5. orgoglio

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Il gelo le fa rizzare i peli delle braccia, così Alice si stringe nella felpa. Harry le lancia un'occhiata mentre parla col poliziotto di turno. È da una ventina di minuti che va avanti così, prima con lei adesso con lui. Si guarda intorno, l'appetito l'ha perso. C'è Doyle, qualche metro più in là, che stringe forte sua moglie tra le braccia. Si è precipitata subito con le lacrime agli occhi e il cuore fuori dal petto. Qualcosa la morde dentro e se è possibile ora sente ancora più freddo. Si domanda se in un domani non lontano, se anche per lei ci sarà mai qualcuno ad aspettarla a braccia aperte col cuore in pulpito ma pulito. Se in un giorno qualunque possa mai arrivare qualcuno e cingerla a sé con tutto lo slancio possibile.
"Metti questo"
Harry l'è di fianco, le poggia il suo cappotto sulle spalle.
"Non devi, congelerai tanto quanto me" si oppone e prova a sfilarlo ma Harry preme la propria mano sulla sua.
"Ne hai più bisogno tu adesso" dice serio.
"Ti ringrazio" suona impacciata ma è più dovuto a quel contatto che a Harry, perché adesso gli viene naturale. Lei ne rifiuta solo l'idea. La mente ritorna a poco prima, alla sua mano nella sua, a quel gesto, a loro; pensa a quella vicinanza, a quei respiri affannati, al panico, alla paura. A quel pianto liberatorio, che la stava facendo perire dall'interno per quanto lo stesse trattenendo. Lei che non piange mai, lei che tiene sempre a bada il suo temperamento, lei che ha ancora molto da imparare se le lezioni che le ha impartito la vita a poco sono servite, se quelli poi erano i risultati. Ci pensa Alice e non si sente lei, non si riconosce: non è la sua la pelle che abita.
"Finisco qui e ti riaccompagno a casa"
Sorride poco Harry quando parla e questo un po' le dispiace. È stanco anche lui, ma forse solo emotivamente.
"Non ce n'è bisogno, chiamerò un taxi"
Ribatte, perché è troppo. Tutta questa situazione è troppo. Harry sbuffa.
"Non ti sento" scherza poi mentre si allontana e torna dal poliziotto assumendo nuovamente l'espressione scocciata che aveva giustappunto qualche minuto fa.
Alice scuote la testa e non aggiunge altro, indossa le cuffie e preme play. Ci rinuncia.
Harry la raggiunge due canzoni dopo, si sfrega le mani e ha le spalle chiuse. Starà gelando, proprio come aveva supposto. Il blu del maglione si confonde con la notte, gli dona, quello sguardo un po' meno.
"Andiamo?"
"Sì, però rimettilo e per casa mia dobbiamo andare a sinistra" si spiega provando a cedergli il cappotto.
"E per la mia auto a destra quindi puoi tenerlo" Harry sogghigna e si china per prendere i sacchetti con la spesa offerta da Doyle come ringraziamento.
"Grazie" riesce a dire Alice con una punta di imbarazzo. Harry che si era già mosso in avanti si volta e la scruta incerto.
"Non è niente" risponde, ma non comprende.
Per tutto.
"Vieni?"

Harry ha messo in moto l'auto e ha già attivato l'aria calda. L'interno ha un buon odore, sa di fresco e di una parvenza del profumo di Harry o forse è solo il suo cappotto. Alice si sfrega le mani sulle cosce. Harry invece se le riscalda alitandoci sopra. Alice sospira, Harry non parte. Alice guarda fuori il finestrino mentre lui si tasta le tasche.
"Ti 'spiace se fumo?"
Alice fa di no con la testa. Harry ne sfila una e l'accende poco dopo. Si cura di tenere la sigaretta fuori e di boccheggiare verso il finestrino.
"Te ne va una?"
"No, grazie"
Alice non lo guarda e in realtà non riesce nemmeno ad appoggiarsi al seggiolino e mettersi più comoda. Si sente fuori luogo, in quello spazio ristretto e seduta a quel posto che probabilmente appartiene a qualcun altro.
"Pazzesco" dice poi, si passa una mano tra i capelli e la fa scendere fin lungo il viso. Stenta a crederci e non è il solo.
"Già" Alice mormora e respira piano.
Già pazzesco.
"Quindi Spencer mmh? Alice Spencer non suona male" le fa, allargandosi lo scollo del maglione. Non sa se sente caldo anche se i vetri si sono appannati, quello che sa è che c'è altra pelle sporca d'inchiostro poco lontano dal collo. Si chiede se ce ne sia dell'altra che nasconde sotto gli indumenti. Probabilmente Harry avrà assistito alla sua deposizione. L'aveva visto poggiato alla saracinesca del market alle sue spalle mentre il Tenente Dunn le propinava una sfilza di domande, ma credeva che si stesse facendo gli affari propri, intento com'era a digitare qualcosa al cellulare.
"Nemmeno per i miei genitori suppongo" fa' Alice, sorride poco, non riesce farlo bene. A Harry invece scappa una risata e forse è vero, il suo senso dell'umorismo non gli dispiace.
"Era anche il cognome da nubile della Principessa Diana vero?"
"Già"
"Sei di poche parole" aggiunge, la sigaretta è rimasta incastrata tra le labbra per la fretta. Harry ha voglia di fare conversazione Alice no. E non sa perché. Quest'ultima guarda davanti a sé, c'è un mendicante con un cappello da pescatore bucato qua e là che scava nei cassonetti. Prova compassione, per un mondo troppo ingiusto e spesso infame. Forse è per quello o forse è per tutto.
"Credo di averle ingoiate tutte" confessa, ed è rigida, fredda come un blocco di ghiaccio. Harry la studia. Lo sa che la sta guardando, lo vede con la coda dell'occhio. Lo sente muoversi, il suo profumo si disperde nell'aria e le viene da maledirlo per la prepotenza con cui accade. Harry si sporge di poco, si tiene al volante, tentando di cogliere l'espressione che ha indosso. Alice non sa come sia, non sa come appaia ai suoi occhi in questo momento, in realtà non sa cosa pensi di lei la maggior parte delle volte, ha solo questo pressante sentore come se Harry fosse sempre pronto a capirla.
"Stai bene?" Le chiede con un tono di voce che ha perso di leggerezza. Ed è come se la bolla fosse appena scoppiata, come se Harry una volta in auto si fosse sentito al riparo e solo ora se ne stesse rendendo conto del suo essere in errore. E' ovvio che di lei non si possa dire lo stesso. Alice scrolla le spalle. Sta bene? Non lo sa. Il parabrezza è sporco in alcuni punti ci sono diversi aloni e quella che le sembra l'impronta di un palmo ormai sbiadita. Alice nega di non aver fatto alcun collegamento passandosi una mano sul collo anchilosato. Harry attende in silenzio, la cicca viene gettata via ma lui non smette di esser rivolto verso di lei. Alice non le vuole tutte queste attenzioni, non gliel'ha mica chieste, in realtà non gli ha chiesto proprio un bel niente e non vuole dovergli rispondere. Dentro di lei c'è un tale caos da far spaurire chiunque. Vuole solo tornare a casa e lasciarsi tutto questo alle spalle.
"E tu come stai Harry? Come vuoi che stia?"
Alice si volta e solo allora guarda Harry da quando sono lì dentro. C'è ostilità quando parla, freddezza e persino scherno, come se Harry le avesse appena posto la domanda più sciocca e fuori luogo da fare. L'auto è buia, c'è poca luce che filtra dai vetri, eppure gli occhi di Harry si distinguono con facilità, il verde spicca in tutto quel nero caliginoso che adesso non sembra essere altro che il riflesso di se stessa. Harry non dice niente, il suo silenzio le fischia nelle orecchie, al contrario, ingrana la marcia e parte.
"Ti porto a casa" poi dice finalmente a labbra strette. Quel tono di voce basso la colpisce in pieno e Alice già se ne pente, perché Harry non se lo merita e lei è la solita, immancabile, stronza.
Harry è taciturno, le chiede soltanto quando e dove svoltare poi niente più. Alice si limita a rispondere e anche lei a starsene zitta. Il tragitto è breve e lei non vede l'ora di giungere a destinazione. Harry ha acceso la radio probabilmente perché non è uno che ama i silenzi o forse perché adesso Alice è diventato solo un peso di cui sbarazzarsi quanto prima. Il volume è basso, forse cantano i Coldplay, forse no. Alice non lo sa. Si tortura le labbra da un po', le morde più e più volte non permettendo a se stessa di pronunciarsi per magari scusarsi e piegarsi una buona volta. Ma Alice è risaputo è cocciuta e ha l'ego che le offusca la ragione. Harry ha l'espressione contegnosa, alza solo lo sguardo di tanto in tanto in direzione dello specchietto retrovisore. Le linee della mascella sono sporgenti, in tensione. Guida bene, va piano, ma qualcosa le dice che sia in netta contrapposizione rispetto a come si senta dentro.
Alice smette di prestargli attenzione, posa lo sguardo sulle sue cosce dove vi ci trova le mani chiuse a pugno. Sente caldo, l'aria è ancora accesa e solo ora si ricorda di avere ancora indosso il cappotto di Harry da brava ingrata. Se lo sfila velocemente con Harry che la osserva di traverso. Quest'ultimo allunga le dita e spegne l'aria poi cambia marcia con una forza eccessiva e gratuita. Alice si allunga verso i sedili posteriori per posare il cappotto. Harry non si smuove di un centimetro quando Alice ritorna a sedersi. Poi, però, d'un tratto Harry spegne la radio e inizia a ridere. Alice si volta a guardarlo e Harry scuote la testa con entrambe le mani arpionate al volante.
"Scusami, ma è più forte di me"
"È incredibile di quanto orgogliosa tu sia. Ti stai torturando da un pezzo e l'unica cosa che sei riuscita a fare è sfilarti il cappotto, per cosa poi? Per autopunirti? Quando nemmeno una parola hai osato farti scappare, nemmeno per sbaglio. Mi dici quando svoltare?"
Si spiega lanciandole delle occhiate mentre resta concentrato sulla strada. Come ci riesca non lo sa. Come riesca a leggerla basandosi soltanto su dei semplici gesti. Alice lo guarda senza sapere cosa dire. L'orgoglio di cui parla, le fa voltare il capo verso il finestrino quando dice:
"Adesso" con Harry che riprende a ridere. Almeno ci ride su, invece di adirarsi. E forse Alice meriterebbe ben altro, o quanto meno, sarebbe più doveroso. Invece Harry glielo risparmia e lei non ne comprende lontanamente le ragioni.
"Qui va bene"
"Qui?"
"Sì"
"Non è il migliore dei quartieri" Harry si guarda intorno, aguzza la vista. In effetti non ha tutti i torti, quello non è il migliore dei quartieri ma almeno è alla sua portata.
"Per il mio portafoglio sì" ci scherza su e Harry le sorride. Questo la fa sentire meglio, tuttavia dura solo poco perché Harry continua a ispezionare la zona con un cruccio bello evidente.
"Qual è il tuo palazzo?"
"Il primo sulla sinistra e Harry so badare a me stessa"
"Non ne dubito"
Alice coglie del sarcasmo nella voce ma fa finta di niente. Harry spegne l'auto, tamburella le dita sul volante. Forse è solo tutto nella sua testa, questo sentirsi fuori luogo e di troppo. Forse non ce n'è motivo, forse è lei stessa a essere il suo stesso limite.
Harry sta per parlare ma Alice lo precede. Ora o mai più.
"Senti mi dispiace per prima e per averti dato del vigliacco, non te lo meritavi"
La voce l'è uscita tutta d'un botto, perché piena di fierezza. Incontenibile, come se Alice fosse arrivata al limite e i bottoni che la tenevano unita fossero schizzati fuori dalle asole. Le labbra di Harry si piegano, gli occhi gli si arricciano alle punte.
"Ci hai messo un po'" le dice, poi si allunga col busto verso di lei e Alice si fredda sul posto.
"In ogni caso non credo che tu mi debba delle scuse, o meglio, se le cose fossero andate in maniera differente, me lo sarei meritato" aggiunge, con la voce ovattata per avere il busto in tensione mentre apre il cruscotto per frugarci dentro. Alice rilascia un respiro trattenuto, Harry tiene una penna in mano. La guarda poi guarda lui.
"Ma così non è stato"
"Per fortuna sì" aggiunge, allungandosi poi ai sedili posteriori. Il maglione gli si alza, gli scopre il fianco e Alice ci vede un altro tatuaggio, una grossa foglia. La sua intuizione era stata giusta, Harry n'è pieno e li nasconde tutti. Alice viene rapita da quello che le sembra il rumore di carta che viene stracciata. Harry ritorna a sedersi, e di fatti ci ha preso perché ora ci scrive qualcosa su.
"Visto che per motivi per me tuttora incomprensibili non hai il cellulare con te, sono dovuto ricorrere alle vecchie maniere"
Alice guarda le sue mani, sono grandi e nodose, sono inoltre pallide e peccatrici perché reggono un insieme di cifre che non si aspettava di certo.
"Non capisco"
"Ho una pessima calligrafia ma sono certo che si legga"
Harry ci fa dell'ironia, con quegli occhi vispi e abbaglianti. Quelli di Alice invece si rabbuiano, sono colmi di diffidenza e confusione.
"Perché me lo stai dando?"
Harry sospira sonoramente, avere a che fare con Alice non è facile. Guarda per un attimo davanti a sé, come se stesse raccogliendo i pensieri per tramutarli in parole.
"Siamo quello che facciamo non quello che diciamo"
"Solo prendilo Alice, puoi sempre perderlo" Harry insiste, la fissa con ostinazione perché Alice non si è ancora pronunciata mentre tiene il braccio teso verso di lei. Adesso alza gli occhi al cielo, lo esaspera il gesto, perché Alice ci sta mettendo realmente troppo. 'Siamo quello che facciamo non quello che diciamo'. Che diavolo dovrebbe significare? Alice ripensa alla seconda volta che si sono rivolti parola, a quando Harry le ha esplicitato il suo disappunto rispetto al fatto di scervellarsi per comprendere il perché dietro ad ogni cosa. Forse si riferisce a quello. Forse è uno di quelli che credono che le parole ci riempiano soltanto la bocca di buone intenzioni a cui, poi, seguono gesti discordi, prova di un'incoerenza lampante. E forse, alle volte, non c'è motivo di interrogarsi quando gli altri sono i primi a non farlo. Se per lui, quello, è solo uno stupido pezzo di carta, dovrebbe esserlo anche per lei.
Alice lo prende, le loro dita si sfiorano e una fossetta buca la guancia di Harry.
"Che significato ha la croce?"
Harry la guarda interrogativo, le sopracciglia gli si incurvano sempre quando non sembra capire.
"Come ti salta in mente?"
"Dovrò pur sapere qualcosa di te ora che ho il tuo numero"
"Chiedendomi di un tatuaggio?"
"Certo, dicono molto"
Harry sbuffa anche se la bocca piegata all'insù fa trapelare il suo divertimento.
"Il primo l'ho fatto a sedici anni e ti assicuro che non significa assolutamente niente, se non il fatto di ricordarmi di quanto sbronzo fossi al tempo" confessa, con lo sguardo diretto nel suo. Vorrebbe forse imporsi? Incutere una sorta di perentorietà alle sue parole? Alice non se la beve.
"È proprio questo il punto. Ho i miei motivi, specie se ti ho chiesto di un tatuaggio e tu mi hai parlato di un altro" Alice si concede un mezzo sorriso, Harry invece uno pieno.
"Posso chiederti perché proprio questo?"
"È il più evidente"
Bugia.
Harry la guarda per un po', la bocca chiusa gli si muove, fa zig zag. Lo sa che sta pensando, lo vede chiaramente. Probabilmente non le crede e fa bene.
"Se cerchi qualche significato esoterico purtroppo non c'è. È quello che è, per la stragrande maggioranza delle persone: è il simbolo di chi crede, di chi ha fede" parla lento, tranquillo. Sembra crederci quando lo fa, però Alice non è dello stesso avviso. Qualcosa le dice che ci sia ben altro dietro, una sorta di sesto senso che la solletica.
"Tu non mi sembri affatto un credente"
Infatti lo esplicita, sempre diretta e concisa com'è. Harry si ritrae, corre a tastarsi nuovamente le tasche.
"E cosa sembro?" Chiede curioso con la sigaretta già tra le labbra.
"Non un credente" risponde ovvia Alice, divorandoselo con gli occhi, rubandosi tutto ciò che può. I ruoli si sono appena invertiti e di certo Harry non può dire che non lo avesse avvisato. Gli aveva detto che lei era chiunque volesse essere e stavolta il ladro è lei. Harry alza gli occhi al cielo ma proprio non riesce a non farsi scappare una risata sonora. Quando si accende la cicca Alice persiste.
"Di cosa scrivi?"
"Non mi chiedi degli altri?"
"No"
Harry fa aderire la schiena largamente al seggiolino. Sembra sorridere ma non può dirlo per certo. Probabilmente perché Alice è sveglia e non ha potuto fare a meno di notare il suo taccuino. Sta provando a rilassarsi o forse semplicemente a mettersi più comodo. Non sa se voglia spacciare questi suoi movimenti come impassibili, come se l'argomento non lo toccasse minimamente. Per Alice è troppo presto per azzardare una tesi, in fondo Harry per quello che percepisce, pare sempre sapere dove si trovi e quale sia il suo posto in questo mondo così confusionario.
"Di tutto: di me, degli altri, di me con gli altri, degli altri da soli... di tutto Alice"
Come prima Harry prende tiri profondi e butta fuori il fumo col capo rivolto verso il finestrino. Stavolta però fuma con la destra con l'aria che non è diventata altro che un'odiosa cappa di fumo. Tuttavia Alice la coglie comunque l'intensità del suo sguardo attraverso quel grigiore nebuloso. Ma fa finta di niente: fingere non le risulta arduo anzi le viene piuttosto bene.
"Te lo porti sempre dietro?"
"Il più delle volte, sì"
"E ci sono anche appunti su di me da bravo strizza cervelli?"
Harry si volta di scatto, sembra considerevolmente sorpreso. Le pupille sembrano essersi dilatate ma forse è solo dovuto al fatto che ci sia poca, pochissima luce, lì a pochi passi da casa sua. L'audacia di Alice non ha vincoli, esce fuori e basta. A Harry tocca farci i conti. Le sue sono gambe distese, lasciate molli sui pedali, coi jeans scuri che gliele smagriscono. Fino a un attimo fa perché ora fanno leva per rizzarlo.
"Cosa te lo fa pensare, a parte il tuo ego chiaramente ingombrante?" Chiede scherzoso, ciononostante il tiro che prende non è profondo, è sbrigativo, così come l'espirazione nociva che si riversa a poche spanne dal viso della ragazza che gli siede di fianco. È come se fosse diventato d'un tratto circospetto, dubbioso, persino col corpo.
"Chiedevo soltanto, voglio dire, appena ne hai l'occasione ti metti a psicanalizzarmi"
"Quello lo faccio per svago ed è solo spirito d'osservazione. In ogni caso suppongo mi riesca bene"
"Io non l'ho detto"
"È implicito"
Ad Alice scappa da ridere. Probabilmente quella è la prima risata spontanea che l'è uscita fuori. Harry tuttavia non ride con lei la guarda e basta. E questo per qualche inspiegabile ragione non la mette a disagio così come condividere la stessa aria. Se pensa agli avvenimenti di qualche ora prima, a tutto quello che ha sperimentato, stenta a credere di starsene lì, in auto con lui, ed essere perfino capace di ridere adesso. La vita, in tutta la sua imprevedibilità, ribalta le situazioni con una facilità e completezza che le fa specie.
Harry ha appena buttato la cicca e richiuso il finestrino.
"Va meglio?" chiede.
Alice risponde con riluttanza latente: "Sì" e pensa che le piaccia l'interno dell'auto. E nel mentre c'è Harry che la guarda e le sorride per l'ennesima volta, quando Alice si domanda, invece, cosa lo spinga a farlo. Sta per chiederglielo, però la suoneria squillante del cellulare di Harry la precede.
"Scusami" le fa, Alice, scuote la testa come a dire: 'figurati'. E avrebbe voluto non essere così testarda e aver letto il nome del mittente. Ci ha trovato scritto Camille con l'emoticon di un cuore. Banale.
"Sto arrivando. Ci hanno trattenuto per le deposizioni. Sì sto bene, tranquilla. Arrivo"
Alice ha distolto lo sguardo perché non è affar suo. Stare in auto con un ragazzo impegnato quello sì che invece è affar suo. Averci passato praticamente un'intera serata anche se non intenzionalmente sì che è affar suo. Aver detto di sì ad un passaggio, si che è affar suo. Aver accettato il suo numero di telefono opponendo solo un minimo di resistenza, anche quello è affar suo. Oh, sì che lo è. E questo le pesa, così come tutto adesso.
"Be' ciao" Dice soltanto, prima di scendere dall'auto e di chiudersi la porta alle spalle. Gli ha giusto accennato un sorriso, un misero sorriso di circostanza. Patetica. Chiude gli occhi e cazzo se fa freddo lì fuori.
"Alice, ehi, dimentichi questo"
Harry si è sporto, ha il braccio lungo oltre il finestrino del passeggero. Alice non ha bisogno di guardare la sua mano, sa già cosa trattiene. Piuttosto guarda lui e lo giudica aspramente, come se non avesse altra scelta se non quella. Perché insiste? Come fa a non rendersi conto? L'espressione sul suo volto però gli si incupisce, come se avesse compreso il suo subitaneo distacco. Come spesso accade, inspiegabilmente.
"Ti sei trasferita anni fa e hai fatto intendere di vivere qui solo perché rientra nelle tue capacità. Non credo di sbagliarmi, se dico che tu viva da sola. In una situazione di emergenza come quella precedente, non hai chiamato nessuno, e qualcosa mi dice che tu non l'abbia fatto non perché non ne avessi modo. E forse adesso, io stesso non sono nessuno per azzardarmi a dire che non hai chi chiamare, e ti chiedo scusa, ma voglio sinceramente che tu abbia il mio numero qualora ne avessi bisogno, come... Una garanzia, indipendentemente dalle circostanze che forse ti appaiono inopportune, ma vedi, quello che ci è successo non può essere ignorato... Sono io, Alice, a non volerti ignorare"
Harry ha preso delle pause, ma si è espresso con una tale lucidità e fluidità da lasciarla letteralmente senza fiato e inerme sul ciglio della strada. Alice lo sa da un po' che Harry sappia parlare, che possa tranquillamente definirsi come un bravo oratore. E lei, in quello che ha detto, non riesce a trovarci alcuna falla. Non sa cosa dire, fa solo fatica a crederci. Fa fatica a credere di non saper mettere insieme due parole. Riesce solo a pensare al fatto che Harry ci abbia visto lungo per tutto il tempo, che sia stato capace di comprendere ogni suo singolo pensiero inespresso.
Harry ha la fronte corrugata, è in apprensione ma aspetta o forse riprende semplicemente fiato. Non smette di guardarla, di sostenere il suo sguardo e lei si ritrova a detestarlo.
Alice fa quello che sente e ciò che crede sia più giusto fare. Per ambo le parti. In uno scatto la sua mano si infrange sul palmo di Harry. È brusca e offesa.
"Peccato che tu non sia il solo a decidere"
Il bigliettino viene prima sgualcito con forza e poi buttato via a marcire sulla pece, alle spalle di Alice e di quello che ormai è l'eco lontano del suo nome.

di fuori la finestra il mondo H.S.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora