Follia.

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Liz's pov.
 
«Davvero?» domandò stupito.
«Sì… Insomma è stato tutto così improvviso.» ribattei sorseggiando la mia coca-cola.
«E tu… Tu gli hai detto che ci saresti stata?» non riuscivo a capire se fosse stupito, sconvolto o indispettito.
«Marco, gli ho detto che volevo provarci. Cosa dovevo fare?» Chiesi incapace di comprenderlo.
«Be’, ma… Non è... Adatto a te. E’ famoso Liz, ti procurerà casini. Pensa a tutto quello che comporta il fatto che abbia migliaia di fan. Che deve girare il mondo ogni sei mesi e poi… Ci saranno altre mille complicazioni» disse gesticolando nervosamente con le mani.
«Okay, qual è il vero problema? No perché ti giuro non riesco a capirti. Tu e Nicole mi fate sempre prediche sul fatto che dovrei lasciarmi andare, per una cazzo di volta ci provo, voglio fare qualcosa di normale, e tu non puoi essere solo felice per me come qualunque migliore amico, vero? No, ovviamente no. Certo, devi trovare qualcosa che non va bene.  Sai una cosa? Non me ne frega un cazzo. Per una volta, una sola volta nella mia vita, voglio buttarmi, senza pensare alle conseguenze. Vi dispiace così tanto?!» sbottai sfogando tutto quello che avevo dentro.
«Lo dico per te, non voglio che tu stia male…» cominciò lui con il suo solito tono di chi la sa lunga.
«Certo. Perché invece ora sto bene. Fammi il piacere!» lasciai la lattina sul tavolo e mi alzai infilandomi velocemente il cappotto.
«Liz e dai, non fare così…» cercò di bloccarmi ma io mi liberai dalla sua stretta e «Sai una cosa? Sono venuta qui perché volevo condividere con te qualcosa di bello visto che condividiamo per la maggior parte dolori. Speravo che per una volta potessi essere felice per me, ma a quanto pare mi sono sbagliata.» Aprii la porta e scesi velocemente le scale lasciandolo di stucco davanti alla porta. Lasciai qualche lacrima cadere una volta uscita dal portone.
Perché dava per scontato che sarebbe andato tutto male? Perché non potevamo gioire e basta?
 
«Non riesco a spiegarlo, è strano.» risposi torturandomi le pellicine. 
«Prova a chiudere gli occhi e a dirmi quello che percepivi, sentimenti, sensazioni, odori… Qualunque cosa ti venga in mente.» propose il dottore con sguardo indagatore.
Feci come mi era stato chiesto e iniziai a ricordare.
«Sentivo il suo profumo, era forte. Era lo stesso di cui erano impregnate le lenzuola del suo letto. E proprio come la sera in cui sono andata a dormire da lui mi sono sentita protetta, come se la paura che provo solitamente sia una cosa stupida. Il suo corpo era molto caldo e… Mi sono avvicinata di più per scaldarmi.» Cercai di rievocare ogni particolare, ma era difficile.
«D’accordo. Che rumori c’erano?» 
«Era abbastanza silenzioso. C’erano solo le nostre voci e il rumore del vento.» riaprii gli occhi, volevo arrivare al dunque.
«Dottore, non so perché, ma Niall mi rende vulnerabile facendomi sentire forte. E’ la sensazione più strana che io abbia mai provato.» confessai non sicura che il dottore potesse afferrare il concetto. Ma poi lo vidi sorridere sotto i baffi.
«Tranquilla, è del tutto normale.» disse lui semplicemente. Io ero sempre più preoccupata.
«Ho paura.» Ammisi senza riflettere.
«Dire che hai paura mi sembra un eufemismo, a me sembri decisamente terrorizzata da tutto quello che sta succedendo, quello che mi chiedo è… Paura di cosa, precisamente?» il suo sguardo era penetrante, come se cercasse la verità nei miei occhi.
 
Calciai una lattina di birra ormai vuota ai piedi del marciapiede e questa rotolò fino ad arrivare all’altezza di una panchina abbandonata che conoscevo fin troppo bene.
Ripresi a camminare con la visiera del cappello a coprire lo sguardo incendiato e il cappuccio a proteggermi dagli occhi della gente fin troppo curiosa.
