4. minimarket

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Alice cammina, i muscoli bruciano ancora. Stenta a credere di aver corso così tanto. Sono appena passate le undici e la fronte gronda di sudore. Dopo un'intensa settimana di studio per gli esami e il lavoro presso il giornale, non aveva avuto modo di ritagliarsi un po' di tempo per sé. E adesso che cammina tutta sola si sente soddisfatta dopo tanto tempo. Correre le mancava. Un'auto sfreccia sulla strada, i fari la illuminano per un istante, poi di nuovo buio e lei si ricorda che è sola. Questo non la spaurisce. Nemmeno vivere da sola le ha mai poi incusso paura. Tante volte Glenn le aveva proposto di coabitare ma Alice aveva sempre rifiutato. La convivenza è un atto serio e spesso intacca le relazioni. Per quanto legate siano non metterebbe mai a rischio il loro rapporto. Perdere Glenn significherebbe togliersi parte del cuore. Lo stomaco urla di una fame vorace. Fa fresco e ci sono le stelle in cielo. La felpa oversize conciata almeno le risparmia un malanno.
Alice ha appena sentito tintinnare le porte automatiche del minimarket da cui è solita approvvigionarsi. Doyle, l'uomo calvo di mezza età, sgranocchia uno snack dietro la cassa e a stento si accorge di lei perché è intento a guardare un qualche video demenziale. Alice lo sa perché spesso lo sente ridere. Anche adesso, che è giunta al reparto di surgelati. Il terzo corridoio in cui si trova, diviso da diverse scaffalature, ha principalmente cibo spazzatura come patatine e dolciumi vari, ragion per cui se ne allontana. C'è silenzio alternato dal rumore di barrette che vengono scartate. Alice pensa che dovrebbe mettere qualche soldo da parte, perché fra l'affitto e le spese giornaliere, non è capace di comperare una libreria più grande. All'ultimo reparto in fondo è indecisa se prendere o meno della panna spray da accompagnare alle grosse fragole che tiene nel frigo oppure se affogarle nella cioccolata spalmabile.
"Dubbio amletico?"
Alice sobbalza, la voce non l'è nuova.
"Che ci fai qui?" Chiede e Harry le mostra la confezione di uova che regge tra le mani. Già che stupida. Harry si lecca le labbra e sembra riderne.
"Ironico che tra migliaia di persone e migliaia di posti io abbia beccato proprio te qui e tu me, non trovi?"
"Le coincidenze non esistono"
"Appunto"
Alice gli volta le spalle, Harry ha sempre la risposta pronta. Questo la irrita. Il leggings le preme le cosce e l'asfissia che avverte risalire fin su la gola la attribuisce a quello. Tutto si aspettava, magari di incontrare un qualche balordo per strada, o di inciampare in una qualche buca e sfracellarvicisi dentro, invece ha beccato Harry e quella sua solita aria da chissenefrega del mondo. Alice si china, allunga una mano ma ce n'è una che la batte sul tempo e che di certo non le appartiene perché vi è una croce intrisa di nero sul dorso. Harry stringe la panna tra le dita solo per poi porgergliela: "Questa, i prodotti a lunga conservazione sono pieni di additivi" si spiega.
Lo guarda incerta e non sa perché ma le viene da ricambiare, perché Harry le sorride. Lo fa e le loro dita si sfiorano appena. Harry poi allunga il collo, i ricci si muovono con lui.
"Cos altro hai poi lì, fa' un po' vedere: spinaci surgelati, salmone precotto, Dio che orrore!
"Potresti per una buona volta non impicciarti?"
Alice si ritrae e svolta a sinistra, cambiando settore.
"Cucinare qualcosa no?" La affianca scherzoso. Il cappotto nero che indossa sembra annoso, persino usurato in alcuni punti. In compenso gli fa due spalle belle grosse pronte a intimidire. Alice è alta il giusto eppure Harry potrebbe facilmente inghiottirla.
"Non ho mai tempo e smettila di ficcare il naso" Alice sbuffa, Harry sa essere davvero irritante. Ancora non ha capito perché o come, le venga facile cadere nelle sue provocazioni. Una come lei che le sputa per svago.
"La scusa del 'non ho mai tempo' dovrebbe valere anche per questa settimana?" Le chiede, gli occhi sono sempre verdi, di un verde tinto di allegria e buonumore. Da dove spuntino fuori proprio non lo sa. Il mondo, per quello che ne sa, non è sempre a colori: è cieco forse?
