicamente, annunciando al signor Gregor che non era più disponibile per parlare.
Il maggiordomo sbuffò, incredulo. Come poteva quel ragazzino rinunciare a quella che sarebbe stata la sua più grande gioia per l'odio di tutte quelle persone?
Perché lui era buono, e generoso.
E anche se non lo sapeva, quello era il suo grande pregio.Herzen batteva ritmicamente il dito sul banco, mentre ascoltava la precettrice parlare a vanvera su un tipo, un principe a quanto pare, che abitava lì vicino.
Quanto avrebbe voluto andarsene da lì. Avrebbe voluto avere i capelli di Raperonzolo, per uscire da quella torre. Peccato che lei non avesse i capelli né lunghi, né biondi, e né altrettanto magici.
E soprattutto avrebbe voluto che Jonathan fosse lì con lei, e non da qualche parte in mare a trattare con delle sirene che, senza ombra di dubbio —e senza nessun pudore—, ci avrebbero provato con lui mettendosi in mostra nei peggiori dei modi. E senza nemmeno il reggipetto di conchiglie, per dirla tutta. E questo la irritava. Non perché pensasse che Jonathan provasse a tradirla con una sirena, questo no, ma non le piaceva che tutte quelle donne gli stessero così vicino. E perché non era lì, con lei, per andare a quel ballo che avrebbe tanto adorato. E questo la rendeva tristissima. Tanto da superare l'irritazione.
Sollevò lo sguardo annoiato sulla signora Hart, che con le guance rosse faceva avanti e indietro davanti alla cattedra.
—Il principe Giovanni ha invitato Vostra Maestà ad un ballo di beneficenza, dovrete prepararvi! Prenderete lezioni di ballo, tanto per rinfrescare la vostra fluidità nel ballare. Poi verranno i più grandi sarti a cucirvi l'abito da ballo, ma, mi raccomando, faccia attenzione, se vi dicono che quella stoffa può essere vista solo dagli intelligenti è una trappola. Dopo verranno i calzolai più rinomati del reame per crearle delle scarpette me-ra-vi-glio-se! Per non parlare poi dei parrucchieri che…— e via così, dopo un po' Herzen perse interesse.
Iniziò a guardare la mosca che le girava da un po' intorno. Prese foglio e matita e provò a disegnarla.
La sua precettrice si interruppe di colpo, smettendo di adulare il principe Giovanni. La guardò, notando la matita che solcava il foglio. Il suo sguardo si addolcí, vedendo la ragazzina disegnare indisturbata. Ovviamente si era accorta da un bel pezzo che non la stava più ascoltando, ma voleva fare almeno finta di non essersene accorta.
Si avvicinò con leggiadra alla quindicenne e si chinò, guardando il suo disegno.
Storse le labbra in segno di disapprovazione per la scelta del soggetto —una mosca puzzolente—, ma dovette ammettere che Herzen aveva grandi capacità artistiche. Dopotutto c'era un motivo se tutti l'avevano soprannominata la Regina di Cuori. Dopo che aveva disegnato completamente da sola la Sala del Trono ispirandosi alle carte da gioco di sua invenzione se lo era meritato, quel nome.
Improvvisamente Herzen alzò la testa di scatto, accorgendosi della presenza della donna solo allora.
Arrossì fino alla punta delle orecchie, balbettando. —M-mi scusi… io non… io non intendevo mancarle di rispetto… ho solo pensato…
La signora Hart la interruppe, con un gesto della mano. Herzen si zittí, stupita.
La donna le sorrise, cogliendola alla sprovvista. —Non scusarti, non è successo nulla.
È la prima volta che mi da del tu, si ritrovò a pensare la giovane, sconcertata.
—Però questo non toglie che ora debba ascoltare il programma, Sua Signoria.
Eccola che ritorna.Welà, vent'anni per scriverlo
Spero che vi piaccia, è una roba che mi è venuta in mente guardando Shrek e...
Nulla volevo sapere se è accettabile
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Percy Jackson E Multifandom (Collaborazione di Laragazzaconilchat)
UmorismoIl giorno dell'ira, di incendi mai spenti, Veggente e Sibilla annunciano, senti, che ridurrà in cenere il mondo e i viventi. -Abraham Coles Boh, nulla, ci sono io che faccio la cretina e roba fandom