𝐀𝐥𝐢𝐜𝐞

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Sono appena passate le sei quando Alice varca la soglia del Café-Bistrot adiacente alla metropolitana. È la terza volta che vi ci mette piede in una sola settimana. Sono mesi ormai che compie lo stesso tragitto eppure non si era mai accorta di questo locale sobrio e accogliente, salvo per una settimana fa, dove per puro caso, le era cascato il taccuino dalle tasche proprio di fronte la porta d'ingresso. Spinta dalla curiosità si è fatta avanti ed è stato amore a prima vista: dagli interni démodé chiari all'aria che sapeva di caffè e di una qualche sorta di pacataezza per un ambiente come quello spesso frequentato e chiassoso.
Il posto che preferisce è quello all'angolo, in fondo la sala. Il divanetto in pelle beige è soffice e per sua gradevole sorpresa non si attacca alla carne scoperta delle gambe. Si accomoda lì e sfila il foulard verde e lo attorciglia di poco per poggiarlo di fianco alla borsa. È il tavolo che ha stabilito d'esser suo perché rispetto a tutti gli altri è quello più appartato e poi perché vanta una vetrata tanto ampia da permettere la piena visione della strada e del via vai dei passanti. Il libro è già sul tavolino di fianco al menu quando si raccoglie la lunga chioma con una matita. L'ombreggiare alternante dei passanti che si riflette sulla superficie lucida le tiene compagnia e non le serve altro. Alice può facilmente definirsi una solitaria, una che sta sulle sue; spesso le danno della snob e a lei non dispiace, perché non potrebbero sbagliarsi di più. Aristotele definiva l'uomo come un animale sociale e Alice la pensa nella medesima maniera, con la sola differenza che la socializzazione, almeno la sua, è riservata a pochi. La selettività è il suo mantra, così come la sua penna.
Il segnalibro conta la centoquattresima pagina e quando lo sfila i suoi occhi sono già pronti a mangiarsi le parole del secondo capoverso. Alla centodieci, la cameriera minuta di nome Lana le si avvicina e le chiede garbatamente cosa prende con voce flebile mista a un latente impaccio. Alice ha il palmo fermo sulla carta fresca del romanzo nuovo di zecca quando risponde un tè e la dimette con un sorriso rassicurante. Un po' la capisce, un po' si rivede.
Alice può facilmente definirsi un topo da biblioteca. Ama leggere, ama informarsi su qualsivoglia tema che la rispecchi o che semplicemente la incuriosisca. Ed è probabilmente per questo che ogniqualvolta sia costretta a dover effettuare ricerche per la prossima stampa più di tanto non le pesi. È all'ultimo anno e se tutto prosegue senza intoppi dovrebbe laurearsi entro quest'estate. Quando le sfiora il pensiero per poco non le manca il respiro perché ciò equivarrebbe a dire che un altro capitolo della sua vita verrà inevitabilmente chiuso e diventerà per forza di cose obsoleto. A questo poi seguirà un altro e poi un altro ancora, con pagine e pagine scritte di quella che forse è la prima storia che potrà dire di non aver unicamente assistito da spettatrice bensì di averci preso interamente parte. Se ripensa agli anni del liceo, alla spontaneità e alla spensieratezza di quella adolescenza che la inebriavano, poco le ci vuole a punirsi e a sorseggiare la sua consumazione bollente senza nemmeno una zolletta di zucchero. Perché l'amara accettazione del cambiamento l'è spesso indigesta e a tratti la spaventa pure. Ma non permette che alcun pensiero la trascini in un labirinto fatto di altrettanti altri lasciandola lì a marcire in un impasse creata da lei stessa senza via di fuga. Alice si conosce bene, forse anche fin troppo e si accetta per com'è.
Alice Spencer può dire di avercela fatta a conquistarsi tutto ciò che ha, con la mera e forse ormai datata meritocrazia.
Il tè con una leggera spruzzata di zucchero ora non è più fumante da un po' e il fondo della carta bianca segna duecento. La schiena è dritta e aderisce allo schienale, la postura è delicata e elegante, la camicetta in satin color panna lascia intravedere di striscio le spalle ben dritte e confidenti. Ad un certo punto però, queste si irrigidiscono appena quando non è più lo scroscio delle pagine che muove a farle da sottofondo bensì un inaspettato colpetto di tosse e un'ombra statica a coprirne le scritte.
"Sono Robert"
Alice ha lo sguardo puntato negli occhi cerulei di Robert vestito di tutto punto col viso glabro e il sorriso furbo. I capelli sono biondi e ben pettinati, di quel biondo che tende a sfumare in un rosso leggero. Le mani con un accenno di lanugine sono nascoste nelle tasche del completo blu costoso e l'orologio in bella vista griffato al polso le fa dedurre che sia uno che ami curarsi non badando a spese. Inoltre, per come non si azzardi a distogliere lo sguardo dal suo - e tanto meno desista dallo sfoggiare quella dentatura perfetta che gli costerà probabilmente mezzo salario al mese dal dentista - nonostante la sua espressione algida, le fa ben dire che il suo ego sia un tantino sproporzionato rispetto alla sua altezza che rasenta a stento l'uno e settantacinque. Questo, aggiunto a ciò che si azzarda a fare poco dopo.
