6. segno

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Alice è seduta da un po' al solito posto. Non c'è nessun libro di fianco al cellulare ma solo la tazza di tè. Aleggia un odore di caffè e di primavera nell'interno. Ma lei è tesa e non riesce a rilassarsi. Sono passati due giorni dalla rapina e da Harry. Glenn le manda un messaggio, le ha appena chiesto un favore, ma Alice le risponde che ne parleranno più tardi perché la porta d'ingresso si è appena aperta: è Lana. Una punta di delusione si fa spazio dentro di lei quando i loro sguardi si incrociano. Alice le accenna un saluto ma lei non ricambia, fila dritto sul retro. Alice si cruccia e beve un sorso di tè non più così caldo. Poco dopo Lana è in divisa, dice qualcosa a Stan oltre il bancone prima di avanzare in direzione di Alice. Quest'ultima aspetta, Lana sembra come in subbuglio mentre si avvicina. E in automatico tutti i suoi sensi sono in allerta.
"Facciamola breve, Harry non verrà, mi ha chiesto di darti questa" le porge un sacchetto di plastica. Alice la guarda incerta ma Lana non batte ciglio; l'ha riconosciuto: è quello che ha lasciato nell'auto di Harry.
"Non ce n'era bisogno" si oppone ma Lana resta immobile col braccio teso verso di lei, la guarda scettica senza dire nulla, poi finalmente sbuffa. Le pupille a stento si distinguono dalle iridi scure che le circondano. Gli occhi di Lana denotano ostilità, Alice la sente, è palpabile come la temperatura oltre i venti gradi che c'è fuori. Non aggiunge altro, permette al silenzio di imperversare e parlare al suo posto quando fa cascare il sacchetto colmo di alimenti ai piedi del tavolo prima di andarsene. Alice resta interdetta al suono di quel rumore sordo, ma non ci sta, Harry non verrà e Lana non era mai stata così fredda. 
"Ehi aspetta" si alza in piedi.
"Cosa vuoi?" Ed è lì che ha la conferma dei suoi sospetti, dal modo in cui le sopracciglia folte sul viso  puerile di Lana si arcuano verso l'alto, di come la guardi dall'alto verso il basso, col mento su supponente.
"Che la smettessi di trarre conclusioni affrettate" il disappunto le colora la voce per l'orgoglio inevitabilmente pizzicato.
"Non ho detto niente e tanto meno mi va di farlo" Lana continua a giudicarla come se non vi ci fossero alternative, come se il suo aver fatto due più due non facesse una piega. Di fatti, convinta delle sue idee, fa nuovamente per andarsene ma Alice non glielo consente. Non le permette di condannarla. Non la conosce e non può.
"Io sì invece ragazzina e sei pregata di non darmi le spalle quando ti parlo" Una mano le afferra il braccio impulsivamente. Lana è chiaramente piccata, sul viso le si disegna una smorfia con gli occhi che si assottigliano repentini quando sibila a denti stretti: "Tu non mi piaci"
Alice sorride, di un sorriso tronfio e sinistro, come se non stesse aspettando altro che sentirsi dire quello che probabilmente Lana covava da quando l'aveva vista parlare con Harry. La ricorda bene l'espressione sul suo volto e il suo essersi poi sentita fuori posto subito dopo. Gli occhi le si fanno seri, severi e inviolabili: Lana fa bene a dirlo perché se la conoscesse per davvero penserebbe anche peggio di quello che già non pensi adesso.
"Se fossi in te probabilmente nemmeno io mi piacerei"
Lo stupore si riflette nei suoi occhi, in quelle cavità nere che le marchiano lo sguardo leggermente tendente verso il basso. Adesso però tentennano, la scrutano confusa, le ciglia intrise di mascara sbattono ripetutamente come se avesse di fronte un qualche animale sconosciuto; la bocca è piegata in una linea dura, avversa, tuttavia non è una che non si lascia impressionare facilmente. Seppur Alice torreggi su di lei questo non la intimorisce, la affronta, non scappa, prima di guardarsi intorno con la clientela che si è fatta inevitabilmente curiosa.
"E adesso questo cosa dovrebbe significare?"
"Quello che ti pare. Ti sei fatta un'idea sbagliata perché ci siamo incontrati per pura casualità"
"Certo sì, per pura casualità. Vallo a dire alla sua ragazza che adesso, guarda caso, è a mille miglia di distanza"
Lana così come Alice tenta di tenere un tono di voce conciliante, matrice di una calma apparente e di far passare la loro chiacchierata casuale. Ciononostante ciò che invece Alice avverte internamente è il proprio sangue ribollire nelle vene, impervio, funesto, per quel sarcasmo da due soldi. Con voce fin troppo pacata e con un sorriso fittizio ribatte: "Quindi tu fai le sue veci o semplicemente l'amica gelosa? Quale delle due?"
