Il giorno in cui tutto si è fermato

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Fatti, luoghi, persone che appaiono in questo racconto sono opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a persone e luoghi realmente esistenti è da considerarsi causale.

h. 8:40

Con andatura veloce, solco un selciato di sampietrini inumidito dalla brina mattutina.

Come sempre conto. Conto i passi per sovrastare i pensieri che si agitano in sottofondo come due stazioni radio sovrapposte, a mischiare concetti diversi.

"Sono fortunata" me lo ripeto ogni giorno, a ogni passo: essere nata nella parte giusta dell'emisfero, concedermi il libero arbitrio sul voler o meno mangiare carne, avere un lavoro a cui recarsi tutti i giorni, averlo così vicino casa da permettermi il lusso di raggiungerlo a piedi, è una fortuna.

Sono fortunata.

Eppure non sono felice.

Arrivo a cento e ricomincio da uno.

Non mi lamento: anche se la mia vita non può certo collocarsi fra le più realizzate, non sto messa peggio di tante altre persone su questo mondo.

Alzo di poco lo sguardo. Lo faccio raramente poiché, dopo, irrompono sempre gli stessi interrogativi. Vedo la gente che, come me, è in cammino per raggiungere la propria destinazione ma chissà se ci pensano mai, se sono consapevoli di quello che stanno facendo o procedono per inerzia; chissà se ogni tanto si fermano, in preda a una sorta di presa di coscienza e si domandano: "Che cosa sto facendo?".

A volte questa domanda mi prende alla sprovvista e sento le gambe cedere, vorrei crollare sulle mie stesse ginocchia, ma me lo impedisco: accasciarsi in mezzo alla strada attirerebbe l'attenzione di persone che poi farebbero domande a cui non sono in grado di rispondere. Allora mi arresto all'improvviso come un'idiota - questa probabilmente è l'impressione che do - mentre un convoglio di vagoni carichi di dubbi mi passa davanti sferragliando, come a un passaggio a livello immaginario.

"Che cosa sto facendo?"

Non ho mai trovato una risposta concreta a questa domanda. Mi limito a ripetermi che sono fortunata. Nonostante tutto.

Sto di nuovo ridondando sui soliti pensieri, mentre la strada scorre lineare sotto i miei piedi.
Vedo della vernice bianca intervallarsi all'asfalto, in quelle che riconosco essere le strisce pedonali che mi separano dall'ultimo tratto di strada per la mia meta. Sono quasi arrivata e non vedo l'ora di immergermi nell'oblio che mi concedono queste otto ore lavorative, ma un forte sdrucciolìo di pneumatici mi ridesta per un attimo.

Capisco cosa sta succedendo ancor prima di poter alzare lo sguardo e averne la conferma: una macchina mi viene addosso veloce, troppo. Le ruote inchiodate a cercare di fermare la sua corsa la fanno solo sbandare a destra e sinistra in un moto quasi ipnotico. È questione di un attimo realizzare quanto quel muso di metallo sia troppo vicino per avere il tempo matematico di fermarsi prima di centrarmi in pieno.

Le gambe mi si paralizzano, potrei fare un balzo laterale: me lo sto ordinando da un lasso di tempo che mi sembra infinito, ma loro non ne vogliono sapere di reagire e gli eventi cominciano a imprimersi nella mia mente come in una moviola. Il cofano della macchina si avvicina a rallentatore, i rumori si attenuano, riesco persino a spostare lo sguardo sull'autista nella vana speranza che la mia espressione implorante lo induca a evitare il peggio, ma è inutile: incrocio uno sguardo più atterrito del mio. Ci scrutiamo negli occhi e d'istinto alzo le mani a proteggermi dall'impatto.

Nulla.

Non succede nulla: la macchina è ferma.

Guardo di nuovo il conducente. È una donna, non l'avevo notato prima. Avrà più o meno la mia età ed è ferma, immobile.

Tutto intorno è calato il silenzio, mi volto verso un paio di signore sul marciapiede a lato, bloccate in un'espressione di sgomento. Perfino un piccione che si era levato in volo, è fermo a mezz'aria con le ali dispiegate.

Appoggio le mani sul cofano di fronte a me in preda a un mezzo mancamento. Il contatto con la lamiera produce un rumore che rimbomba in quell'assenza di suoni.

È come se il tempo si fosse fermato e io sono l'unica che riesce a muoversi.

Il secondo prima di morireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora