Liz’s pov.
Tremo e sento le tempie pulsare.
Mi passano in mente flash del passato e il terrore si fa spazio nella mia mente, un po’ a causa dei ricordi, un po’ per la paura che Niall potrebbe vivere quello che ho passato io.
Vorrei dirgli di non preoccuparsi, ma è lui a dirlo a me, mi ripete che non è nulla di grave.
Sta cercando di tranquillizzare entrambi.
«Dani, ti scongiuro, è importante» soffio nella cornetta del telefono.
«Liz…» la sua voce non è ferrea, posso convincerlo. Forse dovrei dirgli la verità, ne vale la pena.
«I suoi genitori hanno avuto un incidente.» lascio che la tensione salga.
«Ha bisogno di me, devo andare con lui.» aggiungo con voce suadente.
Scopro le mie carte, devo convincerlo.
«Liz, mamma e papà non ti lascerebbero mai…» non gli permetto di completare la frase.
«Mamma e papà non ci sono!» ringhio al telefono.
Odio ogni volta che prova a pensare a cosa mi lascerebbero fare e cosa no.
Rimane un attimo in silenzio, me lo immagino con l’espressione combattuta.
«Non sei maggiorenne Liz e sai che…»
Lo interrompo nuovamente: «Due mesi e avrò diciotto anni, credimi, sto contando le ore!»
Sbuffa.
«C’è un modo per cui io possa impedirti di andare?» domanda arreso.
«No.» sono schietta.
Con o senza la sua approvazione seguirò Niall, però voglio il suo consenso perché in fondo lui è mio fratello, è l’unico a cui mi sento di rendere conto di quello che faccio, l’unico a cui non so se riuscirei a disobbedire.
«E’ diverso dalle altre volte, vero?» il suo tono ora è dolce, comprensivo.
Deglutisco a vuoto.
«Sì, lo è. E’ importante per me.»
«Okay. Ci penso io a nonno e nonna.» chiudo gli occhi e mi accorgo che di aver trattenuto il fiato fino ad ora.
«Grazie.»
«Liz, non farmene pentire. E voglio conoscerlo.» aggiunge severo.
«D’accordo! Ti voglio bene.» mi sbrigo ad attaccare prima di qualche ripensamento.
Mi do da fare raccattando tutte le cose che potrebbero esserci utili, giro per una casa che neanche conosco e tengo la mente impegnata per non pensare.
Appena Niall mi ha detto cos’è successo non mi è piaciuta la sensazione che ho provato.
Mi è piaciuta anche meno quella che ho provato quando ha detto che andava via.
Il suo sguardo era una muta richiesta di soccorso, e al tempo stesso l’idea di rimanere in quella casa con così tante persone da temere mi ha spinto a voler andare con lui.
Però so che la vera ragione è un’altra: non voglio stargli lontana.
Così qualche ora dopo ci troviamo all’aeroporto: Niall è nervoso e non parla molto, cosa strana. Continua a camminare su e giù per il gate mentre io ascolto l’ipod. L’attesa è snervante, la odio e mi da il tempo di fare ciò che non voglio: pensare.
Mi vengono in mente tanti ricordi, cose che cerco sempre di tenere sotto chiave in uno scompartimento del mio cervello e che preferisco non interferiscano con me.
Non voglio annegare nei ricordi tristi e Niall ha bisogno di me ora, devo aiutarlo. Per una volta non sono io quella in crisi, non posso essere sempre io.
Si trova a guardare dalle vetrate gli aerei in lontananza, pronti a partire.
Mi avvicino piano, insicura su come dargli conforto. Mi schiarisco la voce.
«Sono sicura che quando arriveremo tuo padre starà stravaccato sul divano a guardare una di quelle noiosissime partite di calcio, magari starà imprecando contro la tv e tua madre gli starà dicendo “uomo! Leva le tue scarpe lerce dal mio tavolino! Sai quanto ci ho messo a riordinare il salone? Voi maschi siete tutti dei porci!”» carico la voce come farebbe una donna 40enne esasperata.
L’angolo destro della sua bocca si alza, è un sorriso sghembo ma è pur sempre qualcosa.
