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Ciao a tutti! Innanzitutto grazie a chi continua a seguire la storia nonostante la sua incostanza. Generalmente non lascio mai note o altro, ma stavolta mi urgeva farlo perché almeno per questo capitolo, ho dovuto lavorarci tanto. È lungo quasi quanto la mia assenza, quindi direi che a questo punto siamo pari :)
battute a parte, vi rinnovo l'invito per un confronto e per quello che può essere uno scambio di opinioni nella più totale tranquillità. Per il resto che dire? Buona lettura!


Alice si passa una mano sulla fronte mentre Glenn, fa avanti e indietro nel salotto di casa di Alice. La sua amica quando si esprime, tende sempre a gesticolare molto, tipo creare dei cerchi e semicerchi a seconda della grandezza della questione in corso. Da circa una ventina di minuti ha attaccato a parlare della vita da ufficio, con considerevole trasporto, tanto che Alice in maniera inconsulta, ad ogni picco di voce, si ritrova ad abbassare le palpebre date le alte frequenze. Quest'ultima cambia posizione sul divano approfittando del fatto che Glenn, nel suo muoversi continuo, ora sia momentaneamente di spalle così da permetterle di afferrare il laptop lasciato un po' più in là e di accenderlo. Glenn, incurante, prosegue il discorso: "E poi gli ho detto: 'a mio avviso c'è da rivedere tutta la parte sintattica, ci sono troppe subordinate che ti fanno perdere il filo del discorso'. E lui mi fa: 'ma cosa ne vuole sapere lei, è solo una stagista'. Al che io, con tutta la calma possibile gli ho detto: 'se mi hanno affidato l'editing un motivo ci sarà' e poi quel pallone gonfiato d'improvviso si alza, con quella spocchia da radical chic da quattro soldi e mi fa: 'voglio parlare con chi comanda qui' e io: po- ma mi stai ascoltando?"
"Mmh" Annuisce Alice, con gli occhi fissi sullo schermo non sapendo che Glenn la stia guardando con i pugni ben piazzati sulle anche. Quest'ultima prende qualche passo verso di lei e Alice in ammonimento fa: "Sto solo controllando la posta"
"E di chi sto parlando?"
"Di quello tizio col parrucchino, Land qualcosa" risponde, trascinandosi il pc in grembo. Glenn, la scruta con un'espressione austera, caratterizzata da una bocca storta che esprime in maniera più che chiara il suo disappunto. La felpa grigia che indossa presenta delle pieghe sulle maniche come una che le ha tritate su diverse volte. "Longfield, si chiama Longfield, e quello col parrucchino era Johnson e ho smesso di parlare di lui tipo un quarto d'ora fa. Tu stai lavorando!" Glenn scatta in avanti, il giusto, per beccare sullo schermo una pagina Word aperta con l'articolo di Alice, a suo malgrado, ancora incompleto. Quest'ultima sospira colpevole con Glenn che la fissa contrariata. Le folte sopracciglia scure sono due linee irregolari sulla sua fronte bassa.
"Scusami, ma quell'odiosa di Sally me lo fa a posta: mi ha assegnato un pezzo sulle finanze e tra le mille ricerche a vuoto non ho alcuna idea di come ultimarlo. Voglio dire, cosa vuole che ne sappia io delle finanze?"
Glenn si lascia andare a lungo sospiro mentre si disfa della crocchia. I capelli neri le scivolano giù le spalle in un ammasso disordinato. Si passa le mani giù per il volto cancellando l'espressione arrabbiata sostituendola con una d'un tratto più afflitta.
"Nah, scusami tu. Sto iniziando ad essere come quelle vecchie bisbetiche che non fanno altro che parlare di cose a cui non frega un cazzo a nessuno"
Alice ne risente per non averle prestato sufficiente attenzione. Si scrolla di dosso il pc: "Non è vero, mi sono solo distratta un attimo"
Glenn sembra non crederle abbassando lo sguardo e mordendosi le guance dall'interno. Dopodiché prende qualche passo per lasciarsi cadere sul divano, a peso morto, come una che adesso fa fatica a reggersi in piedi.