Un colpo forse basso, ma non le importa. Lana si ritrae e gli occhi le si spalancano impercettibilmente, ma Alice riesce comunque a coglierne l'offesa e l'oltraggio che si celano dietro.
"Tu non sai proprio un bel niente di me e di Harry"
"Anche tu. E se ti dico che ti sbagli, tu ti sbagli. E sono certa che Harry ti abbia detto lo stesso, quindi la prossima volta, prima di venirmi a puntare il dito contro, forse dovresti rivedere il tuo concetto di amicizia, se nemmeno a lui sei riuscita a credere"
La bocca non riesce a muoversi come vorrebbe nel pronunciarsi, perché c'è risentimento, un'ostilità ricambiata e che date le circostanze è costretta a ridimensionare con riluttanza.
"Proprio non capisco cosa ci trovi in te" risponde sprezzante, prova a colpirla come Alice ha appena fatto con lei. La bionda incassa in colpo con strafottenza forse perché n'è avvezza quando gli anni in più le hanno permesso di costruirsi uno scudo ben più grosso e robusto.
"Lo chiedi alla persona sbagliata" replica, con fare presuntuoso, scrollando le spalle con un menefreghismo che al massimo può ostentare e che le può appartenere.
Tuttavia Lana non sembra infastidirsi come aveva auspicato, la osserva soltanto, osserva il suo volto, come se vi ci stesse scavando, come se stesse andando oltre ad un paio di parole messe assieme e a quel tono di saccenteria adottato. C'è qualcosa che cambia nella maniera in cui la scandaglia, qualcosa che Alice non riesce a interpretare dato il mero grado di conoscenza. Qualcosa che sembra rabbonirla d'un tratto quando dice: "Avresti potuto metterlo in pericolo" in un filo di voce esalante. Questo la fa inevitabilmente retrocedere, la coglie in pieno e valica le sue barriere ribaltandone le intenzioni, per quello scontro che si è appena tramutato in delle semplici occhiate di sconforto. Le ha appena rivelato il suo timore, in un'accusa lecita e incontrovertibile. E solo allora Alice si permette di abbassare il capo, di volgere lo sguardo al pavimento tirato a lucido, non potendo fare altrimenti perché colpevole.
"Lo so"
Lana pare capirlo, pare carpirla la sua resa e il suo assenso, sentirlo per davvero perché sinceramente sentito prima ancora dalla ragazza che ha di fronte. La guarda e si domanda se non ci sia altro che le sfugga, oltre ai lunghi capelli dal biondo miele che le incorniciano il volto aggraziato in una maniera così giusta da farle invidia, tanto da renderla bella in maniera assoluta; se ci sia dell'altro oltre ad un bell'involucro a cui Harry ha scelto di prestare attenzione. Alice si sfrega i polsi per impegnare il tempo, per riempire quel silenzio prolungato in maniera involontaria e non tattica. E Lana sente inavvertitamente di poterglielo dire, benché non comprenda propriamente come possa essere possibile, sente di poterlo fare. Di potersi liberare e alleggerirsi di un peso.
"Harry non verrà perché è in ospedale, suo zio Hugh ha avuto un infarto"
Lo dice tutto d'un fiato, come una confessione tenuta per sé per troppo tempo. Tuttavia non le lascia il tempo di dire niente, coglie solo la sorpresa manifestarsi sul suo volto, perché Stan le sta addosso col suo solito fare da leccapiedi spione.
"Be' ora ho da fare" si congeda, Alice fa un passo indietro in automatico: "Sì, certo"
Lana prende il taccuino, le sue mani sono piccole ma ben curate. Si porta un ciuffo di capelli dietro l'orecchio: "Per la cronaca, gli dirò che sei passata solo perché devo, ma non pensare nemmeno per un secondo che patteggi per te"
In un attimo sono ritornate a qualche istante prima, Lana che si prodiga a prendere le difese del suo amico e Alice che invece è costretta a difendersi dalle sue accuse velate. Stavolta non contrattacca, sorride sicura: "Non lo penso perché non c'è niente per cui patteggiare" ma Lana si è già voltata e ha borbottato un 'non ancora'. Alice lascia che quelle parole restino sospese, perché prive di fondamento; lascia che la banconota si piazzi di fianco la tazza prima di andare via con un sapore acre in bocca: il tè non ha più lo stesso sapore.