Chiude gli occhi e scuote la testa, poi ridacchia.
«E’ proprio questo che gli direbbe.» annuisce.
Purtroppo l’effetto delle mie parole dura poco, perché l’espressione di Niall torna cupa in pochi istanti.
Come posso aiutarlo? Continuando a scherzare? Mi sforzo di ricordare ogni cosa che mi ha raccontato sulla sua famiglia.
Mi concedo di guardarlo per qualche minuto in silenzio.
Ha gli occhi vitrei, lo sguardo perso di chi ha la testa sovraffollata di pensieri: un po’ di stupide risate non lo aiuteranno affatto.
Passo in rassegna tutte le opzioni che ho, ma al momento non sono lucida neanche io. L’unica cosa che mi viene in mente di cui poter parlare è qualcosa di cui non ho mai detto nulla a nessuno, e non vorrei farlo.
Però lo faccio.
Prendo un respiro profondo, le mie labbra si dischiudono e le parole escono.
«Quando eravamo a Londra di domenica e papà lavorava, mamma mi portava in biblioteca. Rimanevamo lì tutto il giorno.» mi costringo ad andare avanti.
«Ti ricordi il posto dove ci siamo baciati per la primissima volta? Era lì che mamma mi portava di solito. Quello scaffale contiene i suoi libri preferiti, per questo ero seduta lì per terra e non ai tavoli: è un modo per sentirla vicina. Mamma ha sempre amato Londra, ci faceva venire sempre quando poteva. A Roma non c’è un posto così speciale in cui andavamo insieme.»
Questa è la seconda volta in assoluto che parlo di mia madre dopo la sua morte. Ho la sua piena attenzione, ora. Sento il cuore pesante, ma continuo a parlare per tanto tempo, anche troppo, con la voce che si blocca a tratti. Non è facile, ma è utile a lui e lo sto distraendo.
Le sue dita scivolano tra le mie mentre gli occhi mi si fanno lucidi.
Sorrido flebilmente, non sono sicura di riuscire ad andare oltre. Per fortuna l’attesa finisce e ci fanno salire sull’aereo.
Il volo lo passiamo praticamente a dormire.
Mangio con fatica tutto quello che mi è stato messo nel piatto, più per educazione che per altro, non ho molta fame.
I suoi genitori sembrano stare bene, li hanno mandati subito a casa.
Mi ronzano in testa le immagini di Niall che abbraccia la madre e il padre affettuosamente, e la sensazione brutale che mi provoca la consapevolezza che io non potrò mai più fare una cosa del genere mi sta risucchiando quindi tento di non rimuginarci troppo su.
Casa sua è molto carina, continuo a guardarmi intorno, è pieno di cornici contenenti foto di due bambini che devono essere Niall e Greg.
Ci sono molte foto di famiglia, troppe.
C’è anche un calendario della band: la foto è bella. Erano molto più piccoli e vestiti tutti colorati;
Niall aveva ancora i denti storti, l’espressione invece è rimasta uguale, solo che prima era più tenera, ora è molto più seducente.
«Quindi frequenti ancora scuola?» il tono di sua madre è tranquillo. La sua voce è ben mascherata, non so capire se il suo tono è di approvazione o no.
E’ da quando mi ha stretto la mano che ho questo dubbio, non riesco proprio a capire che cosa pensa di me.
Mi innervosisco leggermente, però «Sì.» rispondo sicura.
A questo punto dovrei essere capace di intavolare una conversazione, ma mi sento troppo sotto esame anche solo per provarci.
Le cose si complicano ulteriormente quando «I tuoi genitori che lavoro fanno?» mi viene chiesto.
La forchetta rimane sospesa a metà nel tragitto tra il piatto e la mia bocca.
«Mamma…» Niall tossicchia, quasi in un rimprovero.
Non è una domanda cattiva di per sé, sta solo cercando di conoscere la ragazza del proprio figlio, giusto?
Poso la forchetta sul piatto, prendo un respiro un po’ più profondo e «I miei genitori… Sono morti qualche anno fa.» ammicco un sorriso di circostanza per niente convincente. Dovrei fargli capire che è una cosa che mi capita di dire spesso e che ormai non importa, di non farli sentire a disagio, ma evidentemente non ci riesco. E’ troppo strano dire certe cose ad alta voce.
