𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲

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Harry detesta i cieli plumbei gli mettono tristezza: il grigiore, l'aria irrespirabile che sa di bagnato e la moltitudine di ombrelli che gli ostruiscono il passaggio lo irritano. Contrariamente lo mettono di buonumore le giornate assolate, perché lui è uno entusiasta della vita, uno che la accoglie a braccia aperte sempre, o quasi. Sebbene di recente, questo 'quasi' dura da un po' e lui non ne digerisce nemmeno l'eventualità.
Delle gocce picchiettano copiosamente il vetro della finestra: gli fanno da sottofondo nel più totale silenzio, distraendolo. Certo, se solo fosse vero. Se solo, appunto, potesse dare a loro la colpa del suo non riuscire a macchiare nemmeno per sbaglio nessuno di quei fogli bianchi che continuano a restare ostinatamente vergini e a farselo nemico per essere la prova della sua poca operosità.
Ed è da forse un paio d'ore che se ne sta seduto alla scrivania con una inconcludente bic tra le mani. Il taccuino aperto di fianco all'avambraccio, segna parole infruttuose e ormai illeggibili tracciate da righe volte a cassare ogni possibile idea appuntata. Preferisce la scrittura a mano e la propria calligrafia rispetto alle dita pigianti su tastiera e quei caratteri omologati e grossolani.
Ha sorseggiato del caffè per restare concentrato per poi nel più pieno sconforto, optare per un vino rosso artigianale, uno di quelli che suo zio Earl produce e che alla ricorrenze gli fa recapitare. Tuttavia, tutto ciò che ha ottenuto sono state due guance accaldate e una sonnolenza progressiva.
Con un sospiro a lungo trattenuto, che viene ben presto rilasciato tutto d'un botto, la penna diviene inevitabilmente vittima della sua mano quando viene scaraventata per aria assieme ai fogli volteggianti che adesso spiccano sul parquet mogano dello studio. Harry porta due dita a pressare il ponte del naso e inspira profondamente saturo del suo sentirsi malauguratamente fuori posto.
Non riesce a capire quale sia il motivo di questa sua impasse, di questo suo periodo di stallo, dove niente viene fuori e tutto tiene dentro. È prossimo alla laurea, la sua media è dignitosa e i lavoretti che si è trovato gli permettono di poter pagare l'affitto. Cos'è allora? Cos'è che non gli torna e che non riesce a vedere nitidamente? La sua vita non ha nulla che non va, ha tutto ciò che potrebbe desiderare un ventiquattrenne, quindi qual è il problema? Perché non ha nulla da dire? E se... e se fosse lui? Che avesse perso il tocco?
Al pensiero un peso greve gli casca tutto d'un colpo nello stomaco; gli sa tanto di sensazione nefasta e repellente, quelle del tipo che ti mettono in guardia contro l'inevitabile. E adesso, quella piccola parte di sé che lo teneva ancora unito salta, ed Harry impreca alzandosi di scatto facendo ribaltare la sedia all'indietro per l'impeto. La bottiglia di vino traballa e lui corre subito ad afferrarla mentre dei passi si fermano alle sue spalle.
"Che cosa è successo?"
Harry è accovacciato in terra intento a riordinare i fogli, la schiena quasi gli duole per flettersi e rispondere: "Niente"
"Ti va di parlarne?"
La domanda resta per un po' in sospeso mentre ora Harry si ritrova a stringere con forza l'apice della sedia.
"Metto a posto ed esco. Ho bisogno d'aria" risponde poco dopo con una riluttanza che gli preme non poco nella gola mentre si allunga per attappare la bottiglia.
Gli pare di sentire anche un: "Ma tu odi la pioggia" ma la porta d'ingresso si è già chiusa dietro di lui.



















Harry ha le scarpe fradice e il giubbotto di camoscio pure. Avrebbe dovuto optare per un impermeabile ma al diavolo si era detto, prima di ficcarsi le chiavi di casa nelle tasche. L'ombrello è servito a poco per quella che altro non è stata che una vera a propria tempesta. Nonostante reggesse il manico con presa salda per poco, non gli era volato via dalle mani tanto era forte il vento. Manca poco alla primavera eppure non ce n'è traccia. Harry la aspetta, attende che sia lei a far rifiorire rigogliosamente la sua ispirazione in latitanza. Dannata.
Sono le cinque del pomeriggio ed è ufficialmente scattato il suo turno di lavoro. Con lo stomaco vuoto e gli occhi arrossati, appena spinge la porta, quest'ultimi intercettano quelli della ragazza minuta al di là del bancone. Gli sorride. Gli piace Lana e quell'aura che si porta dietro, gli sa tanto di giovialità e puerilità. Ha diciannove anni e lui glieli legge tutti addosso: primo anno di università, la frenesia della prima indipendenza e il primo lavoro per potersi pagare una birra al pub con gli amici. Tra loro è venuto a crearsi un rapporto fraterno. Sono tre mesi ormai che si scambiano confidenze, più che altro lei, che per l'appunto è solita chiedergli consigli e lui, be', prova a fare del suo meglio. A tal proposito è da un po' che sospetta che ci sia qualcosa che ancora non gli dica e che dietro ci sia Wes, ma guai al solo nominarlo. Quest'ultimo, a suo dire, è 'irraggiungibile' e lei troppo, in maniera lampante, pavida. Ma Harry sa bene, che non bisogna mai ostinarsi contro il fato, perché spesso riserva l'insospettabile.
Harry le strizza un occhio svogliatamente e fa il giro per andare direttamente negli spogliatoi - ed evitare Stan e la sua consueta espressione goliardica fuori luogo - con Lana che gli è subito alle calcagna.
"Mi devo cambiare" la avverte un po' bruscamente, quando apre la porta con una spallata mentre le mani sono impegnate a reggere lo zaino.
Lana lo ignora, con le braccia conserte e gli occhi curiosi, mentre osserva il profilo crucciato di Harry Styles, il ragazzo decisamente più in gamba che conosca. Quest'ultimo sfila il giubbotto e lo poggia sulla gruccia, così come la camicia sui toni del blu; i ricci grondano d'acqua e lui sembra non curarsene mentre ci passa una mano attraverso.
"Credo che dovresti prima asciugarti un po' in realtà" gli fa notare, mentre lo sorpassa e infila l'asciugacapelli nella presa per lui. Glielo porge e Harry la ringrazia con un sospiro lieve, non rimproverandola invece sul fatto che non dovrebbe stare lì, com'è suo solito fare.
"Che tempaccio eh? Io e Stan abbiamo scommesso che non saresti venuto" "Ehi, non guardarmi così, male non mi fanno" gli dice scherzosamente, mentre gli mostra fiera la banconota guadagnata a sue spese, con un sorriso a trentadue denti.
"No di certo"
"Cosa c'è che non va?"
Gli chiede poi, rabbuiandosi appena, sinceramente preoccupata dalla sua reticenza latente, mentre lui si sfila le scarpe e i calzini toccano le piastrelle fredde. Si chiede come faccia a non rabbrividire al solo contatto. Harry ha grandi spalle e una presenza di tutto rispetto, eppure c'è qualcosa che non le torna, come se quella che avesse di fronte non fosse la solita sagoma con cui è abituata a confrontarsi. L'addome le risulta essere meno pieno, così come i fianchi di una rotondità un po' accennata, mentre lo osserva di spalle quando si lega i capelli e la maglia sale su. Che avesse ripreso a cibarsi di soli cracker e banane?
"Nulla. Si dorme solo poco" risponde lui mentre si libera delle chiavi e del pacchetto di sigarette che tiene nei jeans. Lana si accorge che eviti il contattato visivo, quindi decide di porgli la domanda che gli vuole fare da un po', da quando Harry ha fatto in modo di far vertere i discorsi unicamente su di lei, tormentandola anche forse un po'. Vorrebbe solo potergli essere d'aiuto, perché Harry è uno di quelli dal cuore buono, uno di quelli che ti aiuta a rialzarti non appena caschi, uno di quelli che c'è, quando nessuno ha apparentemente tempo.
"Niente ancora?"
Ed è esattamente lì che non è più capace di sfuggire e di nascondersi dietro al mero malumore da meteoropatico.
"No" risponde secco e abbassa lo sguardo sulle sue calze bianche, ree di essere tinte di quel colore che tanto ultimamente gli è ostile.
"Capisco" dice dopo un po', con una rassegnazione che le colora la voce e che tenta di nascondere disfandosi della crocchia per poi rifarla in maniera più ordinata. Harry inghiotte un sospiro prima di osservare i suoi movimenti pratici, come i suoi occhi neri e le sue sopracciglia folte in apprensione.
"Ora devo seriamente cambiarmi"
Dice dopo un po', con Lana che si discosta dal muro e annuisce in silenzio. Quando quest'ultima si volta per andarsene ed Harry ha già le mani sul cavallo dei jeans per sbottonarli, d'un tratto però pare cambiare idea: "Dimenticavo una cosa"
Harry la guarda interrogativo, ma solo per poco, quando poi, si ritrova un braccio disteso come a poche spanne dal naso. Harry soppesa un po', come se poi ce ne fosse motivo, prima di lasciarsi finalmente andare e battere il pugno, come un ragazzino c come in passato quando aveva qualche anno in meno e qualche idea in più.
"Ora sì che va meglio" gli sorride soddisfatta prima di andare via ma non prima di sincerarsi dell'accenno di sorriso spuntato sul viso angelico di Harry.
Lo stesso che diviene ben presto in uno pieno e vero, quando l'ultima cosa che vede, sono i capelli svolazzanti di Lana scomparire al di là del vetro dell'oblò.
Forse sì.

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