"Seduto lì tutto solo, mi sono chiesto più e più volte se a quella ragazza sexy e sola quanto me in fondo la sala, non le andasse un'altra tazza di tè" si chiarisce, prendendo posto di fronte a lei. Le sue mani pallide e leggermente secche sono poste l'una sopra l'altra in attesa, con la destra che copre la sinistra e quello scintillio dorato che si intravede goffamente dalle fessure.
"No, grazie"
Riprende a leggere e può sentire quasi nell'immediato un leggero sospiro di stizza venire bruscamente fuori dalle labbra sottili e contrariate del tizio che se ne sta ancora lì, a rubarle aria e spazio personale.
"Qualcos altro magari?" Si cura di aggiungere lui con forse fin troppa urgenza, come a sottolineare che fosse quasi oltraggioso ricevere un due di picche grazie al suo infallibile charme dato dal solo traboccante profumo di quattrini.
Alice fa roteare gli occhi e vede invece di sottecchi un sopracciglio del bellimbusto esser rivolto verso l'alto e le piccole rughette formatesi agli angoli degli occhi in un palese disappunto somatico per la sua indifferenza verbale accompagnata alla glacialità dei suoi modi.
"Non ti è chiaro?" A quel punto le viene da ridere e a dirla tutta il suono di quella risatina derisoria fa rabbrividire persino lei.
Robert di fatti ne risente e assume tutto un altro volto: i tratti mascolini si involgariscono in un nonnulla disegnando una smorfia facendo così cadere quella maschera affabile da cialtrone fedifrago indossata all'occorrenza.
"Non mi permetti nemmeno di giocarmi qualche carta? Di uscirne sconfitto con dignità?" Insiste dissimulando il fastidio con uno scarno esito però.
Alice prende un respiro profondo tentando di tenere a bada il suo autocontrollo. Di suo è una persona pacifica, ma guai a chi si azzarda a stuzzicare il suo temperamento o peggio a metterlo a dura prova.
I gomiti sono poggiati ai lati del libro, il volto sereno e gli occhi di un marrone caldo pure.
"Robert voglio essere sincera con te e dirti le cose come stanno. La dignità l'hai persa già tempo addietro, dalla prima volta in cui ti sei sfilato la fede col tentativo di abbordare qualche povera malcapitata. Se poi le carte di cui parli, comprendono anche il solo esserti arrogato il diritto di sederti senza nemmeno chiedermelo, per me puoi tranquillamente bruciarle tutte e tu evaporare"
Robert esce allo scoperto liberandosi da quell'intreccio di mani ormai smascherate e ride, di una risata forse liberatoria o forse no.
"Lo sapevo che eri cazzuta. Ed è un vero peccato dolcezza, che ti ostini a fare la frigida intirizzita come sei, perché se scopi come parli sì che ci sarebbe da divertirsi, invece corri il rischio di rimanere permanentemente così come ti ho trovata: sola" sputa poco dopo con malcelato livore.
L'espressione tuttavia resta impassibile di fronte quelle illazioni prive di classe. Qualcun'altra al suo posto avrebbe risposto a tono, magari ricambiando il/lo (s)favore, invece Alice tace, tace per compassione perché quello che ha di fronte è l'esempio di feccia d'uomo che ha creduto di poterla corrompere col solo sfoggio di danaro e un sorriso artificioso.
Quest'ultimo si gratta il mento nervosamente e la fissa quasi instancabilmente aspettandosi un commento, o altrettanto veleno ma Alice è già tornata al suo libro. Dopo un po' le pare di sentire un 'incredibile' sibilato a labbra strette ma non può dirlo per certo perché ora è nuovamente tutta sola e nella sua amabile quiete.
Quando una ciocca le scivola giù per la guancia e lei muove le dita per ordinarla dietro l'orecchio, si ritrova casualmente ad alzare lo sguardo e a incrociare quello che poco prima la fissava con insistenza. Lo vede raccattare veementemente la sua ventiquattr'ore e continuare a fissarla con oppressione.
Alice ne approfitta e alza la tazza di tè vuota alla cameriera per ordinarne un'altra - da sé - mentre intravede Robert toccare clamorosamente il fondo, quando le dedica il dito medio prima di spintonare vigorosamente la porta e uscire. Alice riprende a leggere e nel mentre sorride.
Sorride sola.


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Ciao a tutti! Grazie per aver dato un'occasione a questa storia. Vi avviso in anticipo dicendovi che ne ho solo pronto qualcuno ma ho comunque optato per la pubblicazione del primo giusto per darvi un'idea sul personaggio femminile. Detto ciò, non astenetevi dal commentare o dal farmi sapere cosa ne pensate.
Grazie!

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