Maya
Il posto in cui mi trovavo aveva tutta l'aria di sembrare accogliente. Non so se usare quest'aggettivo per luoghi del genere sarebbe più o meno adatto. Non ho neanche la più pallida idea del perché io trovassi accogliente una sala d'aspetto di uno studio medico. La prima cosa che mi saltò all'occhio, non appena varcai la porta d'ingresso, sicuramente erano state le pareti bianche. Un colore che – secondo il mio modesto parere – dava un senso di anonimato alla stanza. C'erano delle piante, rigogliose, forti. Forse volevano ricordarci che anche noi, in un modo o nell'altro, un giorno saremmo potuti diventare come loro. Erano di un verde intenso, quasi accecante. Donavano un colore vivo in quella stanza dalle pareti anonime, come la gente che sedeva nelle sedie di pelle blu. Il bancone della segretaria era pieno di scartoffie, calendari e penne di qualsiasi colore. Lei non c'era, in quel momento. Secondo me, era corsa via a causa di qualche emergenza e la tazza di caffè ancora semipiena ne era la prova. Qualche parete aveva attaccato ad essa dei manifesti colorati: ad occhio e croce, sembravano delle campagne per sensibilizzare la gente come noi, che non aveva un vero e proprio obbiettivo nella vita. La temperatura era piacevole, almeno. Nonostante fossimo fine agosto, l'aria condizionata donava un senso di appagamento, evitando così al nostro corpo di rilasciare migliaia e migliaia di tossine a causa del sudore.
Rivolsi uno sguardo ai pazienti: erano tutti in giovane età, accompagnati da genitori speranzosi. Come se, buttare soldi in stupide terapie potesse servire a farci sentire in pace con noi stessi. Scrutai ad uno ad uno i loro volti. Ognuno di loro esprimeva qualcosa, un dolore così diverso ma che si accomunava con il resto di quelle povere anime, in attesa di essere giudicati dal mostro che risiedeva al di là di quella porta.
C'era una ragazza decisamente sottopeso, i suoi vestiti probabilmente avevano una taglia così piccola, che avrebbero potuto essere indossati da un bambino di otto anni. Al suo fianco, un ragazzo con le maniche lunghe in pieno agosto. Avrei potuto giurare che là sotto ci fossero dei segni ben visibili, gli stessi che lo costringevano a venire qui, ogni fottuta settimana.
Erano entrambi con il volto basso. La ragazzina muoveva la gamba freneticamente, come se avesse un tic nervoso, mentre nel frattempo attorcigliava i capelli scuri e fragili nell'indice della mano sinistra. Non so se il colore della sua pelle, pallida da far paura, fosse quello originale. Quando si è anoressici, si perde tutto, anche il proprio aspetto. Aveva gli occhi di un blu intenso, però. Quel blu particolare, che spiccava in tutto quel bianco delle pareti e donava luce e speranza a chiunque la guardasse. Speranza... chissà se lei ne avesse per sé stessa.
Il ragazzo, invece, aveva dei capelli biondi molto... particolari. Sembrava che quel biondo, abbinato alla sua pelle olivastra, fosse leggermente spento. Si torturava i pollici, come se quello bastasse a frenare i pensieri malsani che stessero passando in quel momento dentro la sua testa. La madre ogni tanto gli appoggiava la mano sulla spalla, gli faceva un sorriso incoraggiante e poi tornava con lo sguardo chino sulle mattonelle giallastre. Non li conoscevo, non sapevo i loro nomi, ma sapevo che eravamo lì tutti per uno scopo comune: combattere i nostri demoni interiori. Che poi, non credo che il termine "combattere" fosse proprio appropriato. No, forse non lo era per niente. Noi non eravamo qui per combattere, ma per sopravvivere, convivere con dei mostri che ci avevano piano piano consumato l'anima e volevano finire il lavoro sporco. Sì, era una sopravvivenza. Una lotta continua tra il nostro essere e il nostro non essere. Perché noi non eravamo, non più. Loro erano. Noi eravamo solo le loro marionette.
La porta dello studio si aprì leggermente, dando l'accesso in sala d'attesa ad una donna molto giovane e curata. I suoi capelli color miele erano raccolti in un crocchia ordinata, portava gli occhiali sul naso a punta e il tubino nero mostrava perfettamente le sue forme ben definite e in proporzione con il suo fisico slanciato. Alzò lo sguardo dalla piccola cartella che teneva tra le mani, puntò i suoi occhi nocciola sulla sala, storcendo le labbra di un rosso acceso e guardando noi povere anime disperse.
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To Drown
RomanceATTENZIONE: SEQUEL DI "THE TICKET OF DESTINY" Dopo aver visto la sua vita andare letteralmente in frantumi, Maya Ross cerca in tutti i modi di raccoglierne i cocci e cercare di ricominciare. Decisa al cento per cento a ricominciare il suo ultimo ann...