Le dita di Alice pigiano con rapidità sulla tastiera, fanno rumore. Un rumore che accoglie ben volentieri e a cui fa affidamento. La sua postazione è un cubicolo semi-cubicolo poiché non recintato del tutto. Le pareti che circondano i dieci metri quadrati sono di un grigio scuro e molto triste, lo stesso, che ricopre gran parte dell'area dedicata agli stagisti. Lei, almeno si è accaparrata quello migliore. Ci sono due grandi finestre dagli infissi bianchi che le permettono di vedere cosa accade fuori mentre il tempo scorre e il mondo cambia. E che adesso la fanno respirare. Con una precisione quasi matematica, a circa tre metri di distanza, posto al centro di queste, c'è la scrivania di Sally, colei che si occupa della gestione delle notizie e che conseguentemente assegna i pezzi. Tra quest'ultima e Alice non corre buon sangue per pura questione di gusto. Si limitano a tollerarsi e a comportarsi professionalmente. Sono da poco passate le undici e non le dispiace aver saltato i corsi previsti in mattinata. Preferisce sorbirsi il viso truccato da pagliaccio di Sally e le sue carotine come snack all'ambiente chiassoso dell'Università. Almeno qui c'è silenzio. Anche se questo, spesso, implica il dover scrivere necrologi su pseudo intellettuali alto-borghesi passati a miglior vita di cui non frega a nessuno. Come oggi.
"Starei cercando di lavorare ma tu mi distrai" Connor ha appena piazzato una sedia dall'altro capo della scrivania, ci è seduto su a gambe divaricate. Ha gli avambracci pigramente poggiati allo schienale e dei boccoli neri disordinati sparsi sulla fronte.
"Non è affar mio"
Alice lo ignora perché è una pessima giornata e non ha voglia di sorbirsi le sue allusioni.
"Sì che lo è, tuo e di questo bel faccino che ti ritrovi"
Alice smette di scrivere e espira esasperata. Connor sorride, pieno di sé, la luce alle sue spalle gli illumina la pelle olivastra e mette in risalto gli occhi scuri. Gli stessi che non le hanno lasciato scampo da quando è arrivata stamane. In realtà sin dal primo suo primo giorno qui.
"Riesci almeno per un secondo della tua vita a essere serio?"
Alice prende un sorso d'acqua, sa di plastica. Inizia a fare caldo in quello spazio circoscritto e Connor non è d'aiuto. Quest'ultimo segue i suoi movimenti soffermandosi sul collo scoperto dalla camicetta color ocra. Gli piace la sua pelle non omogenea, puntellata qua e là da nei, la trova sexy e appetibile. In realtà tutto in Alice è come un richiamo per lui. Ma più di tutto, il suo resistergli ostinatamente.
"Con te intorno? Mai" la stuzzica, mentre si tortura il piercing alla lingua, l'unica cosa che li accomuna.
"Be' io starei lavorando sul serio"
Riprende a scrivere, adesso fingendo di non prestargli attenzione. In realtà non le riesce mai bene come vorrebbe perché in fondo Connor non è così detestabile come vuole fargli credere e il suo senso dell'umorismo non le dispiace poi tanto. Ma la sua ambizione, quella di volersi infilare tra le sue lenzuola, non è accettabile e necessita di essere continuamente raffreddata.
"Anch'io, mi sto lavorando te" rilancia, chiudendo di poco gli occhi e rendendoli ancora più allungati di quanto già non siano. Un sorriso ampio e luminoso gli caratterizza il volto creando un delizioso contrasto coi colori in prevalenza scuri che lo definiscono. Connor è decisamente un bel ragazzo, uno di quelli dal fascino non opinabile per ragioni anatomiche evidenti: dalle spalle larghe per gli anni di nuoto pregressi, all'altezza che va oltre il metro e ottanta e un complesso di peculiarità parzialmente ispaniche ereditate da parte di madre.
"Con un lampante scarso esito però"
Lo mette a posto, posando lo sguardo distrattamente su Sally che sembra osservarli con interesse, mentre applica l'ennesimo strato di lipgloss. Ci trova una certa coerenza con l'abuso di fondotinta a cui si ostina a fare ricorso.
"Può darsi, ma più ti scansi, più io mi faccio vicino: è questione di fisica"
E poi c'è Connor che crede di poter dare ampio spazio alle sue parole tramutandole in azioni, ora che si è proteso verso di lei, parlando con un tono di voce mellifluo, a poche spanne dal suo viso. Alice smorza il suo entusiasmo spingendolo via con una mano.
"Da quello che so lo è anche un mio calcio nelle tue palle"
"Ouch"
Connor simula un'espressione di dolore mentre torna a sedersi sconfitto. Tuttavia, a suo malgrado, resta ancora lì divertito.
"Te ne vai?" Alice è costretta a bisbigliare perché Sally sta chiaramente origliando e questo non le va affatto giù. Perché non possono essere tutte come Glenn?
Connor come un imbecille emula i suoi gesti e china anche lui il capo per bisbigliare: "Solo se dopo ti prendi un caffè con me. Prendere o lasciare"
"Lascio ovviamente"
"E io ti prendo. Quest'oggi mi sono prefissato una missione: far sparire quel brutto broncio lì"
Insiste, col mento poggiato alle mani congiunte. La guarda da sotto le ciglia lunghissime e nerissime che nemmeno un mascara all'ultimo grido potrebbe equiparare.
"Visto? Sparito. Ora gira al largo"
Per la prima volta però sembra inquietarsi, come se la risposta non gli aggradasse. Forse perché Alice ha manifestato il suo fastidio graffiando leggermente la voce o forse perché Connor per quanto superficiale possa apparire, è allo stesso tempo uno dei pochi in grado di capirla, se era stato capace di intuire il suo essere di pessimo umore.
"Va proprio male allora. Rettifico: oggi si pranza insieme"
Ed è serio quando lo dice, non dispotico, ma volitivo, come se gli importasse realmente. Alice tentenna ed è la prima volta che le succede da quando lo conosce, è la prima volta che lo guarda e lo vede sotto una luce differente, meno... inconsistente.
"Scordatelo e poi ti ricordo che tu stacchi alle tre"
Ma non si permette di fare un passo falso anche se ne stesse vagliando solo lontanamente l'ipotesi. È pur sempre Connor.
Basta poco per un pensiero nascere e morire quando Connor non guarda più Alice, anche se è solo per un istante che vale l'intero piatto, perché si è voltato verso Sally e adesso sorride sornione: "Sono sicuro che chiuderanno un occhio"
Lui non lo sa ma inconsciamente perde e Alice invece è libera di tirare un grosso respiro di sollievo per quell'unico momento di poca lucidità.
"Sei disgustoso"
"E tu invece bella da morire"
"Sparisci!"
A pranzo con Connor ci è andata per davvero perché l'idea di tornare a casa e di studiare era fin troppo deprimente. E lui sostanzialmente il male minore. Connor si è sfilato il maglione bianco perché il sole è a dir poco cocente. Ora indossa una t-shirt del medesimo colore con una piccola scritta in nero alla'altezza del pettorale sinistro. Alice ha invece raccolto i capelli con delle occhiate di apprezzamento fin troppo svenevoli da parte di Connor. Sono seduti ad un tavolo circolare all'aria aperta e per imposizione di Alice sono ben distanti. Ci sono rimasugli sparsi di french fries, qualche pezzo di hamburger scartato e una birra non più così tanto fredda di fianco a una bottiglietta d'acqua vuota.
C'è Connor che le sorride, c'è Connor che le chiede per la millesima volta un'appuntamento a cui Alice risponde per la millesima volta di no. C'è Connor che la fa ridere ed è quello che le ci voleva dati i passati avvenimenti. Con tutte le buone intenzioni, quest'ultimo ha provato a chiederle come gli andassero le cose sventolandole una foglia d'insalata sotto il naso per divertirla, per contro Alice non ha fatto altro che deviare il discorso e dirottarlo su altrettanti più frivoli e meno impegnativi. Perché? Perché Harry, a suo malgrado, era rimasto un chiodo fisso. Un chiodo ben piantato al centro del cervello: fastidioso, invadente e odioso. Lo stesso che si sarebbe cavata allegramente se avesse potuto, se avesse saputo come.
"È per l'età?" le chiede pulendosi le mani unte di mostarda con un fazzoletto.
"Anche" risponde approssimativa chiudendo per un secondo gli occhi e lasciandosi andare a quel tepore transeunte. Ha le gambe distese su una delle panchine poste ai rispettivi lati del tavolo. Lavora al giornale da diverso tempo eppure non ci era mai venuta. Questo locale a conduzione famigliare è una scoperta vera e propria: le dà un senso di pace, nonostante l'orario di punta, il rumore dello sfrecciare delle auto è rimpiazzato da un incalzante cinguettio di uccelli.
"Cioè?" chiede ancora curioso. Ha al collo una collana fatta di piccole perline in legno. Alcune sono colorate  di rosso e c'è un piccolo ciondolo in metallo posto al centro che penzola. È un àncora. La trova carina e molto da ventunenne. Più che azzeccata.
"Per quello e per il fatto che tu non riesca a tenertelo nei pantaloni" Alice si spaccia per seria ma in realtà si diverte. Specie se Connor sembra stare troppo a soppesare su quelle parole per provare a smentirle una ad una. Però, stranamente, lo vede in balia di un leggero imbarazzo e lei inizia a sentire il principio di un qualche rimorso.
"Devo pur impegnare il tempo mentre aspetto" fa', frizionandosi i capelli e ritornando a torturarsi il piercing come da sua pessima abitudine. Alice comprende il suo discorso, non è la prima volta che lo affrontano. La filosofia di Connor comprende un certo grado di fantasia, che in quanto tale, fa a cazzotti con la realtà. Tuttavia il fatto che si sia espresso con un'ostentata leggerezza la indispettisce. Non può tirare in ballo sempre lo stesso discorso per poi venderlo a così poco.
"Non verrò mai a letto con te Connor" sente di dover mettere in chiaro le cose, o in questo caso una, tornando a sedersi e raccattando ciò che ne resta del pranzo. Connor si prende del tempo per ribattere seguendo i suoi gesti. Non sa perché spesso se ne stia zitto a seguirla con lo sguardo. Anche al lavoro lo becca ripetutamente e sotto sotto crede che lo faccia di proposito a farsi cogliere in flagrante.
"Tralasciando quest'ultima affermazione discutibile, so per certo che presto o tardi ti accorgerai che c'è molto di più in me, molto di più di quanto ti accontenti di vedere. È solo questione di tempo"
Alice smette di prendersela coi rifiuti perché quelle parole l'hanno colta di sorpresa e coinvolta in altrettanta maniera. E forse è costretta ad ammettere a se stessa che Connor non dia solo aria alla bocca in allusioni flirtanti. Lo pensa passando in rassegna il suo volto glabro, i suoi occhi che aspirano ad una furbizia che forse ancora non gli appartiene del tutto e alle labbra corpose che vengono inumidite, perché sotto sforzo per aver confessato una verità in apparenza sentita. Lo pensa, per come abbia deciso di portare il proprio vassoio al posto suo o come le sia semplicemente venuto in soccorso in quella mattinata uggiosa. D'un tratto si domanda perché. In automatico ripensa alla conversazione avuta con Lana, al 'non capisco cosa ci trovi in te' e di come si senta così insicura e così ignara al riguardo. Di cosa spinga gli altri ad avvicinarla.
"Perché proprio io? Perché darti tutto questo da fare?"
Alice pone quel quesito con serietà. Connor non sorride più, le mani attorcigliano distrattamente una cannuccia inutilizzata per una bibita gassata mai ordinata. Sono passati probabilmente solo dieci secondi ma sembra essere molto di più. Connor impegna il tempo abbassando lo sguardo forse per impaccio, preparandosi a ciò che sta per dire, per poi riportarlo su, dove più gli piace stare, in due occhi marroni che proprio non riesce a togliersi dalla testa.
"Per la stessa ragione per cui non potrei mai accontentarmi di portarti soltanto a letto: perché sei tu"
Alice ha salutato Connor perché doveva tornare al giornale e riprendere a dare il suo considerevole contributo. Ora che ci pensa, non sa come sia possibile che per l'età che ha, lavori lì. È ritornata dentro, ha sete, così ordina dell'acqua. Mentre aspetta poggiata al bancone i suoi occhi captano un muoversi di mani famigliari, più precisamente, un segno distintivo che la paralizza all'istante. C'è Harry a due sgabelli di distanza che regge una pillola prima di apprestarsi a prendere un sorso d'acqua. Alice stenta a crederci mentre una goccia gli casca giù per il mento, bagnandogli la t-shirt blu nel punto in cui ricorda la presenza di un tatuaggio. Si chiede come possa essere possibile quando vi è una moltitudine di moltitudini posti. Tuttavia le ci vuole poco per rispondersi. Bill, il macchinista, è stato portato d'urgenza all'ospedale lì vicino per l'incidente tremendo avuto col cacciavite giusto un paio di settimane fa. Solo al pensiero le si accappona la pelle. Harry è all'impiedi, fissa il bicchiere vuoto. Sembra pensieroso, avvolto in un'aria di mestizia. Alice lo fissa e non prova più astio nei suoi confronti ma più una sorta di inquietudine. Da quando sa.
"Mal di testa?" Esordisce così, con un'insicurezza che camuffa bene con tono di voce lievemente acuto. Harry si volta di scatto ma non sembra poi tanto stupito.
"Uno atroce, che ci fai qui?"
Un gomito è poggiato al bancone mentre le mani ripongono il medicinale nelle tasche strette di un paio di jeans chiari. I tatuaggi sono sempre tutti lì, caotici e senza un apparente nesso logico, eppure Alice non sa perché se ne accerti. Perché si accerti di non trovarci altro, tipo qualche graffio.
"Il giornale per cui lavoro è praticamente a due passi. Ho saputo: mi dispiace Harry"
Alice si spiega velocemente, forse in maniera fin troppo frettolosa. L'orgoglio, quello di cui lui è venuto a conoscenza con facilità, spinge vigoroso tra le sue membra quando si tratta di essere vulnerabili e di argomenti così delicati. Harry la osserva, ha leggermente il capo chinato, sembra rilassato, a suo agio e Alice si chiede se lo sia sempre o se lo sia soltanto con lei; se sia sempre padrone della situazione o invece padrone del mondo intero.
"Lo vedo" dice, imperturbato e la scelta di quelle parole non passa inosservata. Tutto in lui sembra essere sempre così ben calibrato, come se si imponesse in maniera del tutto naturale di non lasciare mai nulla al caso. Come quel 'lo vedo', che sta per molto di più di un più banale 'lo so'. Sta più per 'un ti guardo e capisco che è vero'.
"Come stai?"
"Bene, grazie, ma non avrei dovuto chiederlo io per prima? Non è così che funziona in questi casi?" Alice si forza di sorridere mentre parla e Harry la segue facendo lo stesso quando ironizza: "Vedrò di dare un'occhiata al copione allora"
Il sorriso però stavolta le si allarga sinceramente anche se ha vita breve, perché ci tiene realmente a saperlo e Harry pare capirlo.
"Potrei stare meglio" rettifica, quasi stravaccandosi al bancone. Sembra stanco se non provato. Un accenno di barba segue la periferia della mascella e del mento e due occhiaie violacee non poco rilevanti gli involgariscono tristemente lo sguardo.
"E lui come sta?" Chiede ancora, benché i convenevoli non siano proprio il suo forte. Harry prende un lungo respiro non distogliendo lo sguardo da quello di Alice. Si prende del tempo per rispondere ma le sta bene, si scopre tranquilla, come se aspettarlo fosse giusto, come se capisse ancor prima di comprendere.
"Lo tratterranno ancora per stanotte, per tenerlo sotto controllo in attesa del responso degli accertamenti, ma è fuori pericolo"
Stavolta è lui che si spiega con rapidità, si lecca le labbra e qualcosa nei suoi occhi cristallini a causa della luce del giorno, cambia... si ribalta.
"Alice riguardo l'altra sera ho esagerato, se ti ho spavent-
Alice scuote la testa, si mette prontamente sulla difensiva: "Non mi hai spaventata, ci vuol ben altro, tu hai oltrepassato il limite"
Ed è come se entrambi non stessero aspettando altro, come se tutto il preambolo verbale di poco prima fosse stata solo una pantomima ben recitata. La fronte gli si è aggrottata, la curva degli occhi incrinata quando confessa: "Mi dispiace"
"Non importa"
Alice si rifiuta di starlo a sentire. E si rifiuta di starsene ancora lì quando quello che si era sentita in dovere di fare l'aveva fatto.
"Sì che importa, ieri sei passata al bar. Cosa eri venuta a fare? E non venirmi a dire per bere una tazza di tè"
Harry ha la pretesa di farsi più vicino, di accorciare le distanze e imporsi con quel suo tono borioso mai seppellito, ma sempre vivo e solo accantonato temporaneamente.
"Di non provare più a ficcare il naso nella mia vita e che io non la penso affatto come te" Alice ribatte convinta, il rancore e la frustrazione serbata nei suoi riguardi è riaffiorata, come niente, con poco. Harry di certo non se la beve, incassa il colpo con compostezza, perché ormai crede di conoscerla, con quelle labbra che si piegano all'insù, in quel suo odioso sorrisetto storto da 'so tutto io'.
"Allora perché sei qui a parlarmi?"
"Perché te lo devo"
Alice persevera, lo zittisce con la verità, una verità piena di austerità verso se stessa e il suo essere troppo troppo fiera. Harry pare vacillare, il viso si fa più spigoloso di quanto già non sia, la mascella è più prominente, quando chiede con tono basso e a labbra tenute strette: "Soltanto questo?"
"Sì Harry, cos'altro dovrebbe esserci?"
"Tu menti" l'accusa facendosi ancora più vicino. Imponendosi, marcando la sua presenza. Alice non indietreggia, gli ride in faccia.
"Come scusa?"
"Hai sentito bene, tu menti. Menti perché so che è reciproco"
E tutto crolla, le sue credenze si rivelano essere un castello di sabbia frangibile, che alla prima onda è stato comodamente spazzato via. Harry insiste, non si cura nemmeno delle occhiate ripetute della cameriera, si cura solo di Alice e delle sue irremovibili bugie. O quasi. Vuole smascherarla, porre fine a questo pseudo dramma del tutto non richiesto.
"Tu vuoi conoscermi tanto quanto me"
La verità viene a galla, la trapassa: lo detesta per quanto abbia ragione e per quanto ci abbia provato a non avercelo nella testa nelle più improbabili delle circostanze.
"Tutto questo è assurdo"
Alice va verso l'uscita, i tacchi battono copiosi, li odia, odia gli sguardi degli estranei puntati su di lei e su di lui che la affianca: "Cos'è assurdo la verità?"
Alice ci prova a ignorarlo ma c'è un limite a tutto e ancora una volta Harry l'ha superato.
"Che tu abbia una ragazza e mi dica questo! Come fai a non rendertene conto? Sei esattamente come tutti gli altri, predichi bene ma razzoli male"
Alice sbotta, tutto salta, il suo tono di voce, le mani che spingono la porta per uscire e per urlargli contro la sua di verità. Harry sbarra gli occhi, poi si ferma e inspira brusco.
"Smettila di porti il problema al posto mio. In auto so che non facevi altro che pensarci"
"Quindi sapevi che fossi a disagio e hai fatto finta di niente?"
Harry inspira ed espira in maniera irregolare, vuole mostrare calma, ma dentro di lui c'è rabbia, livore, per qualcosa che non le ha chiesto e di cui non ha di certo bisogno.
"Sì, perché non mi riguardava e in tutta franchezza non mi riguarda nemmeno adesso. Io so chi sono"
Cala un improvviso silenzio, uno di quelli che avverti solo tu, uno che sa di sconfitta e che riecheggia solo nella tua testa. Il vuoto. Harry non le sta più vicino, la fissa con occhi severi e trasparenti. Si è allontano il giusto per lasciarla decidere, dentro o fuori, resti o vai via. Alice si guarda intorno, ci sono solo loro e qualche cliente più in là. Non si sente niente, solo il battito erratico del suo cuore.
"Questo non riguarda me invece, spero che tu zio si rimetta pres-
"Perché? Perché ti ostini ad andare via?"
Alice ha scelto ma Harry non glielo consente, prova ancora a insinuarsi riacquistando vicinanza, spiattellandole la realtà dei fatti per quella che è. Ma non sa, non si accorge di quanto Alice fremi dentro. Quest'ultima si passa una mano sulla fronte, con un calore sconosciuto che si espande per tutto il corpo, che è ruggente, divampante.
"Perché ci sono già passata!"
Ma non fa caso alla voce che sale, all'adrenalina che sgomita dentro di lei e la squarcia da parte a parte, perché c'è Harry che le sta già di fianco, che la guarda sconcertato tanto da scuoterla.
"Alice t-tu sanguini"
Alice ci mette un po' a capire. Poi d'un tratto si accorge della pelle bagnata poco sopra le labbra, l'indice che si tinge di rosso quando lo passa su.
"Non è niente" minimizza, coprendosi il naso e voltandosi.
"Prendi questi" Harry le offre dei fazzoletti. Sente il suo profumo ma non è forte come lo ricorda. È mischiato a qualcos'altro, qualcosa di non riconducibile.
"È solo un po' di sangue per l'amor del cielo" dice esasperata pur di esorcizzare l'imbarazzo che prova. E poi non lo vuole il suo aiuto. Nel frattempo si sono entrambi seduti ad uno dei tavoli. Dei clienti osservano la scena incuriositi, Alice li trucida con delle occhiatacce.
"Tu questo lo definisci poco? Dovresti inclinare un po' di più la testa, ecco così" Alice fa come dice anche se l'ultima cosa che vorrebbe fare è dargli soddisfazione. È una situazione così inconcepibile che fa fatica a credere che sia reale. Harry continua a osservala teso, il sangue continua a scorrere e i fazzoletti non bastano.
"Non si fermerà, quando capita così... mi serve del ghiaccio" Alice è troppo inorridita per spiegarsi al meglio ma Harry si è già defilato. Prova a regolarizzare il respiro concentrandosi su una rondine che vola in circolo. Vorrebbe abbassare le palpebre per un istante ma Harry è già al suo fianco.
"Grazie"
"Di niente"
"Dovrebbe accadere più spesso... questo dissanguamento intendo, ti rende più affabile"
Alice tiene premuta una busta di piselli surgelati, il naso inizia a perdere sensibilità. Ha gli avambracci poggiati al tavolo e il capo ancora inclinato verso l'alto. Harry è più o meno nella stessa posizione, solo più disteso in maniera disordinata.
"Te la riderai anche quando a breve sverrò?"
"C-cosa?" La sua faccia è impagabile. Alice scoppia a ridere.
"Divertente"
Passa qualche minuto ed entrambi restano in silenzio, dopo che Harry le ha chiesto già un paio di volte se fosse tutto a posto. Alice ha chiuso gli occhi e si è abbandonata ad una sorta di... assuefazione. D'un tratto sente Harry muoversi così apre un occhio e lo sbircia accendersi una sigaretta. La bocca a stento tocca il filtro, la cicca è in bilico quando brucia. Harry prende dei tiri generosi, applica una leggera pressione con l'indice e il pollice quando lo fa. Sembra pensieroso così come l'aveva trovato. I ricci sono più disordinati del solito sulla fronte come uno che ci ha passato le mani attraverso troppe volte. Come uno che ha la testa piena di pensieri e da digerire troppi bocconi amari. Il sole lo tocca solo in parte, la luce si fende in una sola iride. I suoi occhi non sono cangianti sono verdi e basta. E Alice trova che Harry sia bello. Anche se visto solo parzialmente. Quest'ultimo prende un'altra boccata, le guance vengono risucchiate dall'interno e adesso chiude gli occhi. Resta così per qualche secondo, col fumo intrappolato ad annerirgli i polmoni e la realtà tagliata fuori. Alice lo guarda e si domanda a cosa pensi, cosa senta, a cosa pensi e senta per davvero. Harry scrolla la brace e si pizzica gli occhi. Si tira su, conficca i gomiti nelle ginocchia e guarda dinnanzi a sé. Le sembra tutto così assurdo, il fatto di starsene in silenzio con lui, di uno di cui a stento conosce il nome; di come si ritrovi lì così, come se non potesse andare in altra maniera, come se fosse giusto e come se entrambi avessero bisogno esattamente di questo: di una pausa, di un attimo di pace. Di staccare la spina anche se per un solo misero istante. Un istante dalla durata arbitraria, quanto basta per stare meglio.
"Non riesco a tornare lì e starmene al suo capezzale impotente. È soffocante e me ne vergogno perché non ha nessun'altro a parte me"
Harry parla a voce bassa e quei decibel dalle frequenze deboli le solleticano la pelle a tal punto da farle aprire gli occhi in uno spasmo inconsulto. Alice resta immobile fatta eccezione per la mano intorpidita che si aggrappa alla busta. Quel senso di inadeguatezza lo sente prossimo, proprio.
"Perché me lo stai dicendo?"
Riesce a chiedergli, col cuore che l'è salito inavvertitamente su per la gola e che la soffoca con infamia.
"Perché avevo bisogno di dirlo a qualcuno"
"N-non so cosa dire"
"E allora non dire niente"
Harry che fino a quel momento le ha dato le spalle adesso si volta mentre spegne la cicca consumata sotto la suola.
"Dimmi solo di "
Alice lo guarda con poca intenzione, non riesce a farlo bene perché la testa le fa un male cane. Ma c'è qualcosa che esercita pressione all'altezza dello stomaco, un presentimento ignoto che le fa spavento. Che la risveglia, la accende in una maniera incontenibile.
"A cosa?" sente di dovergli chiedere riacquistando a poco a poco il controllo del suo corpo apparentemente atrofizzato. E nel mentre le tocca fare i conti con lo sguardo di Harry, fattosi di una profondità tale da riuscire a trascinarla con sé nel più astruso degli abissi se solo volessero.
"A questo, a stare a sentire, a parlare"
Le ci vuole poco per ricollegarsi a quel discorso interrotto e mai finito. All'inizio di tutto. Ad una proposta che suona innocua ma che a lei continua ad avere un sapore amorale. Tuttavia, nonostante provi ad opporsi con forza, ci riescono comunque: la prendono, si avviluppano ai suoi sfortunatamente più debilitati in maniera irrefutabile.
"Non posso"
Prova a liberarsene, a sciogliersi da quell'incantesimo ma i suoi sforzi risultano essere tutti inani. Sin dalla prima volta, sin da quando quegli occhi di un verde terso di speranza si sono mescolati ai suoi un po' meno speranzosi. Perché Harry pare capire che in quel 'non posso' sia incluso un 'ma vorrei' latente. Un non-detto sufficiente affinché due fossette gli spuntino sulle guance mettendo finalmente un punto. Alice pensa che gliele strapperebbe volentieri, sopratutto essendo cosciente del fatto di non essere in grado di vanificare nemmeno di poco la sua tesi, quando con un sorrisetto si appresta ad aggiungere: "Una volta può considerarsi coincidenza, ma due, Alice, è un segno"

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