Niall’s pov.
Mi siedo sul bordo del letto e punto i gomiti sulle ginocchia, sorreggendomi la testa con le mani: fa male. Mi fa male la testa, mi fanno male le ossa, mi fa male il cuore ad ogni contrazione. Riesco a percepire solo quanto questa sensazione sia sbagliata.
Sento un mugolio di dolore e mi volto di scatto: Liz si rigira e poi mi viene accanto.
La guardo, ma invece di perdermi nelle sue linee sinuose, gli occhi cadono sui segni rossi che le ho appena lasciato.
Il senso di colpa comincia a farsi strada.
Con fin troppa sorpresa mi rendo conto di essere stato rude e anche abbastanza violento a giudicare dalle sue smorfie nel muoversi.
Sento il cuore che inizia di nuovo la sua corsa e l’ansia invade il mio stato d’animo in modo prepotente.
La cosa che mi spaventa maggiormente, è che non mi sono reso conto di cosa stessi realmente facendo: ero troppo concentrato ad assicurarmi che mi appartenesse.
Mi sembra di averla marchiata a fuoco, per sottolineare che fosse una mia proprietà.
Io non sono questo tipo di persona, io non voglio esserlo.
E’ la gelosia. E’ lei che mi fa essere così.
Sì, la gelosia è il mio demone. Mi rende una persona diversa, sbagliata.
E’ come un veleno che si alimenta autonomamente: mi trasforma e mi divora senza lasciarmi scampo.
La odio, la odio con tutto me stesso. Si impossessa di me e tira fuori la mia parte peggiore, la parte più scura della mia anima.
Guardo ancora i graffi che sono impressi sulla sua pelle e distolgo immediatamente lo sguardo.
La consapevolezza di quanto tutto questo sia sbagliato – di quanto io stesso sia sbagliato – si insinua nella mia mente e so che non se ne andrà presto.
Liz non è un oggetto e non è proprietà di nessuno. Con quale diritto pretendo di possederla?
Questo non è amore.
«Niall» la sua voce mi arriva come un eco lontana, quella che risuona ancora più forte è quella nella mia testa che mi fa credere di essere una persona orribile.
«Niall, mi guardi?» richiama la mia attenzione posando le sue dita sulla mia mano.
Mi volto e i suoi occhi preoccupati mi riscuotono.
Avrò tutto il tempo di aggiungere la giornata di oggi alla lista degli errori in seguito, non è adesso il momento.
Le sorrido e spero che ci creda.
Si rilassa visibilmente e mi passa la mano tra i capelli, scompigliandoli tutti.
«Mi piacciono queste ciocche castane. Secondo me staresti bene anche con il tuo colore naturale…» dice con l’espressione assorta, forse cercando di immaginarmi senza la tinta.
Alzo il sopracciglio in una delle espressioni buffe che piacciono tanto a lei. Scoppia a ridere e io chiudo gli occhi: devo solo non pensare.
La avvicino e le stampo un bacio sulle labbra.
«Se ci sbrighiamo andiamo a cenare» dico poi guardando l’orologio.
Qualche ora dopo torniamo in stanza, ma il mio stato d’animo è sempre lo stesso; è difficile starci insieme con questi pensieri che vorticano in testa...
Entro e mi levo il giacchetto. Liz fa lo stesso e poi va al bagno.
Ne approfitto per prendermi un’aspirina per il mal di testa, poi mi prendo del tempo per decidere cosa fare; lo sguardo cade sulla chitarra e non ci penso più di tanto: la tolgo dalla custodia e la metto sul letto.
Inizio ad accordarla partendo dalla quinta corda, come ho imparato qualche anno fa.
Stringo qualche corda e ne allento qualcun’altra.
Liz esce dal bagno e fruga nella borsa per poi tirare fuori il telefono.
«Chiamo due minuti Nicole.» mi avverte aprendo la finestra.
Le sorrido in modo distratto, poi comincio a strimpellare qualche accordo a caso… Dovrei comporre una canzone, ma non credo di esserne capace.
Mi tocco automaticamente l’orecchio, come per sistemarmi l’auricolare, ma l’auricolare non c’è.