Le dita di Niall trovano le mie e ci si intrecciano.
Sono contenta che sia mancino e che con la mano destra possa stringere la mia sotto il tavolo, senza smettere di mangiare, in modo che gli altri non se ne accorgano.
Si è creata una atmosfera di imbarazzo, ma Greg sapientemente orienta il discorso in una direzione completamente diversa.
«Mi dispiace» sussurra il biondo al mio orecchio quando è sicuro che gli altri non ci stiano prestando attenzione.
«E’ tutto okay» lo rassicuro.
Fa per levare la mano ma io lo blocco e «..finché mi stringi la mano.» aggiungo.
Cerca di trattenere un sorriso mordendosi il labbro.
Penso alla sua insicurezza e alle sue guance che si colorano un po’ di rosso: non capirà mai quanto vale per me.
Finiamo di mangiare e vado un attimo in bagno per riprendere fiato.
Respiro profondamente prima di rigettarmi in mezzo a tutta questa soffocante aria di famiglia e di amore; mi è mancato tutto ciò in questi anni e non è facile stare qui, mi sento un’estranea.
Quando sono da Nicole è diverso, è quasi come se facessi davvero parte della sua famiglia, ma qui sono completamente un’esclusa.
Torno in camera da pranzo e noto il papà di Niall sdraiato sul divano, -i dottori hanno detto che deve stare a riposo il più possibile- Greg invece è andato a rispondere al telefono.
Prendo dei piatti da tavola e mi avvio verso la cucina dove probabilmente Niall è con la madre.
Sento le loro voci non molto tranquille e nonostante non mi piaccia fare queste cose, comincio ad origliare.
«…Mi aspettavo fossi più giudizioso nelle tue scelte!» la voce della madre risuona dura.
Niall sbuffa.
«E’ piccola, ed è un’orfana!» pronuncia l’ultima parola con sdegno, come se fosse una malattia.
«Mamma!» Niall è indignato ma la madre non gli lascia il tempo di parlare.
«Come fai a non sapere che vuole solo i tuoi soldi, èh?», non sono molto stupita, dare un’impressione negativa è uno dei miei talenti più grandi.
Sento che Niall si sta scaldando troppo così irrompo nella sala facendo finta di niente. Non voglio che litighino, specialmente a causa mia.
Loro smettono di parlare e con voce innocente «Li mettiamo direttamente in lavastoviglie?» chiedo a nessuno dei due in particolare, con i piatti in mano.
Quando finalmente rimaniamo da soli il biondino è turbato.
«Hai sentito tutto, vero?» chiede mortificato.
«Sì» decido di essere sincera, ma non voglio che questo gli pesi. «Ma non m’importa, se questo ti preoccupa. Tu sai che non voglio i tuoi soldi e questo mi basta.» lui annuisce, d’accordo.
Saliamo al piano di sopra e mi mostra la sua vecchia cameretta.
E’ piccolina. Il letto è accostato al muro su cui ci sono attaccati poster di vari cantanti tra cui Michael Bublè. La scrivania si trova sotto la finestra. Sopra c’è un computer impolverato -abbastanza vecchio- e accanto uno stereo. Sulla parete opposta c’è una libreria, ci sono solo libri scolastici, il resto sono videogiochi e DVD. Non vedo CD ma sicuramente quelli se li è portati a Londra.
Sul comodino c’è una foto che attrae la mia attenzione: è l’unica nella stanza.
Doveva avere appena quindici anni quando è stata scattata. Si trovava in un parco, abbracciato ad una ragazza bionda che non so identificare. Troppo presa da non accorgermi delle mie azioni, la prendo in mano e osservo la scena: non sapevano di essere fotografati visto che nessuno dei due guarda verso l’obbiettivo; ridono, con sguardi complici e Niall sembra davvero coinvolto.
«Olly» dice solo. La sua espressione non è serena e non riesco a decifrare il suo tono.
Sospira e mi prende la foto dalle mani rimettendola a posto.