"Nessuna scusa, avevo da studiare e del lavoro da fare. Tu piuttosto, non manchi mai di sottolineare la mia assenza: dovrei forse esserne lusingata?" Alice adesso si è fermata, ha le braccia conserte e lo sguardo fisso in quello di Harry. Questa la vuole sapere. Harry tuttavia se ne esce con una scrollata di spalle. Non dice niente, come se spettasse a lei trarne le conclusioni. Quest'ultima sbuffa una risata e riprende a camminare, ci rinuncia: Harry ci sa fare ma questo lei già lo sa. Harry è nuovamente alla sua sinistra, si friziona i capelli e Alice avverte ancora quel suo profumo pungente. Ha un tono dolce ma deciso al tempo stesso, e lo trova mellifluo proprio come lui. Come il suo viso glabro e impeccabile, che di cicatrici non sembra portarne affatto. Invece c'è lei e gli eventi che le si sono inevitabilmente cuciti addosso come la crocchia disordinata che le contorna il volto, le occhiaie che le involgariscono lo sguardo e le labbra screpolate dal vento.
"Cosa studi?"
"Giornalismo"
"Ti si addice"
"Dovrebbe essere un complimento?"
"Se preferisci"
"E lavori?"
"Cos'è un interrogatorio?"
Alice si volta, lo guarda di sbieco, è sospettosa perché Harry fa troppe domande. Questo la confonde ed è un partita non alla pari, perché lei si sente spossata e lui invece sembra più brioso che mai. Girovagare per il negozio per mantenere una sorta di distanza e darle modo di pensare a poco pare funzionare. Vorrebbe sedersi un secondo, rilassarsi un istante.
"Quelli li lascio a te, Alice te l'ho detto sono un tipo curioso" Harry stavolta risponde, la scruta un po' più del solito, come se fosse capace di leggerle i pensieri e stesse cogliendo i suoi desideri. Alice non glielo vuole permettere, quindi svolta a destra e per poco non si scontra con un ragazzo con dei dreadlocks e l'espressione assente. Quest'ultimo la guarda per un attimo intontito, puzza di alcol e chissà cos'altro.
"Quindi ti dai da fare" Harry parla, ma qualcosa le dice che non stia guardando lei ma lo sbandato perché lo vede lanciare un'occhiata in direzione di Harry e poi sgusciare via. Ora c'è lei che ha il mento alto e che vuole mettere ben in chiaro le cose.
"Io non mento mai"
Harry ha il braccio teso allo scaffale, stringe una passata a caso tra le mani. Il maglione blu scuro spunta fuori col cappotto che si apre e quello che le sembra un taccuino rilegato in pelle che quasi penzola fuori dalla tasca interna.
"L'hai appena fatto" ribatte e forse la ragguaglia pure, con un sorrisetto di chi ci sguazza in ciò che dice e in ciò che crede di sapere.
"Potresti per favore rivolgere la tua attenzione ad altro?"
Alice è stufa, gli occhi li fa roteare e quasi si trascina camminando. Ha sonno, ha fame e si sente uno straccio.
"Figo"
Harry la prende alla lettera. Ha appena indicato le cuffie del Walkman che le circondano il collo. Alice ci passa le dita su come riflesso condizionato, le accarezza quasi, come se potesse rivolgere una premura a suo fratello che non vede da un po' e a cui a un tempo appartenevano.
"Vai per il vintage?"
"La mia collezione di vinili è una delle cose più care che ho" si porta una mano sul petto con fare teatrale, le luci a neon dell'interno si riflettono sugli anelli, ma Alice non ne resta abbagliata perché guarda fisso quella croce e il significato che si porta dietro che non conosce.
"Ora capisco perché ti vesti così male"
"Perché?" Harry si mette ritto, si guarda per intero, sembra offeso, vacillante.
"Mi sorprendi, una crepa dove insinuarsi allora c'è" Alice se la ride.
"Sono umano" le dice Harry, sembra serio, fin troppo quando ricerca ostinato i suoi occhi. Alice lo guarda, quel verde non vuole conoscerlo. Cos'è che poi vuole dirle esattamente? Che forse quello per cui si spaccia è solo un fantoccio a cui fa ricorso? Alice non lo sa, e forse nemmeno vuole coglierlo il senso racchiuso, perché credere che Harry sia solo un presuntuoso e impertinente rende tutto più facile.