Non è la prima volta che mi succede, odio questi gesti automatici.
Sento la portafinestra chiudersi, Liz viene a sedersi vicino a me e l’ansia inizia di nuovo a crescere.
«Che suoni?» chiede cercando di riconoscere gli accordi.
«Niente… I manager vogliono che il prossimo album sia scritto da noi quindi dobbiamo scrivere almeno una canzone a testa e la scadenza è tra poco, non so davvero se ci riuscirò.» Mi confido. Almeno di questo posso parlargliene.
«Dai, se parti così pessimista non ci riuscirai mai.» mi da una spallata leggera cercando di farmi sorridere.
«E’ che magari la base posso farla, con la musica me la cavo piuttosto bene, ma le parole... quelle proprio non so dove prenderle.» le spiego pazientemente.
Aggrotta le sopracciglia in un espressione confusa. Sta per dire qualcosa ma poi si morde la lingua.
«Scrivi su qualcosa a cui tieni molto» prova a suggerirmi dopo qualche secondo.
«Tipo?» domando non avendo alcuna idea.
«Non so, ad esempio l’Irlanda? Quanto sei affezionato alle tue origini, come è stare lontano durante il tour... cose così, che hai vissuto in prima persona.» dice stringendosi tra le spalle.
Non so perché ma non ci avevo mai pensato.
«Sei un piccolo genio» dico lasciandole un bacio sulla fronte.
L’ansia scende di nuovo.
Queste cose non riesco a spiegarmele, lei potrebbe distruggermi in ogni momento, ma allo stesso modo potrebbe rincollare tutti i pezzi, anche quando si fanno davvero minuscoli.
E ormai mi rendo conto che lo ha fatto tante volte. Lei condiziona il mio umore fin troppo facilmente e comincio a chiedermi se questo sia normale.
«Vuoi suonare un po’?» domando passandole la chitarra.
Scuote energicamente la testa, scostandosi, evitando di toccarla.
La riconosco quell’espressione, è la solita di quando le viene in mente qualcosa che la turba.
«Suona tu, io ti ascolto.» dice con la voce un po’ tremolante all’inizio ma sicura alla fine.
Non insisto, arriverà il momento anche per quello...
Passiamo la seguente mezz’ora a canticchiare le canzoni più famose che conosciamo entrambi; mi fa tenerezza: crede di essere stonata, ma in realtà se la cava abbastanza bene per non aver studiato canto.
Liz e la musica sono un connubio unico, mi rilassano tantissimo. Conciliare le mie due più grandi passioni del momento è fantastico. Vorrei poterlo fare più spesso...
Quando si fa più tardi ci mettiamo a letto, ancora ridendo per la telefonata di Liam che, disperato, non trova più il DVD di Batman, quello che ha quasi fuso per quante volte lo ha visto. Non sapevo che lui e Liz si sentissero così spesso e sento ancora una volta quella sensazione maledetta che tenta di disgregarmi, ma stavolta non mi lascio sopraffare, la sopprimo, almeno in parte.
Mi concentro sul fatto che ora siamo insieme, sul fatto che lei stia bene e che sia felice.
Mi concentro sul suo sorriso, che mi è mancato tantissimo, come la sua espressione mentre ride: è così dolce... è una persona speciale e mi sembra assurdo che il destino ci abbia fatti incontrare. Forse neanche me lo merito di stare con una ragazza come lei.
Mi avvicino di più al suo corpo e una sua gamba scivola tra le mie.
«Me lo dici ora perché hai reagito così quando ti volevo dare la chitarra?» le sussurro sulle labbra mentre le scosto i capelli dal viso.
Si morde il labbro e fissa lo sguardo altrove, cercando di evitare il mio.
«Non suono da anni, ormai…» dice, tentando di mettere fine alla questione.
«Non è vero... Quando eravamo a Milano hai suonato con me, ricordi? In albergo…» la contraddico riportando alla mente quel giorno in cui eravamo ancora due estranei.
Sorride e torna a guardarmi negli occhi.