L’unica cosa che riuscivo a provare era una rabbia implacabile.
Per questo, quando qualche ora dopo Niall mi chiamò gli attaccai in faccia.
Non volevo parlare con lui, né con nessun altro. Volevo solo smettere di cercare la felicità, perché io non l’avrei mai trovata, non l’avrei mai sperimentata. Non sarei mai stata una persona normale, non importava se il dottore o Nicole o chiunque altro credeva che potessi farlo. Io non potevo. Io non ero normale.
Ero complicata, forse più degli altri miei coetanei, forse non rispondevo alla logica comune, forse ero sbagliata, ma sicuramente non ero normale e non lo sarei mai stata.
Non me ne ero mai fatta un problema, ma ora lo era.
Perché per la prima volta in vita mia volevo sentirmi una qualunque adolescente alle prese con la sua prima cotta, le sue prime delusioni e tutte quelle stronzate che si leggono nei libri.
Invece lottavo contro me stessa per cercare di capire se fosse giusto o no lasciare che Niall riuscisse a conoscermi davvero.
Ma io sapevo già qual era la risposta esatta. Perché Marco aveva ragione: avrei sofferto.
Avevo scelto proprio la persona sbagliata.
O meglio, la persona sbagliata mi aveva scelta. Perché non ero stata io a decidere un bel niente.
Lui era piombato nella mia vita, lui mi aveva cercata, lui mi aveva baciata.
E io? Io ero d’accordo?
All’inizio sì, ma ora… Ora, come ogni volta che eravamo distanti, pensavo che fosse tutto un grande errore.
Forse dovevo ammetterlo, ero andata da Marco perché volevo rassicurazioni.
Lui però aveva solo confermato tutti i miei timori. Lui mi conosceva troppo bene per poter sperare che sarei stata bene.
Quando sentii la suoneria di skype proveniente dal computer mi sorpresi, perché non ricordavo di averlo lasciato acceso. Mi sedetti di fronte lo schermo e guardai il sorriso furbetto della foto del profilo del mittente.
Un justin Bieber con un sorriso adatto ad una pubblicità per dentifrici mi fissava.
Niall aveva cambiato di nuovo la foto del suo finto profilo.
Spinsi il pulsante rosso, e qualche momento dopo mi arrivò un messaggio.
‘Perché non rispondi?’
Doveva aver capito che avevo attaccato, anche perché ero online.
Chiusi la finestra e spensi il computer direttamente dal bottone.
Tornai al libro di storia e rilessi più volte la stessa pagina, senza capirne neanche una parola.
Mezz’ora più tardi, mentre ascoltavo a tutto volume un vecchio vinile il mio telefono prese a squillare fastidiosamente.
Ancor prima di leggere il nome sapevo di chi si trattasse. Nicole a quell’ora era in palestra, Marco non mi avrebbe mai chiamato dopo la sfuriata, avrebbe lasciato passare almeno un po’ di tempo, per poi far finta di nulla, come sempre.
Mio fratello doveva essere a lavoro, e non c’erano molte altre persone che mi cercavano solitamente, a parte una ovviamente.
Dopo aver premuto il tasto rosso per l’ennesima volta, e dopo aver sentito di nuovo il telefono squillare mi chiesi come una persona potesse essere tanto stupida da non capire che non volevo parlargli.
Ero nervosa e furiosa, perché odiavo le persone insistenti, perché non sopportavo litigare con il mio migliore amico, perché ero spaventata molto più di quanto riuscissi ad ammettere, perché non avevo la lucidità per ragionare, perché non ero riuscita a studiare e il giorno dopo avrei dovuto affrontare un’interrogazione.
Tutti questi motivi furono la causa della crepa sullo schermo del mio cellulare, e dei vetri del portafoto sparsi in mille pezzi per terra.
Nonna si affacciò in cameretta, probabilmente aveva sentito il violento urto tra il telefonino che avevo lanciato sul comodino e la cornice che aveva fatto cadere a terra con una foto di me e Daniele.
«Cos’è caduto?» domandò qualche istante prima di fare capolino sulla mia soglia. Non servì rispondere, perché il suo sguardo trovò subito l’origine del rumore.
Mi alzai dal letto e senza degnarmi di dire una parola le chiusi la porta in faccia.
