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Passo la metà della mia giornata a letto, saltando il pranzo e non uscendo dalla mia camera fino alle 16:20. La mia testa mi sta implorando di uscire, di andare sul mare o in qualunque posto mi permetta di staccare un po'. Chiudermi in casa non è mai una buona idea nel mio caso, mi sento come in una gabbia costruita da me stessa, dalla quale ho la possibilità di uscire ma non lo faccio mai. Per pigrizia? Non lo so, me lo sono chiesta molte volte, ma la mente umana si sa, è labile e complicata. I miei genitori sono usciti da un'oretta per impegni e commissioni varie, non osando mai entrare in camera mia. Avranno sicuramente intuito dalla mia assenza a pranzo che l'incontro tra me e il mio insegnante di chitarra non è andato troppo bene come magari loro speravano. Conoscendo ormai il mio carattere molto introverso per certi aspetti, sono grata che abbiano capito la situazione e abbiano lasciato correre. Passerà. Ma passerà cosa? Il macigno che ho dentro è fatto di niente, di qualcosa a me sconosciuto, e questo lo rende ancora più pesante e difficile da sopportare e da opprimere. L'unico mio problema è che rimugino tanto sulle cose, e ora che so che Filippo sta attraversando le mie stesse -o quasi- difficoltà, mi sento come legata a lui attraverso un filo invisibile. Solo capendo di cosa è fatto quel filo, scoprendo di che materiale è composto, riuscirò a tagliarlo nel giusto modo. Ma voglio davvero tagliarlo? Mi dispiace così tanto spezzare un legame così strano? Il cellulare che vibra mi fa tornare nel mondo reale. La batteria è ormai al 100%, così lo stacco dal caricatore e  rispondo alla chiamata.

"Gaia, buongiorno" rispondo cercando di camuffare la mia voce prima di ogni emozione.

"Iside ma sei scomparsa. E poi buongiorno cosa, sono le quattro del pomeriggio!" sento in lontananza qualcuno ridere; immagino le mie amiche siano da qualche parte insieme. 

"Senti", riprende lei, "vieni al bar a prendere un caffè? Siamo praticamente tutte."

Devo proprio?

"Al solito bar?" rispondo, per guadagnare tempo.

"Ovvio, non accettiamo un no." interviene Giulia. Mi sa proprio che devo uscire.

"Va bene, datemi il tempo di prepararmi e arrivo.." chiudo la chiamata e alzo gli occhi al cielo. Continuo a chiedermi perché, in certe situazioni, non ho amiche asociali. Subito mi viene in mente una cosa: al nostro bar ci lavora Lorenzo. Mi ricordo improvvisamente di non aver controllato la risposta nella chat tra me e il cameriere, e in effetti noto una notifica. 

"Allora mi sa proprio che dovrò prestartene uno, ne rimarrai affascinata.". Continuo a non capire le sue intenzioni. Decido di non rispondere per il momento, sono in ritardo e non so neanche che scrivergli. Mi infilo dei jeans a zampa di elefante, un maglione caldo e un cappotto, mi metto il solito tocco di mascara sugli occhi ed esco di  casa salutando Bruce di fretta. 

Dopo venti minuti circa mi trovo davanti al solito bar di fiducia, e vedo attraverso la vetrata il tavolo dove le mie amiche stanno discutendo animatamente. Entro nel bar, lanciando uno sguardo al bancone e noto subito che Lorenzo mi sta guardando. Sposto subito lo sguardo sull'altro cameriere, che mi sorride e mi saluta. Decido di andare a salutare subito le bimbe, così mi avvicino al tavolo e poso la borsa su una sedia libera.

"Buonasera donzelle." sorrido alle mie amiche. Un "ciao" di gruppo mi accoglie, e appena mi volto per andare a ordinare il caffè le ragazze iniziano di nuovo a discutere su qualche argomento. 

"Un caffè macchiato, per favore". Menomale che a servirmi non c'è Lorenzo, attualmente impegnato a fare un cocktail a un cliente, sarebbe sicuramente stato imbarazzante e sarei sicuramente arrossita per niente. Sbuffo soprappensiero, scaldandomi le mani infreddolite dal vento dopo il tragitto in motorino. Sposto lo sguardo verso Lorenzo, e lo osservo mentre finisce di fare un Aperol Spritz a una signora alta e magra. Ovviamente non sta sorridendo, la sua espressione è seria, e non di certo perché è concentrato. Non mi ha neanche salutato quando sono entrata, figuriamoci se è educato con gli altri. Ha scelto decisamente un lavoro poco adatto al suo carattere. Il suo collega mi porge la tazzina del caffè fumante, lo ringrazio sorridendo e mi avvio al tavolo delle bimbe. Non ho neanche il tempo di sedermi che vengo bombardata di domande.

"Iside, secondo te una donna si deve depilare per forza o no?" mi chiede Elena, con un tono un po' irritato.

"Non hai capito nulla Elena, come al solito!" Carolina alza il tono della voce e inizia a spiegare il suo punto di vista. Una scena simile fa parte ormai di ogni nostra uscita ordinaria tutte insieme: siamo sempre abituate a confrontarci, anche su argomenti tabù, e spesso nascono discussioni interessanti nelle quali tutte urliamo e nessuna capisce ciò che dice l'amica accanto a lei. Quando questo succede in luoghi pubblici, io sono quella incaricata di far abbassare il tono di voce a tutte quando raggiunge un livello troppo alto.

"Caro, stai urlando." mi limito a dire, mentre sorseggio il caffè. Passiamo un'ora buona a parlare di peli e, probabilmente senza che nessuna se ne renda conto, nel bar rimaniamo praticamente solo noi. Sono le 20:10, e siamo tutte tremendamente in ritardo per la cena. Avvisiamo nello stesso momento i genitori e decidiamo di rimanere a fare un aperitivo, giusto per concludere la serata con un po' di alcol come sempre. Ognuna va a ordinare il proprio cocktail al bancone da Lorenzo, mentre io rimango l'ultima a farlo perché impegnata a discutere coi miei genitori al cellulare. Finita la chiamata, decido di ordinare un bicchiere di prosecco.

"Mi dai un bicchiere di prosecco, per favore?" dico a Lorenzo senza neanche guardarlo negli occhi. Ovviamente non ottengo nessuna risposta e , guardandolo con la coda dell'occhio, noto la sua solita espressione seria. Quando poggia il bicchiere sul banco, si ferma a guardarmi dritto negli occhi. Alzo lo sguardo dallo schermo del cellulare -che mi aiuta sempre ad evitare momenti di disagio- e ricambio la sua occhiata.

"Quanto?" chiedo il prezzo, accennando un sorriso. Non so perché ma mi fa ridere il suo modo di fare, lo trovo buffo.

"Sei euro, grazie." anche sul suo viso si forma un leggero sorriso. Gli porgo i soldi, e mentre aspetto il resto noto che si è allontanato dalla cassa. Quando torna ha un libro in mano, me lo passa senza dire una parola e ci poggia sopra il resto dei soldi.

"Fammi sapere cosa ne pensi." si limita a dire, per poi voltarsi e sparire in una stanzina dietro il bancone.


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