«Certo che me lo ricordo! Mi hai convinto a suonare dopo quattro anni in cui ho evitato gli strumenti come la peste. E dopo quel giorno non ho più suonato, comunque.» precisa.
Sono confuso.
«E perché hai smesso?» chiedo incapace di comprendere un’altra delle sue stranezze.
Le si arrossano le guance e i suoi occhi fuggono di nuovo; con le mani inizia a disegnare figure immaginarie sul mio torace.
Si morde forte il labbro, e noto che cominciano a formarsi le goccioline salate che non mi permettono di vedere distintamente le due iridi.
Una lacrima le sfugge, nonostante lo sforzo che fa per trattenerla.
«Papà.» dice con le labbra che tremano. Le lacrime cominciano a rigarle il viso una dopo l’altra, come ho visto succedere già troppe volte.
«Hey» sussurro per richiamarla.
Lei non deve piangere, non lo merita.
«Scusa» dice passandosi l’indice sotto l’occhio. Non faccio neanche in tempo a dirle che non c’è nulla di cui deve scusarsi che lei inizia a parlare.
«E’ stato papà. Lui amava la musica, mi ha insegnato a suonare il piano quando ero molto piccola. Sai... lui non era molto presente a casa, era sempre a lavoro e quando tornava era troppo stanco per dedicarci attenzioni... Però, quando si trattava di musica, il copione cambiava: se si trattava di musica, potevo disturbarlo fino a tardi, lui aveva sempre tempo per mettersi seduto vicino a me e suonare insieme a me una canzone, o anche solo per ascoltarmi. Gli piaceva tanto... Ero il suo orgoglio, me lo diceva ogni volta! Gli strumenti erano il nostro punto di contatto, l’unico.» dice soffocando un singhiozzo.
Sembra quasi che non vedesse l’ora di dirle ad alta voce queste parole.
Non mi aveva mai parlato del padre ed ho sempre creduto che fosse più traumatizzata per aver perso la madre, invece ora capisco che forse non ne ha mai parlato perché è troppo difficile farlo.
La stringo forte al petto e la lascio sfogare.
«Sono sicuro che ti voleva tantissimo bene e che anche adesso sia orgoglioso di te e della splendida persona che sei.» cerco di rassicurarla.
«No, non è vero. L’ho deluso, Niall. L’ho deluso troppe volte… Non gli ho mai detto addio. Non sono neanche andata al loro funerale…» piange ancora più forte, affondando la testa nella mia maglietta vergognandosi, nascondendosi.
Continuo a scoprire sempre cose nuove, dobbiamo ancora imparare così tanto l’uno dell’altra…
«Non sono mai andata al cimitero a trovarli, mai.» è scossa da un altro singhiozzo mentre pronuncia la frase, mentre continua a colpevolizzarsi.
«Perché non l’hai fatto?» chiedo davvero sconvolto.
Non credevo fosse a questo livello.
«Li ho delusi così tanto…» dice solo, senza rispondermi.
«Liz, calmati, per favore.» la prego mentre continua a disperarsi.
Le lascio un bacio tra i capelli e le accarezzo ritmicamente la schiena, tentando di consolarla, di farla riprendere.
Vederla così fragile mi fa sentire ancora peggio.
«Sto bene» dice asciugandosi le lacrime e cercando di autoconvincersi. La lascio fare, continuando a ripeterle parole sconnesse all’orecchio.
Non so davvero come riesca a convivere con tutto ciò: a volte quasi mi scordo di quanto debba essere forte ogni giorno per alzarsi dal letto e convivere con questa realtà.
Forse adesso riesco anche a capire meglio perché si sia aggrappata così disperatamente a Marco, e in questo momento non riesco proprio a fargliene una colpa.
Ci vuole un po’ prima che si calmi davvero, ma non importa: resterei sveglio tutta la notte a consolarla, perché forse nessuno lo ha mai fatto e lei ne ha bisogno.
Ma non serve tutta la notte, le basta molto meno.
Quando finalmente smette di piangere e il respiro le torna regolare le bacio la guancia già umida.
Rimango in silenzio godendomi un po’ di tranquillità, finché dura.
«Ora tocca a te.» dice tirando su con il naso.
«Cosa?» chiedo stordito. Non la sto seguendo.
«Che ti è preso prima?» chiede scavandomi negli occhi.
Sospiro rassegnato, era impossibile evitare l’argomento per sempre.
«Quando?» chiedo indeciso su quale dei miei tre momenti di follia dovrei parlarle.
Di quando volevo chiederle di allontanare l’unica persona che le è rimasta? O quando ci ho fatto sesso per puro egoismo, solo per sentirla mia, facendole anche male? O forse quando abbiamo finito ed ho cominciato a capire di aver appena avuto una crisi di gelosia?
«Dopo che l’abbiamo fatto... Eri così... strano.» dice con gli occhi preoccupati.
«Dimmi la verità, ti ho fatto male?» domando attendendo ansiosamente una risposta.
«Che cosa?!» chiede agitandosi, sorpresa.
«Liz, ti prego, rispondi alla domanda e basta.» il mio tono severo è abbastanza per convincerla.
«Sei stato meno delicato delle altre volte e quindi? E’ stato molto intenso...» dice quasi mettendo le mani avanti.
Sbuffo, coprendomi gli occhi: sapevo di aver esagerato. Mi vergogno così tanto.
«Niall, non ha dato fastidio a me, perché la cosa dovrebbe turbare te?» domanda scostandomi violentemente il braccio dagli occhi.
Vorrei nascondermi. Non voglio parlarne, è troppo difficile.
«Guardami» mi ordina. Il suo tono intransigente mi fa esplodere.
«Liz, dannazione, non è questione di fastidio! E’ che la gelosia… io ce l’ho annidata dentro e ho paura che non riuscirò sempre ad avere il controllo di me stesso. Capisci che intendo? L’ho visto cosa si diventa… Io non voglio essere quella persona… Io non voglio diventarci così!» esplodo.
Tutto questo ce l’ho dentro da sempre e l’unica persona in grado di aiutarmi è stata Olly, non sono mai riuscito a parlarne con nessun altro.
«Niall, ascolta: anche la gelosia fa parte dell’amore… E se sei stato un po’ meno delicato, ma hai bilanciato tutto con le parole...» non le lascio finire la frase.
«Amore, Liz? Quello di prima era solo sesso! Che ti amo te lo dicevo automaticamente, sai qual è stato il mio pensiero fisso? Che lui non avrebbe mai potuto averti in quel modo. Questo è sbagliato! E non serve dire che sono stato ‘poco delicato’, sappiamo entrambi che sono stato violento.»
«Okay, fermo. Smettila. Sai che c’è un abisso tra come ti sei comportato tu e l’essere violento, vero? Se fossi stato violento mi avresti presa per il collo, sbattuta sul letto e mi avresti strappato via i vestiti, lasciandomi lividi ovunque. Non farti tutti questi complessi per qualche graffio! E tra noi non ci sarà mai solo sesso, Niall... sarà sempre amore, me lo hai insegnato tu.» mi stupisce come cerca di difendermi.
Perché io non ci riesco?
«Come fai ad esserne certa?» Vorrei crederle così tanto… Eppure sono troppo masochista per farlo.
Si punta sulle ginocchia poi si siede sul mio bacino e si sdraia, petto contro petto, pelle contro pelle. Mi guarda negli occhi così intensamente che mi sembra di vederli davvero per la prima volta.
«Perché ti amo, e tu mi ami. E posso dimostrartelo anche adesso. Possiamo fare l’amore ancora, ancora e ancora. Anche tutta la notte, anche tutto il tempo che ti serve per convincerti che è così.» dice così convinta che quasi ci credo.
Catturo le sue labbra e le mordo, le bacio, le divoro.
E’ decisamente un angelo, ne sono sempre più convinto.
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Condividiamo le ali.
FanfictionLiz è una ragazza qualunque che vive nella grande città di Roma, ma lei non riesce a definirsi "normale". Quell'aggettivo non lo trova appropriato per descrivere se stessa. Niall è un ragazzo famoso, legato alla famiglia e alla sua città natale. Nea...