"È vero invece, il lavoro mi sta assorbendo così tanto che quasi dimentico quale sia la vita vera"
"Il lavoro è vita vera" le fa notare, ricercando il suo sguardo tenuto però fisso sul pavimento. Poi una sorta di scarica elettrica sembra rianimarla: "Non è questo il punto! Andiamo, guardaci: io ho spostato l'appuntamento dal parrucchiere perché dovevo pulire l'appartamento e tu con dei calzini orrendi hai messo a scaldare il forno per i bastoncini di pesce"
Alice corre a guardare l'indumento incriminato non trovandolo poi così orrendo. Fanno un po' dodicenne però il rosa shocking abbinato ai pois blu, non è male. O lo è?
"Tu ami i bastoncini di pesce e poi questi mi tengono al caldo"
Glenn sbuffa sonoramente come se non riuscisse a credere a ciò che ha appena sentito.
"Tu non ti rendi conto. È venerdì sera e noi ce ne stiamo qui a casa come due zitelle quando il culmine della serata comprende guardare per la trentesima volta Closer, un film che tra l'altro, consociamo io, tu e forse altre dieci persone al mondo e poi senti qui: ho le mani che puzzano di candeggina!"
Glenn le piazza sotto il naso le mani ma Alice le scaccia via perché gli occhi sono come impazziti e la voce è ritornata a salire di un tono troppo poco sopportabile per le sue orecchie.
"Guarda che Closer è un gran film e la performance di Clive Owen è da fuoriclasse" si difende e difende la loro serata tranquilla. Solo qualche settimana fa erano andate a fare baldoria e Glenn come suo solito - e per quanto le riguarda - sta reagendo in modo eccessivo, ragion per cui Alice è più che in diritto di non darle corda onde evitare di sfociare in quella che le dà tanto l'idea di essere una tragedia imminente.
"Non mi stai ascoltando, non riesci a cogliere la gravità della cosa e Dio santo: io vivo con un cazzo di gatto obeso!"
Glenn si alza d'improvviso, coprendosi la bocca col palmo, come se quella appena detta ad alta voce fosse la rivelazione del secolo.
"Potresti sempre sopprimerlo"
Ha perso il conto di quante volte gliel'abbia proposto. Glenn pensa sempre che ci scherzi su quando in realtà non sa che Alice odi quel gatto nel profondo: perde peli in continuazione, sta sempre a leccarsi e puntualmente se lo ritrova in bagno, spaparanzato nel bidet, come se quello fosse il suo trono.
"Mi manca l'aria"
Glenn ha iniziato a girare in circolo e a sventolarsi le mani in viso portando, invece, Alice a roteare gli occhi al cielo. La pelle del volto dalla colorazione ambrata è passata ad essere un rosso fiammante, per ragioni di cui Alice non si capacita.
"Glenn, ti calmi?"
Le lancia un'occhiataccia che spera sortisca l'effetto sperato. Glenn sembra darle ascolto mentre finalmente smette di sprecare energie a vuoto fermandosi: "Povero Salem, non gli ho nemmeno dato da mangiare"
Alice la guarda senza sapere bene cosa dire. Se fosse per lei quel gatto potrebbe anche tranquillamente sparire. Quello che all'apparenza doveva essere il racconto della giornata si era trasformato in una vera e propria crisi esistenziale. Tuttavia Alice, anche se riluttante, comprende il perché di tutto questo affanno. A parte studiare e lavorare non è che faccia chissà cosa di interessante. Per Glenn il discorso non è poi tanto diverso, con la sola differenza che almeno, lei, due volte a settimana va in palestra. L'ambizione che tanto le caratterizza offusca tutto il resto e spesso il raggiungimento dei propri obbiettivi non ti fa vedere altro, ti sobbarca talmente tanto, da farti dimenticare quanto variegato in forma e colore sia il percorso che stai percorrendo. E di certo non si vive solo di oneri così come non si indossano calzini lanuginosi di venerdì sera.
"Sopravvivrà, ha riserve di grasso infinite. Vieni qui, ritorna a sederti" Alice picchietta il palmo sul divano invitandola a sederle accanto. Glenn con un leggero tentennamento, fa come dice. Alice si risistema per bene piegando le ginocchia con Glenn che sembra essere tutta orecchi ma in realtà tiene le braccia conserte, perché è tosta quanto un'incudine.
"Innanzitutto: i tuoi racconti mi divertono sempre e sono sempre interessanti" ricerca il suo volto, ritrovandolo stupito con un sopracciglio che si arcua verso l'alto: "Davvero?"