"Un umano che si veste male, sì" dice soltanto, stemperando l'aria che si è fatta più densa, più densa di apparenti significati.
"Prendi altro?"
"No"
Risponde repentino Harry, ché forse sembra esserne rimasto deluso dal suo ignorarlo, perché adesso gli occhi li tiene bassi e la presa alla confezione di uova sembra essersi fatta molle. Alice non ci sta, non ci sta a farsi prendere dal senso di colpa per essere la solita stronza di turno. Non è più disposta a farsi carico del mondo, delle opinioni altrui e dei sentimenti che vengono lesi.
"Le uova bio basteranno" scherza, quanto meno ci prova, con un ghigno che stona sul viso niveo. Harry pare tornare a illuminarsi, Alice lo coglie quel guizzo negli occhi, quel luccichio che gli attraversa l'iride e persino la sclera. Questo sì che per un attimo la costerna, perché lo trova inevitabilmente accattivante. Harry si fa vicino, ha le labbra pronte, Alice lo riconosce, anche se non sa dirsi come. Le sopracciglia sono inarcate, come preludio di uno sfottò a cui farà presto ricorso.
"Ti ricordo che se non ti avessi fermata poco fa, avresti preso quel coso che tutto era fuorché panna" "Ho sempre questi però"
Harry ride, ride di gusto, perché forse in fondo ha già capito che Alice è un caso perso. Lei invece si morde un labbro divertita coi piedi che vanno in avanti ancora una volta ed Harry che è ancora una volta al suo fianco, mai troppo vicino né troppo distante. E qualcosa le dice che sia uno bravo anche con le proporzioni, nel cogliere i giusti spazi e i giusti silenzi. Ora che continuano a camminare per quei corridoi che hanno già percorso, coi capi chini e i pensieri a ingombrare la mente, si abituano alle loro presenze, familiarizzando inconsapevoli coi loro bisogni, trovandosi già all'unisono in una danza che ha per musica i loro respiri leggeri.
Alice è la prima a fermarsi perché le luci hanno iniziato ad andare a intermittenza. Probabilmente Doyle è in procinto di chiudere e non si è degnato di controllare se vi ci fosse ancora qualcuno. Trova Harry guardare su e capisce che anche lui ha ben inteso la situazione. Poi si guardano e si comprendono. Entrambi girano a destra per tornare indietro e pagare. Alice sente gli occhi di Harry addosso, come se la stessero scandagliando per una qualche inspiegabile ragione. Cosa vorrebbero mai trovarci nascosto sotto a quegli insulsi capi sportivi: paure? Segreti? Cuore?
"Tu che ci devi fare con le uova invece? Un piatto gourmet?" Interrompe il silenzio, sorridendo appena, con le mani che hanno preso una colorazione bluastra a contatto col gelo di ciò che reggono.
"Una torta" Harry sorride, che a sorridere per intero proprio non ci riesce, perché la bocca preferisce sempre salire su solo verso sinistra. E detesta anche il solo modo in cui accade perché lo rende più bello di quanto sia legittimo da lei poter dire.
"Sai come si dice? Che a chi piace fare dolci ha l'animo romantico"
"E chi vive di cibi precotti invece?" Ora è lui a pungolarla, le luci si sono spente, ciò che ne rimane è l'eco di quelle all'entrata e quel mezzo sorriso di Harry. Ci sono solo loro due a darsi vicendevolmente luce coi loro stessi occhi. E forse, accolta da quel buio inaspettato che pare proteggerla, permette alla sua voce di scendere di qualche tono e di confessare: "Avariato"
Perché quella è l'unica verità che conosce, quella che dissimula e che si porta dentro. E c'è la fronte di Harry che si increspa, l'espressione ilare che muta: forse è sorpreso, forse non se l'aspettava, o forse no. Ed è ironico, davvero, che poco prima abbia ignorato bellamente lui per aver detto qualcosa di più profondo di quanto potesse essere concesso. Harry sta per parlare, si morde una guancia, gliel'ha visto già fare altre volte ma Alice è già pronta a camminare di nuovo e forse non le interessa quello che ha da dirle, perché a tutti capita di perdere il controllo. A tutti capita di dire più del dovuto. Ma né Harry fa in tempo a pronunciarsi né lei fa in tempo a scappare via, perché c'è qualcosa di nefasto, un rumore sordo ad attraversarla da parte a parte, un rumore che ha sentito spesso nei film polizieschi, quello di una pistola che viene caricata e che molto probabilmente viene puntata al petto di Doyle. Alice per poco non fa cascare tutto in terra, il panico le buca le ossa e la paura le attraversa l'anima. Ma non si concede di congelarsi sul posto, fa uno scatto in avanti perché un "Apri quella fottuta cassa e metti tutti i soldi qui dentro" le si riverbera nelle costole e l'istinto la investe. Ma non accade, perché Harry l'afferra per l'addome:
"Che diavolo ti sei messa in testa? Che diavolo pensi di fare?" La stringe, le soffia sul collo bisbigliando e Alice la coglie la fifa e l'allarmismo che gli colora la voce.
"Lasciami" si divincola, trovando l'attrito dei muscoli di Harry che la trascina con forza verso la porta di quello che crede sia il magazzino. Alice prova a sottrarsi alla sua presa: "sei un vigliacco" sibila, ma Harry in risposta la spinge dentro e si chiude la porta alle spalle perché è un uomo e ha la forza ingiusta che li caratterizza. Ci si piazza avanti col respiro gravoso. C'è poca luce data da una lampadina morente, ci sono stracci, secchi e detersivi. Lo spazio dello sgabuzzino è angusto e stretto e c'è puzza di solventi. Alice getta tutto in terra e si fionda su di lui, strattonando la maniglia. Il peso del corpo di Harry è maggiore e la sua forza vana.
"Apri questa cazzo di porta! Fammi passare!"
Harry la guarda dall'alto, ha lo sguardo spento, le pupille dilatate di paura.
"Abbassa la voce e cazzo Alice, vuoi ragionare Cristo Santo?! Cosa pensi di fare, piombare lì e cosa mmh? Beccarti una pallottola al posto suo?" La butta fuori la paura, la voce gli si alza ed è graffiata, incontrollata, impietosa sul suo volto. Le uova in concomitanza si sfracellano al pavimento e gli macchiano le scarpe.
"E tu cosa pensi di fare? Startene rintanato qui sapendo che c'è qualcuno a pochi passi da te che sta rischiando la vita?"
Alice strizza gli occhi, non vuole piangere, non vuole farsi vedere, ma non riesce a non far trapelare il suo sconforto, con gli occhi che vorrebbero solo straripare in grandi fiotti acquosi.
"No cazzo! Sto cercando di fare la cosa giusta e di non mettere in pericolo né te e né me!"
Harry le soffia sul viso, torreggia su di lei è irremovibile, risoluto con le vene che gli si gonfiano sul collo.
"Harry levati"
Alice si scosta, quelle parole la colpiscono, più di una possibile pallottola e la sua voce non regge, esce fuori come una supplica, una supplica dettata dal panico e dall'insensato coraggio. Harry ha il fiato corto, il petto gli si alza e abbassa convulso; è ovvio che anche lui abbia paura, ma il solo fatto di vederlo così la agita ancor di più. Non sa perché si sia ritrovata in una tale situazione con un ragazzo che conosce appena, un ragazzo che l'ha presa, stretta a sé, per paura che commettesse qualcosa per cui si sarebbe pentita.
"No, ora chiamo la polizia ma col cazzo che ti lascio uscire"
L'avverte la minaccia nella voce, in quelle parole pronunciate per nulla al mondo con arrendevolezza. Alice si passa le mani in volto, il cuore potrebbe saltare fuori dal petto da un momento all'altro.
"Non sai se faranno in tempo, potrebbero metterci una vita"
"Allora collabora e chiama"
Alice sospira, scuote la testa e si sposta quel poco che l'è concesso in quello spazio circoscritto. Non si è nemmeno accorta della vicinanza assunta, di come il respiro di Harry le stesse carezzando le guance prepotente.
"Non ho il cellulare con me, io.. io no- non lo porto con me quando esco per correre, per evitare che possano rubarmelo, quello e chissà cos'altro"
Alice ha la testa bassa, sa che Harry la sta guardando anche se non sa dirsi come ma se ne sta zitto. Alice non lo regge quel silenzio così fa per parlare ma vanamente.
"Quindi mi stai dicendo che non ti sei portata dietro un cellulare per paura di essere derubata ma che sei uscita di casa in tarda sera, vestita così per giunta, totalmente incurante invece di un qualche stupratore?"
Harry ride, ride come se non potesse fare altrimenti. È incredulo e il suo ragionamento non fa una piega.