Guardai i vetri ormai frantumati e scoppiai a piangere.
La foto era ancora intatta, ma il fuori ormai era irrecuperabile.
Quella cornice ce l’avevo da sempre. Era sempre stata sul mio comodino con dentro una foto mia e di mio fratello. L’avevo comprata insieme a mamma, inutile dire quanto ci fossi affezionata.
Il telefono reiniziò a squillare coprendo i miei singhiozzi, continuava a riprodurre quella canzone che avevo finito per odiare. Volevo che smettesse così risposi.
«Che c’è?!» tuonai all’interlocutore.
«Hey, che succede?» rispose apprensiva la voce di Niall.
«Niente, che deve succedere? Se non mi va di parlarti per un giorno non è la fine del mondo. A volte sei asfissiante lo sai? Renditene conto diamine!» quasi urlai, tra i singhiozzi.
Spensi il cellulare senza aspettare una risposta, senza aspettare di chiudere la chiamata.
 
 
Mi alzai con le occhiaie peggiori che si fossero mai viste e maledicendo in aramaico la sveglia.
Avevo passato tutta la notte a finire di studiare, fra un pianto, uno sguardo al cielo e un’occhiata al libro.
Quando arrivai a scuola non salutai neanche il mio compagno di banco, che sembrò non accorgersene minimamente. Ero talmente presa dai miei problemi da non accorgermi quanto anche lui ultimamente fosse strano rispetto al solito.
Durante la seconda ora venni interrogata, presi il mio otto e tornai a posto, barcollando.
Ale mi lanciò uno sguardo preoccupato ma poi tornò a scarabocchiare sul suo squadernino.
Apprezzai infinitamente l’assenza di domande.
Poggiai la testa sullo zaino, le palpebre mi si chiudevano da sole.
Ricevetti una gomitata nelle costole e rialzai la testa improvvisamente, i miei compagni risero della scena, facendo battutine che la prof, indignata, fece finta di non sentire.
«Corsi, se la matematica ti annoia così tanto da addormentarti durante la mia ora, puoi anche non assistere la lezione. Fuori dalla classe.» disse con la mascella contratta indicando al porta che aveva appena aperto. Afferrai velocemente il telefono e lo feci scivolare nella felpa della tasca, mi alzai e senza dire una parola uscii dalla stanza.
Mi diressi direttamente in biblioteca, anche se era piccola era l’unico posto in cui mi sentivo a mio agio in quell’edificio.
Ero tanto assonnata da non accorgermi della persona che avevo di fronte e da andarci a sbattere contro.
«Corsi che ci fai qui? Dovresti essere in classe.» riconobbi la voce e alzai lo sguardo per incontrare quello del mio professore di letteratura.
Non appena mi guardò in faccia il suo tono si addolcì.
«Hem.. Io.. La prof mi ha cacciato dalla classe» balbettai presa dallo stupore e dall’imbarazzo per essergli andata addosso.
Non era molto sorpreso, «Hai risposto male a qualche insegnante?» mi conosceva fin troppo bene.
Sorrisi e «No, non stavolta. Credo di essermi addormentata per una decina di minuti durante matematica.» mi ero già ripresa dallo scontro.
«Non hai dormito molto stanotte è?» disse indicando i miei occhi con la mano che non reggeva la ventiquattrore.
Alzai le spalle e «Dovevo studiare.» non aggiunsi altro, non volevo ricevere la pietà di nessuno.
Mi guardò turbato, era indeciso se dirmi o no qualcosa, ma non seppi mai di cosa potesse trattarsi, perché la bibliotecaria mi salutò energicamente, chiedendomi se avessi già finito di leggere l’ultimo libro preso in prestito.
Il professore si allontanò senza direi una parola di più.
 
Erano quasi due settimane che non vedevo Niall, cinque giorni che non parlavamo.
Solo in quei giorni mi resi conto di quanto avesse comunque influenzato le mie giornate con delle piccole cose, come il messaggio del buongiorno o quello della buonanotte, che mi aveva mandato sempre da quando ci eravamo conosciuti.
Mi erano serviti circa due minuti per pentirmi delle mie parole quella sera, ma ovviamente  non avevo avuto il coraggio di farglielo sapere.