«E’ la mia migliore amica, te la farò conoscere.» dice non molto convinto mentre gli occhi si perdono nei colori dei suoi ricordi incisi su carta.
«Okay» abbiamo già tante cose di cui preoccuparci non voglio che lei si aggiunga alla lista.
«Come ti senti?» domando sperando che stia meglio di stamattina.
E’ stata una giornata strana.
Non mi risponde e invece mi bacia.
Per esperienza diretta so che quando si evita di rispondere ad una domanda vuol dire che la risposta o non la si sa, o non è positiva.
Entrambe le ipotesi non mi piacciono, ma che ipocrita sarei se lo costringessi a parlare?
Poso le mani sulle sue guance e ricambio il bacio schiudendo le labbra e permettendo alla sua lingua di trovare la mia, finché non sento lacrime bollenti arrivare sulle mie mani.
Tento di allontanare le mie labbra dalle sue ma con la mano fa pressione sul mio collo, costringendomi a quel contatto disperato.
Solo dopo pochi istanti mi lascia andare e si volta, per non farsi vedere.
«Niall» sussurro mentre lui è scosso da un singhiozzo.
E’ stato forte tutta la giornata, pensavo avrebbe pianto vedendo i suoi o abbracciandoli, invece crolla solo adesso, quando ormai sa che stanno tutti bene.
«Puoi parlarmi se vuoi, oppure possiamo solo metterci a dormire.»
Siamo stanchi ed è stato un giorno pieno di ansie ed emozioni forti.
«Stamattina ho iniziato a pensare all’ultima conversazione che avevo avuto con loro. Non gli avevo neanche detto che gli volevo bene. Se fosse andata diversamente? Se fosse successo qualcosa di brutto? Ho iniziato a immaginare di non poterli più vedere, o abbracciare…» la sua voce è spezzata dal suo respiro affannato.
Mi guarda e poi «Scusa, sono un idiota. Non dovrei parlarne proprio con te…»
«Che posso capirti? Che so esattamente di cosa stai parlando? Già, che idea stupida.» cerco di sdrammatizzare un pochino, lui accenna un sorriso.
«E’ normale, sai?» gli dico poi. «Pensare a tutte queste cose è normale. Però non è successo nulla di grave. Sono al piano di sotto e stanno bene. Non cominciare a preoccuparti adesso, non ha senso vivere con la paura della morte. E’ qualcosa che arriverà inevitabilmente per tutti e questo non deve bloccarti. Anzi, ti fa capire quanto valore abbia la vita.» cerco di essere razionale, ma non so per quanto riuscirò a fingere che tutta questa situazione non mi abbia scossa.
«Grazie» ha ancora gli occhi lucidi.
Non voglio sapere a cosa si stia riferendo però unisco le nostre labbra. Non mi piace vederlo star male.
Chiudo gli occhi e mi gusto il suo sapore in versione salata. Le sue mani scendono sui miei fianchi e la sua lingua si fa strada verso il mio palato.
Sento la solita sensazione di calore bollente, la situazione ci mette davvero poco a scaldarsi.
Siamo due scintille pronte ad esplodere al minimo contatto.
Indietreggia e mi costringe a seguirlo perché non ho intenzione di staccarmi dal suo corpo.
Si siede sul bordo del letto e le sue mani scorrono sulla mia schiena mentre circondo i suoi fianchi con le mie gambe, seduta sul suo bacino.
Mi scosta i capelli troppo lunghi su una spalla e comincia a lasciarmi una scia di saliva lungo il collo con la lingua che si muove inarrestabile sulla mia pelle candida quanto la sua. I denti mi solleticano piano per poi accanirsi su una porzione di epidermide che si arrossa velocemente.
Gemo piano e le sue mani si posano sotto i miei glutei, stringendoli con forza possessiva.
«Niall» esalo cercando di respirare, cosa che al momento risulta piuttosto difficile.
Sento qualcosa di duro spingermi contro il ventre e spingo il mio petto contro il suo, desiderosa di contatto.
Un rumore sordo attira la nostra attenzione e ci fermiamo di botto.
Ci voltiamo in direzione della porta che è aperta: il padre di Niall sta raccogliendo un libro che gli è caduto e ci guarda con aria colpevole; ho come l’impressione che non si aspettasse di vedere una scena del genere passando in corridoio.
Avvampo.
Mi rimetto in piedi in fretta; non mi sono mai vergognata di amoreggiare in pubblico, perché non mi è mai fregato nulla di ciò che la gente potrebbe pensare, e non sono poi così pudica, ma stavolta è diverso, sono i suoi genitori e mi interessa di quello che potrebbero pensare. Non per me, ma per Niall: lui ci tiene.
Il padre non dice niente e ci chiude la porta, facendo un occhiolino a Niall.
Lui si alza per dare un giro di chiave poi si butta sul letto e mi trascina su di sé.
Mi bacia con più foga e capisco che è ancora scioccato per la notizia di oggi.
Nicole’s pov.
Non lo so neanche come ci sono finita in questo letto.
So solo che stavo litigando con Harry, ce le stavamo dicendo di tutti i colori e ora mi ritrovo mezza nuda schiacciata tra il materasso e il suo corpo.
Mi morde forte le labbra e poi la sua lingua va a sanare la ferita provocata.
Mi ero ripromessa che non gli avrei più permesso di farlo, ma a chi voglio darla a bere?
Io lo voglio quanto lui, il mio corpo desidera il suo in una maniera che è del tutto insana.
E immagino tutte quelle che lo vorrebbero, che sognano tutte le sere di essere toccate in questo modo e mi eccito perché ora è mio.
Solo per il tempo di un amplesso, ma è mio.
Sento le sue mani ovunque: mi tortura con calma, con una pazienza che oserei definire sadica e io non faccio che scaldarmi di più.
Continuiamo a fare sesso come se non ci fosse un domani, sono sicura che il livello di adrenalina che mi circola in corpo non sia mai stato così elevato.
Quando finalmente finiamo sono stremata e sento un vuoto dentro: non è solo il suo corpo che voglio, ma è questo è tutto ciò che lui è disposto a darmi.
«Tutto qui?» Credo che l’adrenalina stia ancora circolando nel mio corpo. «Allora tutte quelle cose che si dicono di te sono solo leggende?»
Si volta verso di me di scatto.
«Cos’è che si dice di me?» è interessato.
«Molte cose.»
Non gliela darò vinta, non ancora.
Mi alzo cercando i miei vestiti e un po’ di dignità di cui ora mi sento privata.
Non lo guardo più perché ogni volta che i suoi occhi incontrano i miei ci ricado inevitabilmente.
Sento il materasso scricchiolare e, anche se non lo vedo, so che si sta alzando e forse sta venendo verso di me; rimango immobile, cercando di pensare razionalmente.
Le sue dita sfiorano le mie, sento il suo respiro sul mio collo. La sua presenza alle mie spalle mi fa rimanere con il fiato sospeso.
«Vuoi che ti riaccompagni a casa?» il suo tono è stranamente gentile.
«Mi stai cacciando?» domando sarcastica.
Vorrei poter essere capace di allontanare la mia mano dalla sua, di rimettermi i vestiti e scappare da quella porta.
Semplicemente non ci riesco.
«No. Ma la tua amica se ne è andata e qui praticamente non conosci nessuno. Ho pensato che saresti voluta tornare dalla tua famiglia.» sussurra con voce sicura al mio orecchio.
La sua voce mi fa rabbrividire. Sono contenta di non averlo davanti.
«E passare due ore in macchina con te? Se vuoi il secondo round basta chiedere.» il mio tono stavolta è tagliente. Gli ripeto ciò che lui ha detto a me qualche settimana fa.
«Quindi è questo il punto. Vorresti andartene ma non vuoi che io ti accompagni.» possibile che sembri quasi ferito?
Chiudo gli occhi.
«Magari non voglio davvero andarmene.»
STAI LEGGENDO
Condividiamo le ali.
FanfictionLiz è una ragazza qualunque che vive nella grande città di Roma, ma lei non riesce a definirsi "normale". Quell'aggettivo non lo trova appropriato per descrivere se stessa. Niall è un ragazzo famoso, legato alla famiglia e alla sua città natale. Nea...