30. Let's go Misha, let's go

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Ovviamente il primo turno doveva essere contro un russo.

Che ovviamente di nome fa Mikhail.

Così quando Ivan grida: «Let's go Misha!» dagli spalti, sembra che stia facendo il tifo per lui.

Che è la cosa più logica, no? È un suo connazionale! Ma io so che sta facendo il tifo per me. Ed è l'unico, in mezzo a una folla di gente che mi fischia.

Non che mi importi particolarmente, non mi sono mai fatto influenzare più di tanto dal tifo, pro o contro. Anzi. Come ho scoperto a Cincinnati, il tifo contro mi carica più di quello pro.

Ivan parte domani, e ha deciso di trascorrere qui, sugli spalti del mio incontro, il pomeriggio della sua ultima giornata a New York. Tanto per far felice mio padre, che ormai è convinto che io e Ivan siamo impegnati in qualche strana specie di relazione omosessuale.

«Time!» dice l'arbitro.

Io e Mikhail Kuruchkin torniamo in campo. Conduco io, un set a zero e tre-due nel secondo, con break. È assolutamente fondamentale che concluda questo incontro in tre set. È così che si vincono gli Slam: non ci si deve stancare nei primi turni.

Serve lui e tiene il gioco a zero. È un tipo tignoso, Kuruchkin, e gioca molto piatto. Devo stare attento, nell'ultimo cambio campo mi sono un po' deconcentrato. Tutta colpa di Reshetnikov e dei suoi capelli verde evidenziatore e delle sue grida di incitamento.

«Let's go, Misha, let's go! Let's go, Misha, let's go!» canta, mentre scelgo la pallina con cui servire.

Pallina di seconda in tasca, mostro la pallina a Kuruchkin, e lui mi fa segno che è pronto. Palleggio qualche volta a terra. Lo faccio per concentrarmi e per aspettare che cali il silenzio. Flushing Meadows è uno dei posti peggiori, da questo punto di vista, il pubblico è sempre piuttosto indisciplinato. E si sentono molte grida anche dai campi vicini.

Uno, due, concentrati, Michele. Un ace sulla T.

«Fault!»

Ok, allora uno slice a uscire.

Mi riesce a meraviglia, Kuruchkin la prende, ma la butta fuori.

«Fifteen love.»

«Grande Misha, let's gooooo!»

Dio, che chiasso che sta facendo! Siamo sul Campo Diciassette, il più grande dei campi secondari, gli spalti sono gremiti, ma si sente solo lui.

«Let's go Mishaaaa!»

È una voce femminile, quella che ha urlato l'ultimo incitamento. Faccio l'errore di girare la testa verso gli spalti.

È Daria. Cosa ci fa qui?

Non pensarci. Concentrati, Michele. Uno, due, tre rimbalzi. Quattro, cinque. Lancio in alto la pallina. Storta. La lascio cadere a terra e faccio un cenno di scusa con la mano. Uno, due rimbalzi. Altro lancio. Il mio braccio oscilla, ma so che finirà in rete prima ancora di impattare.

Finisce in rete.

«Come on, Misha!» Di nuovo la voce di Daria.

Seconda di servizio.

Lunga.

«Fault!»
«Fifteen all.»

Altri due servizi e, non so neanch'io come, sto sotto quindici-quaranta.

«Come on Misha!» Stavolta l'hanno gridato insieme. Ivan e Daria.

Concentrati! Mi sto deconcentrando. Mi stanno deconcentrando.

Servizio al corpo. Kuruchkin risponde male, ma riesce a rimandarmela. Prendo comando dello scambio, lo sposto sulla destra con l'intenzione di attaccare, scendo a rete, volée facile.

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