Un po’ per orgoglio, un po’ perché avevo paura che non avrebbe accettato le mie scuse.
Mi sentivo stronza ed egoista. Non si meritava quelle cattiverie, era solo capitato nel momento sbagliato.
Neanche Marco mi aveva scritto in quei giorni, perfino Nicole sembrava non aver più tempo di pensare a me.
Non mi ero mai sentita tanto sola.
 
 
Niall’s pov.
 
 
Cercavo di scrivere quella benedetta canzone che ci avevano assegnato. Ma proprio non ci riuscivo.
Non avevo neanche una mezza idea.
In compenso alle prove stavo andando fortissimo.
Evitavo di pensare a Liz il più possibile e l’unico modo per farlo era concentrarmi su altro, per esempio sulle esibizioni.
Mi aveva fatto sentire un perfetto idiota, un adolescente alle prime armi, un dodicenne alla sua prima cotta.
Mi ero sentito così ridicolo da aver completamente perso le speranze.
Volevo considerarla un capitolo chiuso, davvero.
La verità però era che quel mio lato masochista non mi permetteva di lasciarla da parte, di andare oltre.
Così  indeciso su cosa scrivere entrai su twitter e per l’ennesima volta visitai il suo profilo.
Non scriveva quasi mai, quindi fui piuttosto sorpreso di vedere un nuovo tweet.
-Forgetting all the hurt inside you’ve learned to hide so well, pretending someone else can come and save me from myself…*
Sentii il cuore pesante. Sapevo che non l’aveva scritta solo perché era uno di quei ritornelli che ti entrano nella mente e non ci escono più.
No, Liz non era quel tipo di persona che seguiva le nuove hit. Lei si fissava con le canzoni che le appartenevano, in cui si rispecchiava, e fu questo a farmi sentire male per lei.
Il fatto che quelle parole le ritenesse adatte a lei era molto preoccupante.
Non sapevo cosa le stesse passando per la testa, sapevo che stava male, quello che ignoravo era la causa del suo malessere.
Improvvisamente mi sentii impotente e infinitamente stupido.
Tutto il rancore nei suoi confronti sfumò come un piccolo fuoco si dissolve al primo alito di vento.
La voglia di vederla era tanta, troppa.
E per la seconda volta da quando la conoscevo mi arrischiai ad affidarmi al mio istinto.
Fu così che il giorno dopo mi ritrovai all’aeroporto Leonardo Da Vinci, Fiumicino, Roma.
Salii su un taxi e mostrai al conducente l’indirizzo scritto sul mio cellulare e partimmo.
Era forse la cosa più avventata e trasgressiva che avessi mai fatto.
Quando la sicurezza all’aeroporto di Dublino non mi avrebbe trovato sarebbe successo un putiferio, ma in quel momento non volevo preoccuparmene.
Il fatto era che non mi avrebbero mai concesso due giorni di riposo per andare in Italia senza una motivazione valida.
Sentivo che era una follia, perché probabilmente Liz non voleva vedermi, ma ormai ci ero dentro fino al collo e tanto valeva rischiare. Certo dopo che mi aveva detto di essere asfissiante presentarmi sotto casa sua senza preavviso forse sarebbe stato da pazzi. Anzi, leviamo il forse.
Finalmente riuscivo a capire cosa intendevano le persone usando l’espressione ‘pazzi d’amore’.
Liz mi rendeva del tutto irrazionale. Una cosa del genere non l’avrei mai fatta per Demi, ma ora ne valeva la pena.
Pagai la corsa e scesi dal taxi con il mio zainetto. Camminai lungo il portico, cercando tra i vari portoni il numero 93.
Quando lo trovai ero indeciso su cosa fare.
Insomma, non sapevo neanche se fosse a casa!
Okay, forse il mio non era un piano geniale.
Mi guardai intorno sentendomi smarrito. Non sapevo cosa fare, ma per fortuna non dovetti soffermarmi troppo a pensare, perché una ragazza con un cappello che le nascondeva il volto e le sue amate cuffie stava camminando con lo sguardo basso nella mia direzione.
Il cuore cominciò a martellarmi nel petto tanto da sentirmi il sangue pulsare perfino nelle tempie.
