He's back.

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Sbattei più volte le palpebre, faticando ad aprire gli occhi che sentivo bruciare, pesanti come ogni mattina, e questo non era strano se si pensa che avevo dormito solo due ore in tutta la notte. Avevo speso la maggior parte del tempo a tremare, cercando di tenere lontani i ricordi, le paure e soprattutto svuotando la mente dalla sua voce che sembrava non voler smettere di tormentarmi.

Non avendo dormito avevo deciso di riflettere su ciò che era successo il giorno prima, ed ero arrivata alla conclusione che entrare nel giro di New York sarebbe stata la cosa più stupida che avessi potuto fare. Non avevo né la forza fisica né la forza psicologica per poter affrontare tutto ciò che accettare l’offerta di Jayce avrebbe comportato, non avrei resistito nemmeno cinque minuti. Se non fossi morta da sola per la disperazione mi avrebbero ucciso quelli delle gang rivali, per cui la cosa migliore per me era restare fuori da tutto.

Ora che ero a New York, da sola, dovevo affrontare anche un’altra problematica, i soldi. Ne avevo portati un bel po’ con me da Stratford, ma prima o poi li avrei esauriti e non potevo vivere per strada. Avevo anche preso la decisione di pagare l’affitto a Jayce anche se mi aveva praticamente regalato il monolocale, perché non volevo essere in debito proprio con nessuno, non era nella mia natura.

Ero ancora indecisa se riprendere la scuola o no a settembre, ma per il momento ero più propensa a cercare un lavoro e lasciare gli studi, visto che non sapevo se avrei avuto tempo per frequentare una scuola, né la forza.

Mi alzai di malavoglia dal materasso sottile e duro, che mi aveva causato dolori per tutta la schiena, ma non ci badavo più di tanto, e mi diressi verso la finestra che aprii per far entrare l’aria pulita. Non potevo spalancarla completamente perché essendo al primo piano, per di più nel Bronx, non sarebbe stata una furba scelta. Mi diressi verso il mio borsone tirando fuori un maglione leggero nero e dei jeans scuri, per poi dirigermi verso il piccolo bagno. Velocemente mi lavai e vestii per poi prendere la borsa e uscire. Sbloccai il telefono ignorando tutte le chiamate perse e i messaggi, leggendo l’ora, le 8,30. Avevo deciso di andare verso il centro per cercare un qualsiasi lavoro, volevo iniziare subito.

Sapevo che non sarebbe passato nessun taxi in zona, nessuno voleva rischiare una rapina in quel postaccio, così mi diressi verso la fermata dell’autobus poco più in la di casa mia. Oltre a me non c’era nessuno, era abbastanza terrificante quando ero abituata a Stratford, che pur essendo tranquilla la mattina era piena di ragazzi che uscivano per andare dai loro amici, di donne che andavano a fare la spesa e gente che correva per non arrivare al lavoro in ritardo. Spostai il peso sulla gamba destra aspettando pazientemente che arrivasse l’autobus, quando dei passi attirarono la mia attenzione.

Alzai leggermente il capo notando due ragazzi mulatti avvicinarsi, reggendo tra le mani una bottiglia di vodka ciascuno. Uno aveva i capelli ricci, l’altro i capelli rasati. Strinsi la borsa al mio fianco, mentre il mio cuore accelerava i battiti, e sperai che mi ignorassero. Quello con i rasta mi notò e ammiccò dando una gomitata all’altro, che sorrise avvicinandosi a me, seguito dall’altro.

–Ciao bella, cosa ci fa una ragazza come te in questo posto?- chiese con spavalderia poggiandosi al lampione. Mi morsi il labbro fino a quando non sentii il sapore metallico del sangue. Non vedevo l’ora che quel fottuto autobus arrivasse e mi salvasse da quella situazione. Vedendo che non rispondevo l’altro ridacchiò –Non ti mangiamo mica. Io comunque sono Jonathan, e il mio amico è Tiger- si presentò bevendo un sorso di vodka dalla bottiglia.

Annuii distrattamente senza rispondere, attenta a non girarmi in loro direzione. -A questo punto dovresti dirci il tuo nome- incalzò Tiger tossicchiando. Sbuffai incrociando le braccia davanti al petto –Mi chiamo Ellen e sono una a cui piace molto il silenzio- sbottai lanciando un’occhiataccia ai due ragazzi che strabuzzarono gli occhi. Jonathan rise alzando le mani in segno di resa –Scusa amica, volevamo solo darti il benvenuto in questo posto dimenticato da Dio, ieri sera ti abbiamo vista arrivare insieme a Jay, tutto qui- si giustificò facendomi sentire stupida.

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