Isabella

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Cara Elettra,

ho letto la tua vicenda tutta d'un fiato. Non ti dirò che mi dispiace, perchè il mio dispiacere non cambierà proprio niente, ti dirò che bisogna far tesoro di tutte le esperienze, perchè, anche dopo un colpo del genere, la vita continua. È importante riuscire ad elaborare il vissuto e trarne insegnamenti. Certamente tu ora saprai come tutelarti in una prossima relazione, e, prima di ricominciare a fidarti di qualcuno seguirai molte più accortezze. La verità è che non c'è mai un modo che ti faccia capire se la persona che si ha davanti sia degna o meno della nostra fiducia, se sia sincera, se davvero abbia voglia di stare con noi, solo con noi. Il punto è: ne vale davvero la pena di stare male per una persona che per te non sta male allo stesso modo? Più genericamente: è giusto amare qualcuno che non ti ama? La risposta corretta sarebbe un secco 'NO', ma, purtroppo, la realtà non è corretta. Siccome ci innamoriamo sempre di qualcuno basandoci sull'idea che ci facciamo di lui è molto probabile che anche lui si innamori di una idea che ha di noi, e non di noi. Quindi a che scopo portare avanti intere relazioni basate sull'incessante proiezione sull'altro di ideali personali? Non so che dire, vorrei provare a sembrare esperta, competente, ma niente. Sono una comune mortale che va in panico quando le partono tutti questi film mentali. In tutto ciò ti vorrei raccontare la mia storia più recente. Ero in un bar, seduta in uno dei tavolini esterni, stavo cenando, da sola. Leggevo 'Manola' della Mazzantini (libro che inquieta, ma in senso positivo) e si è seduto di fronte a me un uomo. Un uomo molto bello, devo ammettere che ha subito attirato la mia attenzione. Tuttavia lo guardo come a chiedergli "perché si è seduto al mio tavolo?" lui risponde alla mia tacita domanda dicendomi che non c'era più posto e a lui non piace mangiare in piedi. Mi guardai intorno ed effettivamente notai che aveva ragione, non c'era assolutamente posto. Mangiammo le nostre pizzette senza darci retta l'un l'altra, io sentivo il suo sguardo addosso e, ogni tanto, gli lanciavo occhiate furtive. Finisco prima di lui e, con eleganza, prendo ciò che mi appartiene e me ne vado. Non prima, però, di essermi presentata per educazione. Lui mi ringrazia per avergli permesso di sedersi e ci congediamo così. Dopo un paio di settimane ci rivediamo per una cena a casa di un amico in comune e scopriamo che abbiamo frequentato la stessa università. Passiamo una piacevole serata tra vino e risate e la sua compagnia aveva rapito tutta la mia attenzione, era chiaro a tutti: avevo un debole per lui. Credo fosse chiaro anche a lui, ma a parte qualche sorriso in più e qualche carezza sulla spalla mentre raccontava di vecchi aneddoti universitari, niente. Non ho mai chiesto appuntamento ad un uomo e certamente non avrei iniziato ora, ma speravo l'idea venisse a lui. Non lo fece. Quando me ne dovevo andare, dopo aver salutato tutti, mi disse che sarebbe uscito a fumare e avrebbe potuto accompagnarmi alla macchina. Io la interpreto come una proposta per stare un po' soli e, forse, inconsciamente anche lui. Continuiamo a parlare accanto alla mia macchina finché non finisce di fumare e, alla fine, al momento dei saluti... il bacio che sarebbe dovuto essere destinato alla sua guancia finisce, più o meno volontariamente, sulle sue labbra. Ecco, una donna sana di mente, avrebbe deciso di scappare probabilmente. Io rimasi lì, a un centimetro dal suo viso, e lui fece lo stesso. Sembrava combattuto, ma sembrava desiderare un bacio quasi quanto me, così annullo qualsiasi distanza. Poi ci calmiamo e ci stacchiamo. "È stato bello" mi dice, e si allontana. Rimango lì, intontita. Poi prendo coraggio e me ne vado. Qualche mese dopo ci rivediamo, sempre per una festa organizzata da questo amico in comune, non ti nego che ci sono andata particolarmente elegante perché speravo ci sarebbe stato. Cerco di non fartela tanto lunga e ti dico che la nostra serata è finita il giorno dopo, quando ci siamo svegliati insieme nello stesso letto. Il fascino travolgente di quell'uomo aveva la capacità di farlo sembrare molto preso da te, ma era solo molto preso da sè. Era il tipico a cui piaceva piacere, era affabile, era a dir poco fantastico. E, a dire il vero, sembrava pensasse lo stesso di me. A quell'incontro ne seguirono altri, ci vedevamo per parlare, per mangiare e, quasi tutte le volte, per il "puro piacere della reciproca compagnia"... non ci siamo mai detti di amarci, io però mi ero innamorata davvero. Non ci siamo detti 'per sempre', io però ci speravo davvero. La complicità era davvero unica, lui mi aveva detto che si rifugiava con me per prendersi una pausa dalla realtà che l'opprimeva, al momento mi sembrò una cosa bellissima. Ora, col senno di poi, capisco che era un modo come un altro per farmi intendere che non appartenevo alla sua realtà e non ne avrei mai fatto parte. Dopo due mesi scopro di essere incinta. All'inizio non volevo nemmeno dirglielo, volevo solo chiudere con lui e far finta di niente. Però so che non si mente a nessuno, per nessuna ragione, perchè le cose che si lasciano affondare negli abissi poi tornano a galla e portano solo problemi, quindi lo informai telefonicamente per non sentire il peso delle conseguenze. Lui non disse niente subito, poi disse 'ok', non so esattamente a cosa acconsentisse. Quando ci vedemmo lui era diverso, mi disse che probabilmente era destino e si trasferì da me. Più volte gli ho specificato che non volevo intrappolare me e nessun altro in una storia priva di amore. Non volevo questo per me, e non lo volevo per il bambino che sarebbe nato. Nessuno merita di nascere in una famiglia in cui i genitori stanno insieme per un senso di obbligo, il bambino lo sente se c'è amore o presa per il culo (perdona il francesismo). Fatto sta che venne alla prima ecografia, siamo stati insieme per tre mesi, tra cene consegnate a domicilio e colazioni che ci preparavamo a vicenda. Sembravamo felici, a me e al resto del mondo. Evidentemente però dentro di sè covava altro, aveva problemi da risolvere e situazioni lasciate appese con donne del passato. Il parto fu qualcosa di indicibile. Il dolore, il timore, il sudore... I primi giorni lo cercavo negli occhi di mia figlia. Che è uguale a me. Mi chiedevo perché Dio non potesse averla fatta a immagine e somiglianza del padre. Perché lui se n'era andato così, senza lasciare traccia, nemmeno sulla figlia. La scrutavo appoggiando il mento sul bordo della carrozzina, forse per ore. Il naso e gli occhi erano i miei. Nutrivo delle speranze per la bocca, ma così piccina com'era, avrebbe potuto essere di chiunque, non si sarebbe notato. Avrei aspettato all'infinito per ritrovarlo sul volto di colei che era lì, reale, grazie a noi. Soprattutto grazie a lui, perché io avevo quasi pensato di abortire. Ci conoscevamo da tre mesi appena, avere un figlio non era assolutamente in programma. Ma lui, contro l'aborto, mi ha chiesto di non farlo. Io non me ne sono mai pentita Elettra, credimi. Però ammetto che lui fu egoista in quel momento, soprattutto se sapeva già che non ci sarebbe stato al momento del parto, al momento della nascita, al momento del primo allattamento e poi a quello dello svezzamento. Ecco, se avessi saputo io l'avrei escluso da prima. Probabilmente, col senno di poi, non l'avrei reso partecipe nemmeno della notizia, sin dall'inizio zero informazioni. Così ci sarebbero state zero aspettative e zero delusioni. E invece no. È bastata un'informazione per avere mille aspettative e infinite delusioni. Venne con me alla prima ecografia. Parlò con la ginecologa, si dimostrò interessato. Al secondo appuntamento dalla ginecologa, dopo due mesi, decise di non venire. Me lo disse telefonicamente e concluse la telefonata dicendo che sarebbe uscito dalla mia vita perché riesce solo a rendere infelici le persone a cui tiene. E quindi, per lui, sarebbe stato meglio per il nascituro non avere un padre piuttosto che un padre che lo deludesse. Quello che lui non ha capito è che le delusioni sono comprese nel pacchetto genitori-figlio, ci si delude a vicenda per poi uscirne solo grazie all'amore reciproco. Quello che lui non ha voluto capire è che è meglio avere un padre che fa errori ma prova a migliorarsi piuttosto che avere un padre e non conoscerlo. Ha tolto a mia figlia il lusso di litigare con un padre, il che è comunque crescita personale e maturazione individuale, per entrambi. Mi ha lasciata sola, a vedere la mia vita cambiare, il mio corpo cambiare. Le sere mi ritrovavo col pancione a piangere avanti lo specchio, una volta per il troppo peso aggiunto al mio peso forma di partenza, una volta per il timore di aver preso la decisione sbagliata, la consapevolezza di non essere all'altezza di diventare madre, per giunta anche single, si impadroniva di me e mi sentivo incapace di badare a qualcun altro che non fossi io. Ho vissuto sempre in solitudine, ma da qualche mese a quella parte le cose sarebbero cambiate e io non sapevo se mi sarei trovata pronta per il cambiamento. Invece venne tutto abbastanza spontaneamente. Riuscii a fare in modo di far coesistere la mia persona con quella di mia figlia. A dire il vero fu lei a farmi sentire a mio agio, fece lei il "lavoro pesante". Ci fece sentire subito l'una parte dell'altra e fece in modo che io mi sentissi sicura delle mie capacità di madre. Divenni madre grazie alla fiducia che mi diede lei, appena nata, fragile, tra le mie braccia. Fui madre non appena appoggiai la sua testolina sul mio petto e il battito del mio cuore le sussurrava all'orecchio la promessa di eterno amore che, però, non sarebbe stata infranta. Ho avuto e continuo ad avere momenti in cui cedo. Cedo alla paura di non farcela e, in quei giorni, deve venire mia madre a casa, anche solo un paio d'ore. Mi ricorda che le madri lo sono sempre. Non bisogna essere sicure di tutto, non bisogna avere la soluzione ad ogni problema sempre in tasca, per essere madri basta amare senza porsi limiti. Ho una figlia che amo con tutto il mio cuore e ti prego di non collegare la mia insoddisfazione che tipicizza questo periodo con lei. Quando penso di non potercela più fare è lei che, con la saliva che le inumidisce tutto, fino al mento, mi fa sorridere e capire che sì, posso farcela. Attingo forza da quel fagottino che ho partorito e con cui abbiamo stretto un tacito accordo: io la faccio crescere con cura e amore e lei, inconsapevolmente, fa lo stesso con me. Detto ciò chiudo e corro ad imbucare questa lettera non appena lei si sveglia (si è addormentata accanto a me proprio poco fa, sul divano. Si stanca a correre nel girello), subito dopo averle fatto bere il suo succo alla pera biologico.

Apresto,

 Isabella 

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