Alice annuisce e le sorride: "Davvero. Secondo: a ventiquattro anni hai un ottenuto uno stage per cui tutti ammazzerebbero e ti fanno fare più di quanto richiesto, perché sei una che lavora sodo e crede veramente in quello che fa. Quel Land-
"Longfield" Glenn scioglie le braccia e inizia a rilassarsi poggiandosi allo schienale, col verde degli occhi che inizia a ricolorarsi a poco a poco, come se stesse riprendendo vita.
"Longfield sì, quel Longfield ti ha sminuita semplicemente perché si è sentito toccato nell'orgoglio"
"Ho fatto solo il mio lavoro e poi il mio era solo un suggerimento" Glenn ritorna a indispettirsi coi capelli che sembrano essere fili ingarbugliati e sottilissimi.
"Appunto. E poi, per queste" le prende le mani - "e i capelli, mentre io finisco l'articolo tu ti vai a fare una doccia. Gli asciugamani sono sempre sotto al lavabo e se vuoi usare la maschera per i capelli, ricordati di risciacquarli per bene perché è molto oleosa" conclude, proponendole una soluzione, con una premura che per i suoi gusti trova ai limiti dello stucchevole. Le mani, di fatti, non ci impiegano molto a ritornare al loro posto.
"Non l'hai più buttata poi?" perché Glenn conosce bene Alice e sa che far passare inosservato quel gesto, le sia dovuto, poiché le costa caro, persino con lei.
"No, perché ha un buon profumo"
"Sì è vero"
A quel punto si guardano e si sorridono complici, di una complicità che emerge sempre dirompente e talvolta dal nulla perché ha radici in un bene profondo e condiviso.
"Ora vado a spegnere il forno, finisco qui e vado a vestirmi"
"Dove vuoi andare? Non ho portato un cambio con me"
"Quello poi lo decidiamo e poi non è che tu non conosca il mio guardaroba a memoria"
La luce che filtra dalla finestra si riflette sulla sua pelle immacolata, quasi perfetta e invidiabile. Un po' in contrasto con le sue intenzioni quasi mai sprovvedute.
"Quindi stai acconsentendo anche alla gonna nera con lo spacco?"
Le chiede, con una vivacità che non si cura di nascondere e che le fa brillare gli occhi.
"Anche quella, sì"
Sa per certo che Glenn dentro di sé sia più che soddisfatta ma non lo dà a vedere abbozzando un sorriso con una compostezza che non le appartiene.
Alice le intima con le mani di alzarsi e di andare a prepararsi. Glenn ciononostante resta ferma e la scruta per bene: "Sicura che ti va?"
Alice sa perché se ne accerti. Di recente le risulta difficile uscire e godersi la vita, come se ci fosse un qualche attrito invisibile a impedirglielo. Ancora deve capire se quello sia un neo di cui potrebbe sbarazzarsi o se sia una sorta di limite autoimposto. Quando si tratta di doversi dosare il grigio non riesce mai a trovarlo benché sia risaputo che stia tra il bianco e il nero. Però quando c'è Glenn al suo fianco sa che quel grigio potrebbe esserlo lei se glielo chiedesse perché di lei ci si può fidare.
"La combo Owen-Law può aspettare ma io per questi calzini necessitavo davvero di uno scossone" glieli indica con una risata che a stento riesce a controllare. Glenn non è da meno: "Te l'ho detto" le fa, poggiando la testa all'apice dello schienale e fissando quel soffitto vissuto da chissà quanti altri prima della sua migliore amica.
"Grazie" poi volta il capo, con un'impaccio che non esiste quando si tratta di lei, perché d'ingombrante ha solo il cuore e non di certo l'orgoglio come Alice. Quest'ultima, si pizzica il naso per nascondere la smorfia per quel briciolo di gratitudine a cui forse mai si abituerà, alzando piuttosto un braccio verso la parete chiara di fronte, dove cui sono appesi diversi quadri, alcuni forse più impolverati di altri: "Quel quadro non è brutto?"
Glenn butta l'occhio: "Orrendo" si accoda, cosciente di come agisca, anche se questo significa distogliere l'attenzione da sé e rivolgerla altrove, sebbene possa risultare incomprensibile a molti.
"Dopo lo butto"
Perché è solo per pochi.
"Fai bene"
E lei rientra tra loro.
Dopo una sosta veloce al McDrive sono riuscite a trovare posto di fronte un bar che ha aperto da poco. L'insegna è ben visibile nell'oscurità, le luci a neon multicolore ne evidenziano la scritta beer and lust. Alice aveva fatto una battuta prima di varcare la soglia ma adesso già non la ricorda più con una birra bionda tra le mani. Si guarda intorno cambiando posizione sullo sgabello soffermandosi sulle luci calde date dalle sole lampadine che penzolano dal soffitto. Una casca proprio al centro del tavolo dove cui lei e Glenn hanno preso posto. Un cameriere, si destreggia abilmente tra la calca di persone e i tavolini in legno chiaro. Il volume della musica dagli altoparlanti agli angoli crea un sottofondo piacevole, specie ora che suonano canzoni stile anni ottanta. Glenn si sposta i capelli dal viso portandoli dietro le spalle - sono fluenti e lucidi. Sembra rigenerata in tutto, come se il cambio di programmi fosse stato esattamente ciò di cui aveva bisogno. Se Glenn è felice allora lo è anche lei.
"Quello è carino" le indica un tavolo con tre ragazzi premendo le palpebre tra loro.
"Chi?"
"Quello con la camicia azzurra, ha dei bei capelli" specifica, con un'espressione che non nasconde di certo l'apprezzamento. Alice lo intercetta cogliendone il riferimento. Visto di profilo, non è niente male, sia nel look che nel complesso, tuttavia con occhio più attento è costretta a ricredersi: "E ha anche un bel marsupio, tu sei fuori"
"Non l'avevo notato!"
"Peggio di una talpa"
"Come va al giornale?
"Va come al solito"
"Quel ragazzo lavora ancora lì? Connor giusto?"
"Mmh"
"Non è male"
"E?"
"Non è male" le sopracciglia vanno su di riflesso a un'allusione bella e buona.
"Ha ventun anni Glenn" Alice prova ad arrestare qualsivoglia suo tentativo ma vanamente: "E quindi?"
"È un ragazzino"
Sorbirsi Glenn che prova a farle da matchmaker non è esattamente l'idea di serata che si aspettava.
"Solo perché ha ventun anni?"
"Da quando in qua l'età non conta più?"
"Da quando siamo nel ventunesimo secolo mi pare" la rimprovera, come se non si stesse bevendo nemmeno per un secondo le sue futili motivazioni. Alice distoglie lo sguardo preferisce puntarlo sulle pareti color caffè abbellite da quadri. Il suo preferito ritrae un'onda che si infrange su una scogliera. La tonalità di blu è quasi abbacinante, così conforme alla realtà.
"Dovrebbe trovarsi una della sua età piuttosto che sprecare tempo con me" confessa ritornando a prestarle attenzione con Glenn che pare non essersi distratta nemmeno per un secondo.
"Eppure gli piaci tu" le fa notare come se fosse un dato certo. L'aveva incontrato un'unica volta fuori al giornale e le era bastato per affermare che per il solo modo in cui guardasse Alice era come se volesse farci le peggio porcherie.
"Gli piace solo quello che vede"
Alice fa presto a ricordarglielo tuttavia Glenn è chiaramente in disaccordo col mento tenuto leggermente in alto. Il top nero le scopre le braccia con quel piccolo tatuaggio dal tratteggio leggero omologo a quello di Alice che invece tiene in un posto più nascosto. Come se lo custodisse con più riserbo.
"Non lo puoi sapere se non gli dai modo di dimostrarti altro. Te ne stai in panchina da mesi ormai e detto francamente questo significa non andare avanti"
Finalmente parla chiaro, arriva al punto con una schiettezza che Alice ha sempre apprezzato in lei. Negli anni le ha sempre detto ciò che pensasse, dolente o meno che fosse. Anche quando Alice, ottenebrata da ciò che stesse vivendo, era incurante del mondo circostante.
"Perché ho la sensazione che da come ne parli la vittima sia io? Ero cosciente per tutto il tempo, nessuno mi ha mai obbligato a fare niente"
Il corpo di Alice ne risente, duole in più punti, perché quei ricordi sono come sassi, colpiscono ancora e ancora, ogniqualvolta che vengono rivangati. Però c'è il volto di Glenn che si tende in pieghe più dolci e comprensive come chi conosce chi ha di fronte come le proprie tasche.
"Perché ti conosco e so che tendi a colpevolizzare solo te stessa"
Alice ritorna a spostare lo sguardo e a rifiutarsi di stare a sentire. In compenso un leggero sbuffo esce dalle labbra della sua amica ma non è di resa perché dovrebbe sapere che Glenn non è una che batte ritirata facilmente.
"Alice, forse non so un cazzo di come si sta al mondo, ma se una cosa la so è che c'è chi si perde per molto meno"
Alice chiude gli occhi per un secondo domandandosi se sia possibile riuscire a mettere da parte e vivere; dimenticare il marcio, ciò per cui non si può andare fieri. Vede di sottecchi Glenn strusciare la bottiglia verso di lei, la invita a concedersi una scappatoia, anche se un sorso o due non possono poi mai bastare: "E poi un po' di sano sesso non ha mai ucciso nessuno"
Le strizza un occhio coi denti di Alice che si scoprono per un sorriso. Accoglie l'invito, la birra è fresca rispetto al suo corpo andato in combustione con così poco: "Vale anche farlo col primo che capita?"
"Connor non è il primo che capita"
"Però dovrei comunque andarci a letto"
Glenn sospira, questa volta l'aria che butta fuori è irruente e sa di impazienza: "Sto solo dicendo che dovresti darti una possib-
"Glenn Cooks?"
La bottiglia resta a mezz'aria tra le dita di Alice. Una ragazza biondo platino e col sorriso lucente si rivolge all'amica bruna.
"S-serena Goodman?! Quanto tempo sarà passato?"
La braccia di Glenn la accolgono caldamente e quella che ha appena appurato di chiamarsi Serena, non è da meno. Alice non si è mai considerata gelosa nei riguardi di Glenn, né delle sue eventuali amicizie, sa bene che a differenza sua sia una ragazza ben più socievole e alla mano, ma il fatto che questa Serena non l'abbia nemmeno degnata di uno sguardo e abbia preso posto allo sgabello lasciato vuoto, come se le fosse dovuto, la porta a stringere con non poca grazia il collo della bottiglia.
"Più o meno due anni"
"Sembra una vita. Che ci fai da queste parti?"
"Sono in visita dai miei. Sembri un'altra: che fine ha fatto il tuo caschetto?"
Alice ha già sentenziato. La bionda finta, ha quel modo di fare che non le va affatto a genio: ogni parola pronunciata con un'enfasi che le risulta fasulla e detestabile, accompagnate poi tutte, da un sorriso perenne.
"Mi aveva stufata" risponde un po' a caso a quel commento generico, è più interessata a scrutare Alice con un pizzico d'apprensione nascosta ben bene tra le pieghe della fronte.
"Alice Spencer,  Serena Goodman: condividevo la camera con lei a Barcellona"
Solo allora la pimpante Serena decide di concederle un briciolo della sua attenzione, rivolgendole un sorriso coi denti grossi e perfettamente allineati, come una che li cura come se fosse il suo pregio migliore.
"Quella Alice? Devo dirtelo, la tua reputazione ti precede" le iridi blu scuro si accendono, la scrutano da capo a piedi fulminee; Alice non sa cosa Glenn le abbia potuto raccontare sul suo conto, ma poco le tange, non batte ciglio, apatica.
"Piacere Serena, questa qui è sempre pazza come ricordo?"
Le porge la mano ma Alice finge di non vederla scostandosi i capelli dal volto. Le dà il tempo di ritirarla, di incassare il colpo e di muovere il culo ossuto da sopra lo sgabello alla ricerca di una stabilità messa in discussione.
"Peggio" Le esce fuori, ma Serena non sembra essere tanto sveglia o quanto meno è ciò che traspare dall'apparente espressione fattasi ilare subitaneamente.
"Una notte mi convinse a non pagare un tassista. La nostra palazzina era ubicata in un vicolo dove i veicoli non riuscivano a passare. Il tassista ci fermò al marciapiede adiacente, non appena frenò Glenn senza esitazione spalancò lo sportello e iniziò a correre. Io la seguii e nel mentre persi una scarpa. Ovviamente toccò a me pagare pegno"
"Non mi stupisce"
Dovrebbe mordersi la lingua, tacere e seguire passivamente quel racconto mediocre rispetto a quelli che invece lei e Glenn collezionano dopo anni e anni trascorsi spalla e spalla, ma non riesce, prosegue con quella pantomima, dandole fintamente corda beandosi almeno di quello, con la speranza che questa quanto prima si spezzi e che lei vada via così com'è arrivata. Glenn, tuttavia, non sembra divertita poiché è impegnata a decifrare le intenzioni di Alice fissandola fin troppo per i gusti di quest'ultima, tanto da farla impermalire e inumidire le labbra per dire qualcosa che, n'è sicura, risulterebbe inappropriato.
"Voleva imbrogliarci per bene" La anticipa pizzicandole la gamba da sotto al tavolo dove la carne è più tenera e dove fa più male. Alice emette un suono più di sorpresa che di dolore, facendo voltare Serena nella sua direzione: "Un conto salato per una corsa breve, gli abbiamo solo dato il ben servito" Ma Glenn corre ai ripari, parla con lei sebbene di sottecchi continui a controllarla con Alice che mima un "vaffanculo" così chiaro da non poter esserci alcun dubbio.
"Mai sentite così tante parolacce messe assieme"
Serena continua a ridere sguazzando nella sua superficialità mentre Glenn rimprovera Alice lanciandole occhiatacce intimandole di smetterla di farle il verso sorridendo come un ebete come se poi Alice facesse mai ciò che le dicano, come se anche solo per sport si fosse mai divertita a ubbidire.
"E tu sei mai stata a Barcellona?"
Alice scuote solo la testa perché lei alla caotica Spagna preferisce la sobrietà della Francia e se viene censurata tanto vale non proferire parola affatto specie adesso che Glenn le ha appena dato della testa di cazzo.
"Dovresti visitarla, Glenn potresti portarcela tu, farle da Cicerone dopo la laurea magari"
Però alle volte non sempre ciò che crediamo di sapere ci prepara all'improbabilità degli eventi perché in un attimo si cambia scenario, basta quello per ribaltare gli umori, imbastire questioni spinose, anche con un ignaro suggerimento. Alice e Glenn si guardano, d'improvviso l'aria s'è fatta stantia, pesa di rifiuto. La sua bocca è una piega amara che Alice vorrebbe cancellare, non esserne di certo la causa. Ciononostante non le viene niente in mente benché Serena la fissi come se fosse un animale sconosciuto, più estranea di quanto già non sia, con gli occhi tersi di ostilità che non smettono di guardare altri più rammaricati. Alice vorrebbe parlare ma non sa cosa dire: magari potrebbe buttare lì una battuta o forse mandare Serena semplicemente al diavolo come ha desiderato fare sin dall'inizio, ma non ci riesce. Avverte il peso di quel discorso trito e ritrito sulle spalle, come un seme della discordia a frapporsi fra loro e lo odia. Gli arrivederci non sono mai arrivederci se perdurano col tempo, Alice lo sa, diventano addii coi cuori che si rompono, si dividono in due, senza potervi porre rimedio. Lo sa bene e sa che anche Glenn la pensi allo stesso modo - ché poi niente è per sempre se ciò che resta sono solo telefonate quando ne si ha il tempo. Si contano solo secondi eppure le sanno già di eternità e Glenn che tra le sue virtù non possiede di certo la pazienza, si prende l'aggravio di colmare quel buco di silenzio, con un sorriso spicciolo che le si pianta dritto nel petto: "Già magari"
Se Serena conoscesse per davvero Glenn saprebbe che quella appena detta sia una bugia. Ma è ovvio che non la conosca e che non possa saperlo ora che ha chiesto ad Alice cosa studi con la più totale tranquillità. Alice non ci fa nemmeno caso quando Glenn si ostina a non guardarla come a volerla punire ulteriormente dopo quella ripicca spacciata per menzogna.
"Vado a prendere da bere"
Glenn non è sorpresa quando la vede alzarsi benché la sua birra sia piena a metà. Sarebbe inutile provare a fermarla e in realtà non le va nemmeno, perché per quanto ci tenga a lei, sa bene che spesso e volentieri le piaccia decidere per entrambe, non ammettendo discordanze, tanto quanto piaccia a lei. Sin dai tempi del liceo non l'è mai piaciuta la geometria eppure, per qualche strana ragione, c'è una una nozione in particolare che le ronza in testa di recente: quando due rette sono parallele tra loro, non si incontrano mai.
Glenn e Alice si conoscono da anni non da una vita ma è come se lo fosse. Un incontro nei cessi della scuola ha sancito il loro legame in quello che oggi può considerarsi una delle cose più care per Alice. Adesso però è tutta un fascio di nervi e la birra non sa nemmeno poi di birra seduta da sola al bancone, senza Glenn al suo fianco, senza Glenn in un domani accanto. Ma la vita è fatta di scelte, suo padre glielo ripeteva in continuazione, forse in maniera discutibile date le sue manie tendenziose, ma aveva ragione da vendere. Alice sogna da sempre di evadere, rompere gli schemi e farcela da sé. Il fatto che Glenn non lo capisca, che non riesca a rivedersi per poter comprendere, non è di sua competenza, o quanto meno non più. Più volte hanno affrontato l'argomento ma non c'è mai stato verso di trovare una congiunzione, una soluzione possibile e di comune accordo. Sebbene, per ironia della sorte, Glenn per un periodo avesse anche accettato di accodarsi, di abbracciare l'ideale cosmopolita piuttosto che restare impantanata nei soliti posti, coi soliti volti fattisi noiosi, l'amore con la sua empietà ben nascosta, l'ha trovata, portandola inevitabilmente a riconsiderare tutto, solo per poi andare via, coi propositi per l'avvenire ridotti a un misero pugno di mosche.
"E io che credevo bevessi solo tè"
Alice riconosce sin da subito quella voce nonostante risulti in parte ovattata dalla musica. Si pizzica gli occhi perché l'ultima cosa che poteva immaginare era ritrovarsi Harry Styles. Quando quest'ultimo si accomoda di fianco, non è in vena per una riposta di pari livello, piuttosto prende un sorso, raffreddando quel tono giocoso con un mera occhiata di sufficienza. La fronte di Harry ci impiega ben poco a crucciarsi.
"Sei sola?"
Ha la testa in obliquo, coi capelli che non resistono alla gravità cascanti tutti da un lato, mentre ricerca ostinato il suo sguardo come a sincerarsi che sia tutto a posto. Alice non è un'amante delle attenzioni in special modo quando sono non richieste. Una smorfia le imbruttisce il volto.
"Ci siamo io, tu e un'altra trentina di persone o forse sono quaranta: tu che dici?"
Harry non si muove di un millimetro, benché Alice gli si sia appena rivolta con un'astiosità gratuita. Resta nella stessa posizione con una collanina argentata che cola a picco tra i suoi pettorali nascosti da una camicia a righe bianca e grigia. Le labbra sono tese in un sorriso pigro, rilassato, così come gli occhi senza grinze agli angoli, non poi così chiari probabilmente per via delle luci calde.
"La matematica non è esattamente il mio forte"
Quello stesso sorriso gli si allarga, forse celando un velo di malizia: Alice dovrebbe ormai sapere quanto gli piaccia giocare. Peccato per lui che non sia dell'umore adatto benché lui invece si ostini a imporre la sua presenza e a scandagliarla con interesse evidente nonostante il suo tentativo di respingerlo.
"E cosa lo è, le coccinelle?"
"Sicura che non sia andata a male?"
Il sorriso non l'ha perso, si ingrandisce persino per quello sfottò, impreziosendogli il volto. Alice sbuffa più esasperata per le sue considerazioni che per le parole di Harry, come al solito, sempre in un continuo motteggio.
"Cosa vuoi Harry?"
Solo adesso sembra iniziare a prenderla seriamente, cogli occhi che passano in rassegna il suo volto.
"Quel tipo non doveva proprio andarti a genio"
"Chi? Che vai blaterando?"
"Mi riferisco a quel tizio che hai mandato a fare un giro giusto due minuti fa: cosa ti ha detto per farti immusonire così?"
Alice tentenna in confusione con lui che si regge il mento col palmo, cogli anelli che brillano.
"A: sei totalmente fuori strada; b: non sapevo che spiassi la gente"
Harry, forse sentitosi colto in fallo per quell'audacia, si ritrae, mettendosi dritto.
"In realtà stavo per uscire per andare a fumare e t-"
"E hai pensato bene di venire a importunarmi"
Lo interrompe, nonostante quella abbia l'aria di essere una giustificazione confacente, perché in fondo non le interessa. Per un attimo le ritorna in mente quel pomeriggio al bar di qualche girono fa, quando Harry l'aveva sorpresa dicendole che sarebbe stato paziente che se lei avesse voluto, l'avrebbe aspettata.
"Se il destino si diverte a farci incontrare chi sono io per ignorarlo?"
Alice corre a prendere un sorso di birra pur di frenare quel principio di sorriso che scalcia per vestirle il viso. Harry per davvero aveva mantenuto la parola non disturbandola durante la lettura quando Alice aveva creduto che fosse solo una banale scusa pur di... tormentarla. Ogni tanto, di sottecchi, l'aveva beccato alzare lo sguardo dai libri per posarlo su di lei mentre con una matita sottile ne sottolineava le righe e con una penna ne appuntava i punti salienti su un raccoglitore annoso. Gli aveva allora detto di smetterla di distrarsi non distogliendo l'attenzione dal romanzo e lui le aveva risposto un 'giuro che sto studiando' quasi istantaneamente, con un irriflessione che per forza di cose non poteva altro che essere la verità. Per quegli avvenimenti e per il fatto di ritrovarselo, volente o nolente in ogni dove, persino a vegliare su di lei da lontano, è facile per lei uscirsene con: "Se non uno stalker, direi uno che non vuole mi sembra abbastanza ovvio"
Harry scuote di poco la testa coi capelli che gli si muovono tutt'intorno. Gli incisivi trattengono il labbro inferiore per non permettergli di ridere. Poi d'un tratto si tira su e si issa in piedi, afferrando il giubbotto lasciato di lato sul bancone: "Su, vieni con me"
Alice è confusa mentre lui sembra sempre sicuro e mai vacillante quando si tratta di muoversi, fare o dire: come se il 'sentirsi fuori luogo' per lui non esistesse.
"Dove?"
"Ovunque" Harry sogghigna.
Alice, i suoi, li alza al cielo per quel tono e quel fare che le sanno tanto d'essere imperativi. Harry solo a quel punto sembra tentennare, esser contrariato, come se fosse uno a cui non piace sentirsi dire di no. Prende un passo verso di lei: "Fuori" rettifica, stavolta senza traccia di dileggio.
"Per?"
"Per fare due chiacchiere, tutto questo fragore inizia a starmi stretto"
"Passo"
"Fammici almeno provare"
Harry, tuttavia, non desiste, una mano scorre tra i capelli con la presunzione di poterli disciplinare in qualche modo. Alice solo allora si concede il lusso di guardarlo per intero, costatando di malavoglia la sua inappuntabile solennità d'altezza e robustezza e si concede di ricercare nei suoi modi una veridicità contingente alle sue intenzioni.
"Cos'è tutta questa urgenza, cosa nascondi?"
È sospettosa, tiene il mento alto. Harry si liscia la camicia, ma è evidente che non vi siano presenti pieghe, è solo un trucco per distogliere l'attenzione dal loro reale scopo, ora che le mani scivolano fin giù le tasche: "Dipende: posso fidarmi?"
Alice si volta interamente, le scarpe sono in terra e non più sul poggiapiedi, protesa verso di lui: è dubbiosa sì ma anche curiosa.
"Dipende: che hai nelle tasche?"
Sul viso di Harry prende forma un vero e proprio ghigno. Alice lo addebita all'accusa di flagranza poi smascherata ma ci ripensa perché a guardar gli occhi, le sembrano due pozze scure e c'è qualcosa che li anima in maniera impercettibile ora che, senza aspettare consensi, una mano finalmente svela: "Solo una sigaretta speciale"
Alice ne ha viste di canne in vita sua, probabilmente più di quante i suoi genitori abbiano mai potuto ipotizzare. Sa che sapore abbiano e sa anche che ci voglia una certa pratica per saperle rollare e chiudere per bene. Con gli anni aveva anche acquisito una certa dimestichezza sotto la guida di un più esperto pigmalione. Ma più di tutto sa che effetto abbiano sulla psiche e sul corpo specie per tempi prolungati. Il fatto di vederne una coperta in parte da mani che credeva di aver ben inquadrato la disorienta. Perché sa che non tutti ne facciano un uso saltuario, semmai il contrario, semmai in via del tutto eccezionale.
"Voi studenti di Lettere, vi affannate tanto per trovare i modi più disparati pur di non chiamare per nome le cose per quello che sono"
"Stai prendendo tempo"
"Evidentemente non avresti dovuto fidarti e poi non credo sia un crimine rispetto invece a quello che ti stai rigirando orgogliosamente tra le dita"
Lo dice tutto d'un fiato colma d'alterigia. Harry dal suo canto, tutto ciò che fa è piegare le labbra ancora una volta, anche se solo di poco, in quel sorrisetto che ormai può dire di conoscere, borioso.
"Mi correggo: mi stai giudicando. Voi studenti di giornalismo, a furia di farvi scegliere da che parte stare vi fanno credere di poter essere giudici di tutto e di tutti quando non lo siete"
Poi fa spallucce con quel colpo inferto che è sinonimo di rivalsa legittima, come se non ci potesse essere replica o persona che tenga"Ad ogni modo: tic tac, il tempo scorre Alice Spencer, ragazza coscienziosa, cosa farai?"
C'è?

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