Cosa avrei potuto dirle? Da dove cominciare?
Mi guardò fugacemente riabbassando immediatamente lo sguardo e poi, come a realizzare ciò che i suoi occhi avevano appena visto, si immobilizzò tornando a guardarmi.
Eravamo a circa dieci metri di distanza.
Mi passai la mano dietro la nuca, imbarazzato dalla situazione.
Lei sembrava sconvolta. Aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse.
«Ciao» riuscii a mormorare sperando di non essere tanto rosso, anche se ero sicuro che perfino le mie orecchie erano diventate scarlatte.
Lei non disse niente, ma si avvicinò insicura e poi fece qualcosa che non mi aspettavo assolutamente.
La distanza che correva tra di noi era di un respiro. 
Mi guardò negli occhi e mi persi nelle sue iridi cangianti, ma presto interruppe quel contatto per crearne un altro.
Si appoggiò al mio corpo unendo le nostre labbra in un bacio lento e dolce.
In quel momento ebbi la certezza che quella era la stronzata migliore che avessi mai fatto.
Passai le mani attorno ai suoi fianchi per ricongiungerle dietro la sua schiena e attirandola ancora più vicina.
Di tutta risposta lei portò le mani fra i miei capelli mordicchiando piano il mio labbro inferiore.
Sentii il suo respiro mischiarmi con il mio, poi prese a baciarmi con forza, come a volermi punire.
Mi tirai indietro per un attimo, cercando di riprendere fiato, ma sembrava non averne ancora abbastanza e fece rincontrare le nostre bocche, chiedendomi di approfondire quel bacio. Non ci volle molto tempo per far si che le nostre lingue si scontrassero e si assaporassero.
Levò le mani dai miei capelli e solo qualche secondo più tardi, quando il portone si aprì, capii cosa stava facendo.
Mi attirò nell’androne come una calamita, senza volersi staccare un attimo da me, continuando a divorarmi le labbra.
«Hei piccola vacci piano» dissi senza fiato ma subito lei replicò e «Ti prego sta’ zitto» mi implorò con il fiato corto e tornando avidamente ad impossessarsi della mia bocca.
Mi spinse contro il muro e non riuscii ad evitare una risata di sollievo. Era un buon segno il fatto che mi volesse così tanto, no?
Lei rispose stringendo forte qualche ciocca dei miei capelli disordinati, facendomi rabbrividire.
Quando alla fine ci ritrovammo, non so come, in ascensore interruppe il bacio ansimante, poggiandosi al mio petto, e tenendo le braccia avvolte ben salde al mio corpo. Sembrava quasi che stesse ascoltando il mio cuore palpitante. Sperai che non percepisse la mia agitazione.
Finalmente riuscii a riprendermi e pensai che io quella ragazza non l’avrei mai capita.
Era come se avesse disperatamente bisogno di stringermi e la cosa mi gratificava in un modo che non riuscivo a spiegare.
Quando le porte si aprirono si staccò dal mio corpo per la prima volta da quando ci eravamo visti.
Aprì la porta di casa sua e mi invitò ad entrare, rossa in viso e con i capelli scompigliati.
Mi presentò ai suoi nonni, con mio grande imbarazzo. Be’ questo di certo non lo avevo programmato.
Sua nonna disse qualcosa che somigliava ad un ‘Hello’ molto italianizzato. Probabilmente era l’unica parola che conosceva.
Le sorrisi cercando di sembrare il più educato possibile poi Liz mi trascinò in camera sua chiudendosi la porta alle spalle.
Mi guardai intorno rimanendo a bocca aperta.
Era probabilmente la cameretta più personalizzata che avessi mai visto.
Le pareti erano piene di frasi e di citazioni provenienti da libri e canzoni.
«Puoi posarlo lo zaino, sai?» mi voltai di scatto indietro, quasi mi ero dimenticato di averlo sulle spalle.
Lo poggiai per terra e poi mi sedetti su uno dei due letti, probabilmente il suo.
«Mi dispiace» disse poi quasi a fatica.
Non era sicuro di sapere a cosa si riferisse precisamente.
«Cosa ti è..?» non feci in tempo a formulare la domanda che lei mi interruppe.
«Per favore, non ne parliamo. Piuttosto, tu che ci fai qui, a 1435 chilometri da casa?» chiese sedendosi sulla sua scrivania e lasciando penzolare le gambe.
«Oh sai… Mi è presa un improvvisa voglia di visitare Roma, mi hanno detto che è una città affascinante, specialmente per le persone che ci vivono..» dissi ironico e facendola sorridere.
Mi sentii rincuorato quando la vidi così… Serena.
«Dico sul serio superstar… Che sei venuto a fare?» Gli occhi saettavano per tutta la mia figura.
Mi alzai e le andai di fronte.
Tornai serio e «mi hai sfuriato al telefono e poi non ti sei fatta più viva... Ho pensato che ti fossi stufata di me, che non volessi più vedermi. Pensavo che quel ‘proviamoci’ si fosse trasformato in un ‘no’. Ma… Non volevo che finisse così» risposi sentendomi andare a fuoco.
Sorrise abbassando la testa e coprendosi la faccia con le mani.
Aspettai, sperando che mi spiegasse cosa le passasse per la testa.
«Hai preso un aereo e sei venuto qui solo perché non ci sentivamo da sette giorni?» chiese con un sorriso che feci fatica ad interpretare.
«Sì.» risposi deciso.
I suoi occhi si illuminarono di quella luce particolare che mi era capitato di vedere solo raramente.
«Quindi la prossima volta che vorrò vederti basterà spegnere il telefono per qualche giorno, interessante» disse con espressione pensierosa.
Ridacchiai e mi avvicinarmi al suo volto. «Mi  hai fatto stare in agonia per ua settimana intera.» sussurrai sulle sue labbra.
«Scusa» ripeté ancora facendomi spazio tra le sue gambe per permettermi di avvicinarmi maggiormente e baciarla.
Fu solo un breve contatto casto, ma sentii ugualmente le viscere attorcigliarsi.
«Liz…» volevo chiederle cose le stesse succedendo, cosa le fosse preso, perché non mi avesse scritto più. Ma lei mi zittì ancora una volta unendo le nostre labbra.
Ricordai quando due settimane prima io avevo provato a baciarla e lei si era scansata, ora sembrava un’altra persona. Aveva la capacità di confondermi come nessuno mai ci era riuscito prima. E questo mi intrigava parecchio.
«Ti avevo detto che sarebbe stato complicato..» mi ricordò lei.
«Credimi, stare nel dubbio e non capire se era davvero finita o no è stato molto complicato» sfiorai il mio naso con il suo.
L’aria era densa del suo profumo inebriante, mi sentivo davvero in un universo parallelo.
«Non fare mai più una cosa del genere» la pregai.
«D’accordo.» riaprii gli occhi e le sue iridi catturarono le mie facendomi preda.
«Come hai scoperto dove abito?» chiese poi distanziandosi un po’.
«Essere l’idolo della migliore amica della ragazza di cui sei innamorato ha i suoi vantaggi» dissi sarcasticamente.
Lei ridacchiò e scosse la testa, quasi si aspettasse quella risposta.
Continuammo a parlare, ma ogni volta che le chiedevo cosa avesse lei mi baciava.
Non che la cosa mi dispiacesse, ma ci ero arrivato perfino io a capire che lo faceva apposta per evitare l’argomento. Quello che mi sfuggiva era il motivo per cui si nascondeva.
Alla fine lasciai perdere, se non voleva parlarne non potevo di certo forzarla.
«Non sapevo cosa sarebbe successo, ma non mi sarei mai aspettata di vederti sotto casa mia.» mormorò poi.
«Credermi, anche io non mi sarei mai aspettato di fare una cosa del genere. Ho paura di accendere il cellulare e vedere le migliaia di chiamate perse da parte della sicurezza, dei ragazzi, della mia famiglia…» dissi elencando mentalmente tutte le persone che sarebbero state avvertite.
«Perché?» chiese confusa.
«In realtà avevo chiesto tre giorni per andar a Mullingar, ma invece di un biglietto per l’Irlanda ne ho preso uno per l’Italia. Non so cosa mi faranno quando lo sapranno. Anzi, lo avranno già scoperto probabilmente.»
«Tu sei fuori di testa» sentenziò sorridendo.
«Lo so e ne sono maledettamente contento.»
 

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