XXIX

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«Vattene, cazzo, se non ti vado bene così come sono. Vattene o amami.»
«Ma io ti amo.»
«Stronzate!» urlai.
Mi guardasti negli occhi, nei miei occhi disperati che non hanno un colore definito, che il colore se lo sono portato via le troppe lacrime. «Allora perché non te ne vai tu?»
Smisi di respirare. Volevo sparire. «Vattene tu, no?» dicesti ancora. «Perché non te ne vai?»
Mi stavi provocando, cercavi il mio sguardo che fino a quel momento era stato sicuro, ma tutto cambia. "Perché sono innamorata di te". Te l'avrei voluto urlare, avrei voluto urlartelo quel "ti amo" disgraziato, ma non te lo meritavi.
Ricominciai a respirare, piano. La sicurezza si impossessò di nuovo del mio sguardo. Ti lanciai un'occhiata gelida e potei sentire il brivido che ti percorreva la schiena, come se fossimo la stessa persona.
"Già, perché non te ne vai?" Mi chiesi.
Ti sorrisi nel modo più falso possibile, presi il cappotto. Ti scoccai un bacio sulla guancia. «Ciao!» urlai, mentre mi dirigevo verso la porta.
«Dove vai?»
«Via.»
«Mi hai detto ciao, quindi non è per sempre. Quindi non è un addio. Quindi domani torni.» l'insicurezza era presente nella tua voce.
Mi girai un'ultima volta, i capelli mi finirono davanti al viso. Ne spostai un po'. «Addio.» dissi con un sorriso, e quel sorriso una volta uscita da quella casa, sparì. Per sempre.
Ero innamorata di lui, ma lui non se lo meritava, il mio amore.
Forse non è stata una buona idea, tenermelo dentro, tenermelo per me. Piano piano sta marcendo.

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