"Non mi sembra proprio il momento di metterti a giudicarmi"
Alice stringe i pugni, vorrebbe inveirgli contro, perché le gambe improvvisamente vogliono ubbidire alla gravità e schiantarsi in terra.
"Be' sappi che è da sciocchi per non dire da irresponsabili"
"Sei u-
Harry la ammonisce, alza una mano e con l'altra chiama il 911.
"Salve, c'è una rapina in corso al minimarket proprio di fronte al parco principale. Sì è armato. No, siamo io e una ragazza... No, ci siamo nascosti dentro uno sgabuzzino. Non ho idea di quanti cazzo ne siano... le pare una domanda da fare? Non so.. circa cinque minuti credo, sbrigatevi cazzo!"
Harry calcia con forza un secchio alla sua destra. Alice sa che ha perso la pazienza. Ora si passa le mani giù per il volto, sembra stanco, sfinito. Per un attimo si pente di aver pensato che fosse immotivatamente fin troppo allegro poco prima. Questo Harry non le piace, vuole quello a cui può dire di essersi abituata, quello con l'aria fintamente innocente ma sorridente.
I minuti scorrono, Alice non fa altro che guardarlo invece Harry non lo fa. Lo sa che è arrabbiata con lei e lo sa bene che quello che aveva intenzione di fare è da irresponsabili. Ma non è mai stata una capace di starsene con le mani in mano e tacere di fronte alle ingiustizie e ai soprusi. Le viene da piangere, da prendere a cazzotti quelle pareti ammuffite per come si sente incatenata e impotente. Harry sospira, si accascia al suolo e solo allora ritorna a guardarla.
"Faranno in fretta, te lo prometto" parla piano, come se fosse esanime, mentre Alice si ritrova immobile, impietrita. Harry continua a fissarla, a volerla decifrare e lei non ce la fa più. Si volta, gli dà per l'ennesima volta le spalle, perché adesso non è più capace di trattenersi: piange e piange ancora. Il petto vibra, nonostante non ne abbia fatta una giusta e gli abbia persino dato del vile, Harry si è messo a rassicurarla. Alice piange e pensa al viso spaurito di Doyle. Alice piange e pensa alle braccia di Harry che l'hanno stretta. Alice piange e si sente sbagliata. Alice piange e poi sente Harry alzarsi, farsi vicino, avverte la sua presenza dietro la schiena.
"No" dice, lo mette in guardia - che non si azzardasse a circondarla, perché non ne ha bisogno e non merita compassione o conforto. Harry fa qualche passo indietro, lo sente sospirare e anche lei sospira. Sta asciugandosi le lacrime quando si ode un trambusto. Rumori di cocci al terreno. Urla indistinte e ora in un eco sporco una sirena accesa. Alice si volta guarda Harry con l'espressione chiaramente tesa concentrato a sentire cosa stia accadendo lì fuori. Alice ha le braccia conserte, le dita conficcate nei palmi ben nascosti. È un orgogliosa del cazzo e ha paura, certo che ce l'ha. Poi niente. Un silenzio tombale. Ci sono di nuovo i loro respiri a riecheggiare lì dentro. Harry ritorna a guardarla, le rivolge un sorriso ma non ha la solita forma.
"Ma tu non eri uno sbirro?"
Alice è basita. Forse sta impazzendo proprio come lei. O forse quel silenzio tetro stava ammazzando anche lui. Alice fa per dirgli che è uno stupido, ma la maniglia si piega e la porta si apre. Il cuore le si ferma. Oltre la soglia, immerso nel buio, Alice distingue un uomo in divisa che dice: "L'abbiamo preso".
Il cuore di Alice riprende a battere e guarda Harry che invece si pizzica gli occhi con violenza perché spingono feroci per liberarsi della tensione. Alice si avvicina titubante, il poliziotto chiede se è tutto a posto, Alice risponde di "sì" per entrambi e gli intima di andare via col capo. Harry ha le spalle poggiate al muro, Alice non aspetta più, allunga una mano verso quella di Harry e la congiunge alla sua.
"Sei uno di parola" dice flebile. Harry emette un suono indistinguibile perché la risposta non è verbale: la mano viene stretta alla sua, ed è salda, li lega, si legano.
Alice vorrebbe dirgli che è stato più bravo di lei, ora che ha gli occhi scoperti e le sorride, perché nemmeno una lacrima ha osato rigargli le guance.

di fuori la finestra il mondo H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora