Isabella

43 6 5
                                    

Continua a cullare tra le sue braccia Iris, attende trepidante l'istante in cui i respiri della piccola diventino lenti e ritmati. È esausta. Non appena capisce che Iris è in un sonno profondo adagia il suo corpicino nella culla e, finalmente, può crollare sulle lenzuola fresche di bucato che rivestono il suo letto ad una piazza e mezza. Quel letto che la rappresenta e ne designa la personalità, per certi versi. Lei si sente una persona e mezza, un po' perché quando guarda Iris sente di non essere più un'unica persona, un po' perché sa che non arriverà mai a far parte di una coppia, non sarà mai un letto a due piazze in cui coesistono due persone. Non sarà mai la metà di un intero, non riuscirà mai più a fondersi completamente con un'altra persona. Si chiede se si stia comportando da brava mamma. Cos'è che potrebbe renderla una madre migliore? Lei ama la figlia sproporzionatamente ma non riesce a capire cosa potrebbe fare, cosa potrebbe fare meglio e cosa potrebbe evitare di fare. Giace, obliqua, sul suo letto. Con ancora i vestiti del giorno, quella maglia su cui Iris ha rigurgitato parte del suo omogeneizzato e l'odore, misto a quello delle salviettine che ha usato per ripulire temporaneamente, le infastidisce il naso, ma è troppo esausta per cambiarsi e mettere una lavatrice. Lo farà non appena si sveglierà, con il pianto di Iris come sveglia quotidiana, tra circa tre ore. E un nuovo giorno avrà inizio, esattamente identico a quello precedente. Nella mente sfuma il pensiero che ormai non abbia nemmeno più lacrime a disposizione da poter versare e il suo respiro segue il ritmo di quello della piccolina. Il sonno non è più quello che aveva quando poteva dormire almeno 8 ore a notte, prima di andare a lavorare nel suo studio. Il successo che aveva raggiunto come avvocato le garantiva dei sonni tranquilli e profondi. Eppure non apprezzava quella vita allora. Non che ora si penta di aver messo al mondo la sua prima figlia, si pente delle circostanze, quello forse sì. Ma della sua bambina, no. Rifarebbe tutto pur di poter continuare a stringerla tra le braccia e amarla con tutto l'amore che solo una madre può dare. Come previsto il pianto di Iris la sveglia di soprassalto, mettendo alla prova la resistenza dei suoi timpani, come il canto del gallo che annuncia che il sole è sorto e un nuovo giorno ha inizio nelle case di campagna. Raccoglie il fagotto che è sua figlia e mentre cerca di calmarla sussultando, prende il necessario per farle fare colazione. Sono giorni di fuoco perchè le stanno uscendo i dentini e quindi scoppia in questo pianto gremito di dolore, a nulla serve il gel da stendere sulle gengive per rinfrescare e far diminuire il dolore. A nulla servono le preghiere al Signore e alla Madonna. Se quel dente vuole tranciarle la gengiva e farla piangere, lo farà. Accende la tv, come ogni mattina, e ascolta il telegiornale per avere una finestra su quel mondo che non vive più. E, a sentire le notizie, è quasi grata di questo periodo di reclusione, al sicuro tra le sue mura. Si parla ancora di quella povera ragazza che si è suicidata in quella stazione marittima, non ricorda dove. I genitori stanno promuovendo un progetto sociale. Sono in lacrime, dinanzi ad una telecamera, perchè non hanno potuto salvare loro figlia, ma hanno comunque tanto amore nel cuore da voler almeno provare a salvare i figli di qualcun altro. E magari anche i genitori. Lei non osa immaginare che dolore debba essere: il suicidio di un figlio. Già la "semplice" morte di un figlio lacera l'anima di un genitore. Ma il suicidio? La consapevolezza di un figlio che si sentiva troppo solo, di un figlio che progettava la propria dipartita mentre i genitori, incoscienti di tutto, rimangono a rimproverarsi un fallimento. Rimangono con le domande a riempire il cervello "Come ho potuto non captare alcun segnale?" "Cosa avrei potuto fare?" Lei guarda Iris e capisce che se ora ha un problema, vedesi dentino che vuole nascere, la figlia strilla finchè la madre non trova una soluzione. Quanto sarebbe bello se fosse sempre così. I figli, col tempo, dimenticano di non essere soli a dover affrontare la vita e si logorano. Finiscono per consumarsi. E, il giorno della loro fine, inizia anche quella dei loro genitori. Rimane folgorata dal progetto che promette di non far sentire nessuno solo e, lei, sola ci si sente tanto. Considerando che l'unica persona con cui condivide il suo tempo non ha nemmeno compiuto l'anno. Decide di parteciparvi. Uno scambio epistolare, mantenendo segreto il proprio nome e i dettagli, non ha mai fatto male a nessuno. Sarà bello utilizzare uno pseudonimo. Isabella prende parte al progetto sociale trovando alcuni minuti di pace per iscriversi con tranquillità non appena la piccola Iris prende sonno nel pomeriggio, con ancora il plasmon semisciolto stretto nel palmo della manina cicciottella. Le viene detto di attendere la ricezione di una lettera per cui seguentemente dovrà articolare una risposta siccome, iscrivendosi, è nella classifica dei destinatari e non dei primi mittenti. 

Il progettoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora