16. L'ultima notte a Londra

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Jamie

Alberi alti e fitti che oscuravano la mia vista. Una luna piena e luminosa, offuscata dalle nuvole che rendevano ancora la notte più tetra. Camminavo smarrito, tra quel fogliame che creava uno scricchiolio continuo sotto le mie suole.

Avevo freddo, metà del mio corpo era scoperto, squarciato da dei profondi graffi che mi sanguinavano ripetutamente, senza arrestarsi. Respiravo a fatica, mi guardavo intorno in cerca di aiuto, urlavo a squarciagola se ci fosse qualcuno, ma nessuna risposta riusciva ad allietare il mio animo spaventato e disorientato.

Poi, di colpo, una figura in lontananza si avvicinò a me, come un bagliore di luce divina. Strizzai gli occhi per riuscire a vedere meglio, vista la distanza che ci stava separando. Quando riuscii a distinguere i tratti somatici, indietreggiai.

Ero io.

Una versione completamente diversa di me. Portavo un vestito completamente nero, la mia espressione era malvagia, sicura, folle. Mi guardai sbigottito e indietreggiai ancora, finendo con la schiena appoggiata sul tronco.

«Chi sei?» chiesi, poggiando una mano sul profondo taglio che percorreva il mio addome, ancora sanguinante e bruciante come fuoco dell'inferno.

«Sono te stesso, non vedi?» mi rispose con superiorità, accendendo quella che sembrava essere una sigaretta.

«E tu... puoi aiutarmi? Credo di essermi perso.» sussurrai, facendo una smorfia per il dolore.

Lui rise. Una risata malvagia, fredda, subdola. «Oh, sì che ti sei perso. Ma mi dispiace, non posso venire in tuo aiuto.»

«Cosa? Perché? Tu sei me, no?» domandai perplesso, sedendomi sull'erba umida.

L'altra versione di me fece un cenno positivo con il capo, per poi ridacchiare. «Ma sono stato io a ferirti, Jamie. E io, allo stesso modo, ti ho intrappolato in questo luogo lugubre e tenebroso.»

Mi alzai di scatto, strizzando gli occhi per il dolore causato dai tagli. «Perché l'hai fatto?» dissi, cercando di raggiungerlo. Non appena riuscii ad essergli abbastanza vicino, però, qualcosa mi impedii di poterlo sfiorare. Come una sorta di barriera che lo proteggesse dagli attacchi.

Rise di gusto e scosse la testa, tirando una boccata di fumo. «Ah, povero, ingenuo Jamie! Io sono la rabbia. Per anni, ho tenuto questo nome che mi generalizzasse agli occhi di tutti, ma oggi posso ottenere il tuo. Jamie Reyes. È sempre stato il mio sogno sentirmi chiamare così. Mi hai tirato fuori, hai dato il peggio di te e io mi sono preso la tua vita. Ho già fatto le mie vittime, guarda. Sono al tuo fianco.»

Mi voltai confuso, per poi sbarrare gli occhi. C'erano Maya, Alex e mia Nonna Luz. I loro corpi nudi erano accasciati sul pavimento, la loro pelle pallida, il loro respiro assente.

Cercai di raggiungerli ma – di nuovo – una barriera invisibile non mi permise di poterlo fare.

«Che cosa gli hai fatto?» ringhiai, stringendo i pugni.

Lui alzò le spalle, ridacchiando. «Io? Niente. Sei stato tu. Per cominciare, ha dimenticato tua nonna. Poi, hai dato del traditore ad Alex nonostante lui volesse aiutarti, volesse essere sincero con te. E infine, hai sputato il tuo odio alla povera e indifesa Maya, che ancora una volta ha incassato a causa tua ogni goccia del tuo male. Li hai uccisi.» disse, guardandomi con rabbia.

«No! Io non li ho nemmeno toccati!» urlai, lasciando cadere diverse lacrime.

«Perché piangi sul latte versato, Jamie? Tu sei un assassino! Sei un killer spietato! Un mostro!» urlò con cattiveria, per poi scoppiare in una fragorosa risata.

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