Elettra

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Ciao Isabella, non avrei immaginato tu fossi una madre. Mi dispiace che tu ti senta comunque così sola da aver deciso di partecipare a questo progetto. Sono rimasta a leggere la tua ultima lettera fino a tarda notte, e poi sono andata a dormire, gli occhi lucidi mi hanno fatto sognare il mare. Oggi ti racconto di ciò che ho vissuto prima che lui mi dicesse che aspettava un figlio da un'altra. Prima della sua fuga da delinquente in piena regola. Prima dell'ingiusto silenzio che mi ha riservato. Al quarantesimo giorno di ciclo non mi arrivavano le mestruazioni. Poteva solo essere una gravidanza, non c'erano dubbi, il mio ciclo era sempre stato molto preciso. Panico. Cosa sarebbe accaduto? Isabella, ammetto di aver avuto davvero paura. Ho sempre avuto la brutta abitudine di fasciarmi la testa prima ancora di cadere, e così feci anche allora. Glielo dissi. "Hai fatto il test?" mi chiese, scossi la testa. Mi prese per mano e afferrò le chiavi dell'auto. Nel tragitto mi disse cose bellissime, "lo sai che ti amo, vero? Non mi immaginavo già padre, ma diventare genitori, insieme, sarà un'esperienza che porteremo dentro per sempre." Mi erano bastate queste parole e io già immaginavo di stringere tra le braccia quella creaturina che inizialmente non era nei programmi. Chissà gli occhi di chi avrebbe avuto, io speravo gli occhi verdi di papà, e i miei capelli neri. La sua pelle chiara. Se fosse stato un maschietto avrei voluto dargli un nome composto, mentre per una femminuccia sarebbe stato perfetto il nome 'Veronica', dal greco significa qualcosa come 'portatrice di vittoria' ma nella mia personale interpretazione avrebbe conservato il significato di 'portatrice di verità'. Arrivati a destinazione, scesi dalla macchina e non ebbi il coraggio di entrare in farmacia. Stavo lì, impalata, a fissare le porte automatiche che si aprivano e si richiudevano più e più volte. Lo sportello si aprì e lui, preoccupato, mi raggiunse cercando di capirci qualcosa. Mi accarezzò la spalla "vuoi che lo prenda io?" non potevo fare altro che annuire. Tutti i miei dubbi vennero a galla e facevano affondare me, tra le mie paure. "Devo lasciar correre l'acqua?" mi chiese dall'anticamera del bagno. "Mi devi solo dare privacy!" urlai dal bagno. Appena mi convinsi che non potesse sentirmi lasciai cadere urina sul test. "Per quanto tempo dobbiamo aspettare, prima che... si insomma.. prima che sapremo davvero." Gli risposi semplicemente "dai 3 ai 5 minuti." Furono i minuti più infiniti che io avessi mai vissuto. Cercavamo di farli volare tra baci e congetture, lui avrebbe voluto un maschitto, da allenare a giocare a calcio e con cui parlare di ragazze. Gli dissi che mio figlio non doveva parlare di ragazze per almeno altri 16 anni. Il timer del cellulare ci stava segnalando che era scaduto il tempo, ma non riuscivamo a trovarlo quindi prendiamo la decisione di lasciarlo continuare a suonare, quel suono disturbava i nostri timpani, come volesse avvisarci di qualcosa. Qualcosa di tagliente.

N E G A T I V O.

Noi non desideravamo un figlio, giusto? Che qualcuno lo dicesse agli occhi spenti del mio compagno. Si accarezzava la barba e lasciava intendere tutta la delusione. Io cominciai a piangere senza essere a conoscenza della reale motivazione. Non volevo essere madre, giusto? Non ancora, vero? Isabella, quando si capisce che si è pronti per procreare? Insomma, fare un figlio è una cosa davvero importante, non ti puoi svegliare una mattina, incinta, per caso, ed accettare il tuo status di futura madre, giusto? Che preparazione psicologica bisogna seguire? Come ci si autoconvince di essere all'altezza di avere piena responsabilità di una vita umana che non ci appartiene? Mia madre era solita dire che, dopo aver partorito, i figli diventano automaticamente la tua stessa vita, eppure questo concetto mi è così estraneo. Sarò io una persona troppo egocentrica? Non riesco ad immaginare di avere un piccolo esserino rosa fabbricatore di pupù come centro del mio universo, universo che è già alquanto scardinato di suo. Dove ero arrivata? Ah, sì. Continuo a raccontarti di come andò a finire quella vicenda, di cui mi sento di parlare con distacco, altrimenti comincio a piangere anche ora. Lui cercò di consolarmi, ma io lo respinsi con tutta la veemenza di cui ero capace e con la convinzione di aver deluso lui, ma, soprattutto, con la disperazione di aver perso quella creaturina dagli occhi di mio padre e la carnagione del suo, che non era mai nemmeno esisistita. Per tre giorni il nostro rapporto fu molto formale. Lui non si avvicinava a me e io non gliel'avrei comunque permesso. Al quarto giorno, non so chi dei due arrivò a sentirsi sfinito dalla situazione, ma decidemmo che sarei andata dalla ginecologa per capire il perchè di quel ritardo e poi avremmo cominciato a sfruttare ogni occasione per avere un bambino, stavolta più che voluto. Lo dovevamo al nascituro, niente di inaspettato, volevamo guardarlo negli occhi e considerarlo la carnificazione del nostro amore. Gli dovevamo amore prima ancora che esistesse fisicamente dentro di me. Ma, si sa, la vita non ti permette di stare a sognare il tuo lieto fine senza darti un pugno in faccia, e così la ginecologa dovette avvisarmi di un malfunzionamento delle mie ovaie. Non ho mai capito molto bene, ho dovuto fare una cura che è durata mesi. Lui ha imparato a fare le siringhe e ogni sera, puntuale, mi infilava l'ago in una coscia con la promessa che quella non sarebbe stata una sofferenza vana. Ci avrebbe permesso di avere un figlio. Un batuffolo di carne da amare, coccolare ed educare. Dopo cena poi, si infilava nel letto con me e mantenivamo la promessa di provarci, di non arrenderci. Vuoi sapere qual è la verità ora per me, Isabella? La verità è che il destino ha voluto salvare una creatura che sarebbe nata da un surrogato dell'amore. Chi ti ama davvero non va a letto con un'altra, quindi devo anche ringraziare le mie ovaie che avevano deciso di scioperare: avevano scelto il momento giusto, mi stavano facendo un piacere. Isabella, ti prego di non confondere questo mio modo spavaldo di parlarne, sono arrivata a questa conclusione dopo aver versato tutte le lacrime che conservavo in corpo. Dopo aver maledetto lui, me, la ginecologa. So che "ambasciator non porta pena", ma alle mie orecchie quella ginecologa aveva portato l'interruttore che avrebbe poi distrutto la mia vita. Ottobre è il mese della consapevolezza sulla morte infantile e sulle gravidanze interrotte, e quand'è il mese dei bambini che potevano nascere ma non ne hanno avuto la possibilità? Qual è il mese del bambino che avrei partorito? Spesso mi rivolgo a quella creatura in ogni momento che mi sembra di aver dovuto condividere con lei. La colazione mi ricorda che, se avessi avuto la possibilità di diventare madre, ora dovrei cacciare due tazze al mattino. E i cereali finirebbero nella metà del tempo. Così come il latte. Eppure per me sarebbe stato un piacere avere più biancheria da fare, stirare quelle piccole t-shirt a misura di bambino. E invece il destino ha voluto dare ad un'altra donna la possibilità di crescere il figlio dell'uomo che amavo. E forse amo ancora...

A presto cara Isabella,

Elettra 

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