Pensieri

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Pensieri di una madre fallita.

Comprendo d'aver sbagliato tutto osservando come la mia unica figlia piano piano si distruggeva. Lo vedevo ma pensavo fosse dovuto dall'età, dall'adolescenza. Pensavo che fosse frutto della sua ribellione. Tutti quanti ci siamo passati, è solo adolescenza, non c'è mai morto nessuno.
Tornava a casa che puzzava di sigarette, a volte persino d'erba. Aveva lo sguardo spento, l'espressione assente. Io le urlavo contro, le chiedevo cosa le fosse preso. Prima era una bambina così vivace.
Usciva la mattina alle sette e trenta e tornava la sera alla medesima ora, se non dopo. Non salutava, non toccava nessuno. Sembrava avesse paura di contagiare tutti con una malattia mai esistita.
Noemi, mia figlia, aveva le cuffie tutto il tempo. Mio marito la riprendeva sempre "Abbassa quel cazzo di volume e stammi a sentire!" le urlava. Vedevo come Noemi si stringeva nelle spalle e toglieva le cuffie spaventata. Io lo vedevo, gli altri no. Poi la mia bambina lo guardava truce, sembrava volesse ammazzarci e forse era così. Lo guardava e annuiva a ogni sua parola ma non sentiva nulla, toglieva le cuffie ma era come se quella musica fastidiosa, tamburellante, rimanesse nelle sue orecchie.
Mi accorsi di averla persa quando tornò a casa, un pomeriggio, alle quattro e trentacinque. Aveva le lacrime agli occhi e un segno violaceo sul viso. Mi ricordo di esserle andata in contro, mi ricordo di aver aperto le braccia nella sua direzione e chiuso gli occhi per bearmi della sensazione delle sue braccia attorno il mio corpo. Aspettai qualche minuto e poi aprii nuovamente gli occhi, e mi ricordo che la porta era aperta e che lei non c'era più.
Noemi voleva essere uno spirito libero ma non si accorgeva delle catene che portava ai polsi.
I capelli castani e gli occhi del medesimo colore. Lei si definiva insulsa e la sentivo quando entrava in bagno e chiudeva la porta a chiave. Udivo i suoi passi leggeri che si fermavano di colpo, e poi sentivo i singhiozzi. Provai a contare i passi e li riprodussi anch'io, un giorno. Erano tre e quando li riprodussi mi venne una stretta al cuore: la mia Noemi piangeva davanti allo specchio.
Un pomeriggio lei non era ancora tornata a casa ed io andai in camera sua. Era disordinata ma lei trovava tutto dentro quel completo caos. Io invece trovai solo una maglietta sporca di sangue all'altezza del fianco destro.
"Come me lo spieghi questo!" Sbraitai. Ero spaventata e lei lo era più di me. Vidi un lampo attraversarle lo sguardo.
"Non devi frugare nella mia roba!" Mi strappò la maglia dalle mani e la strinse forte. "Stanne fuori, Clara." Ma io come facevo a stare fuori da lei? Dalla sua vita?
Quella maglietta la ritrovai nella pattumiera la mattina dopo. Mia figlia mi nascondeva qualcosa.
Ed era qualcosa di grande, lo capii un giorno. Noemi tornò a casa con gli occhi rossi, un sorriso strafottente era stampato sul suo volto. Non la vedevo sorridere da una vita e mi si scaldò il cuore per poi congelarsi subito dopo: il suo era un sorriso strano, dovuto alla droga che aveva assunto.
"La devi smettere!" Le dissi duramente scuotendola. "Smettila di farti del male!"
"Oh mamma, ma non capisci che è troppo tardi?" La sua voce era roca, impastata. Non la riconobbi più e glielo dissi. E lei uscì di nuovo.
Capii che era troppo tardi un sabato mattina. Andai in camera sua e non la trovai.
"Noemi." La chiamai. Sentii il rumore della doccia e mi tranquillizzai anche se non mi aveva risposto.
Due ore dopo ancora non era uscita dal bagno. Il rumore dell'acqua era ancora presente, infinito. Bussai alla porta. "Noemi, esci che devo fare pipì." Inventai. Come risposta ottenni il rumore persistente dello scroscio dell'acqua. Iniziai ad odiarlo. "Noemi!" Urlai. Posai la mano sulla maniglia anche se Noemi si chiudeva sempre a chiavi. La portai giù e spinsi: era aperta ed io ero confusa.
Capii tutto quella mattina entrando nel bagno e urlando il suo nome all'infinito.
L'avevo persa tempo prima e quel sabato la persi definitivamente.
La doccia era accesa e mia figlia sospesa a mezz'aria con la sua cintura preferita attorno al collo.
Comprendo d'aver sbagliato tutto e che non era l'adolescenza e che ora qualcuno c'era morto.
Noemi, anche se non c'è più, mi tormenta il sonno come ha sempre fatto. Alcune volte mi affaccio nella sua camera e la chiamo sottovoce come se stesse dormendo.
Talvolta alle sette e mezza di sera passate mi viene naturale prendere in mano il telefono e cercare il suo numero fra le ultime chiamate, ma ora non c'è più.
Comprendo d'aver sbagliato tutto e comprendo che ora è troppo tardi.
Ho perso una figlia e lei ha perso tutto.

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