I called.

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Strinsi forte gli occhi sperando che chiunque fosse dall’altra parte della porta capisse che non avevo la minima intenzione di aprire. Mi sentivo appesa a un filo che si sarebbe spezzato da un momento all’altro, e se per tutto questo tempo avevo sempre cercato di fare in modo che non si rompesse, adesso sentivo che era tutto ciò che stessi aspettando.

Sarebbe bastato così poco per porre una fine a tutto, avevo diverse scelte, mi sarei tolta dai piedi e sarebbe stato tutto più facile sia per me che per le persone che mi circondavano.

A chi sarei mancata? La domanda non aveva poi tanto senso, non mi importava più di tanto, per una volta dovevo pensare a me e non a chi sarebbe rimasto su questo schifo di posto chiamato Terra.

Sobbalzai quando bussarono nuovamente alla porta, e poco dopo suonarono il campanello per circa sei volte. Strinsi forte le gambe con le braccia, rannicchiandomi su me stessa con la testa tra le gambe, sperando che il silenzio tornasse velocemente ad avvolgermi, era più facile concentrarmi sui miei pensieri e decidere cosa fare della mia vita, sempre se così potevo chiamarla.

Cominciai a capire che chiunque avesse deciso di rovinare ulteriormente la mia vita non se ne sarebbe andato, così mi alzai barcollando fino alla porta.

Ormai nella mia vita avere un momento di pace sembrava essere diventato qualcosa di impossibile e irrealizzabile. Tutte le cose che mi distruggevano succedevano continuamente, e ormai stavo per cedere alla disperazione.

Presi un respiro profondo prima di spalancare la porta con l’intenzione di mandare al diavolo quella persona così insistente, ma rimasi congelata al mio posto quando vidi chi fosse realmente. Pensavo fosse uno scherzo ma più rimanevo immobile a fissarlo più cominciavo a capire che non era un incubo, ma la crudele realtà che non la smetteva di tormentarmi.

Centinaia di migliaia di lame affilate trafissero il mio corpo, lasciandomi senza respiro. I miei occhi si riempirono nuovamente di lacrime e cercai di chiudere la porta con tutta la forza che avevo, ma lui mi fermò entrando in casa.

Feci automaticamente tre passi indietro, sgranando gli occhi terrorizzata. Justin avanzava cautamente verso di me guardandomi con una strana luce negli occhi.

Mi concentrai meglio su di essi, e riconobbi quello che mi sembrava dolore, tristezza, paura. Non sapevo cosa fare, speravo solo che finisse tutto e che mi svegliassi realizzando che fosse stato tutto un incubo. Si guardò intorno assumendo un’espressione quasi disgustata, come se pensare che io vivessi in quel posto fosse una cosa impossibile.

-Vattene via- mormorai guardandomi intorno cercando in ogni modo di non guardare lui.

Sembrava che stesse facendo di tutto per uccidermi definitivamente, e la cosa più grave era che ci stava riuscendo alla perfezione.

Perché era lì? Mi aveva seguita? Adesso avevo la certezza che la range rover grigia era stata dietro la jeep di Jayce per tutto il tragitto fino al Bronx.

Perché non andava dalla sua ragazza e non mi lasciava in pace? Le aveva persino comprato delle rose, e avevo visto il modo in cui si guardavano. Ripensandoci sentii il mio stomaco attorcigliarsi in una morsa e il cuore perdere un battito.

-Aspetta fammi parlare- disse facendo un altro passo avanti fino a posare una sua mano sulla mia spalla. Alzai immediatamente la testa guardandolo come se stessi cercando di ucciderlo con lo sguardo. Feci un passo indietro, senza smettere di fissarlo con disgusto. -

Ho detto vattene via, cazzo!- urlai spingendolo con tutte le mie forze, senza riuscire a smuoverlo di un centimetro. Quando capii che i miei tentativi erano tutti inutili lasciai che le mie braccia cadessero senza forza ai miei fianchi, mentre la disperazione si impossessava del mio corpo.

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