I - Affari di corte

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Fra le verdi distese del regno di Kalobrios, si ergeva in tutta la sua bellezza la Reggia di Arintha: desiderata fermamente dal re Nicola Vasilias – ormai deceduto –, aveva richiesto le abilità dei migliori architetti, ingegneri e operai per più di mezzo secolo.

Giardini immensi circondavano il perimetro dell'edificio, statue ellenistiche adornavano le varie fontane dai colori delicati, fra giochi d'acqua incantevoli e oltremodo ipnotici.

Circa cinquecento stanze caratterizzavano l'interno, rendendo la Reggia il più grande palazzo mai costruito fino ad allora: l'agiatezza reale era evidente in ogni piccolo dettaglio che decorasse le varie camere, in un miscuglio di mobili pregiati e quadri degli artisti più famosi del mondo intero.

Il re Filippo Vasilias adorava passeggiare fra i corridoi di quell'edificio sconfinato, di cui aveva preso pieno possesso alla morte del padre, e aveva deciso di lasciare intatto lo scopo per il quale era stato costruito: permettere ai nobili del regno di alloggiare proprio lì, nelle vastissime stanze reali, sotto l'occhio vigile e sempre prudente del sovrano.

Alcune rivolte popolari avevano scosso la stabilità del regno pochi decenni prima, sostenute con determinazione dalla maggior parte dei nobili di allora, e il re Nicola Vasilias aveva faticato non poco a riportare la pace fra tutti i suoi sudditi.

Rendendosi quindi conto dei rischi appena corsi, aveva cercato un modo per ridurre drasticamente la possibilità che potessero nascere delle nuove ribellioni, finché la soluzione non gli era apparsa davanti agli occhi: impedire alle famiglie nobili di dare man forte alle classi più povere, anche a costo di offrire loro vitto e alloggio e di esentarle dalle tasse reali.

La Reggia di Arintha era, perciò, diventata una sorte di prigione dorata, di una bellezza tale da accecare i propri ospiti e far loro dimenticare tutti i problemi sorti in passato.

Il conte di Calidus si inchinò formalmente al cospetto del sovrano, riportandolo di colpo al presente: un sorriso altezzoso si formò fra le sue labbra sottili, un gesto di semplice cortesia dai risvolti leggermente ambigui e misteriosi, ma che non sfuggirono all'attenzione del re.

Prima che potesse ipotizzare dei possibili motivi che riuscissero a spiegare il suo atteggiamento così insolito, due guardie reale gli si avvicinarono con uno sguardo allarmato, una paura che però stonava con la loro notevole altezza.

"Sire, il barone e la baronessa di Tropeas sono deceduti", esordì il più robusto, dopo le dovute riverenze. "I loro corpi sono stati appena rinvenuti nelle loro camere dalla servitù".

Filippo fece caso solo in parte alla totale assenza di incredulità da parte del conte di Calidus, occupato com'era a cercare di mettere insieme tutte quelle parole appena udite.

Negli ultimi anni, tantissimi nobili erano morti sotto il tetto della sua Reggia: sembrava quasi che una presenza malvagia e sovrannaturale si fosse accanita sull'edificio reale, sotto lo sgomento dei medici che non riuscivano a dare un senso a tali avvenimenti.

Eppure, i decessi si erano improvvisamente fermati pochi mesi prima, tranquillizzando conseguentemente il sovrano e tutti i suoi sudditi.

Fino a quel momento.

"Convocate il Cardinale Domenico", ordinò quindi Filippo, decidendo di affidarsi alla fede per un puro istinto di sopravvivenza. "Qualsiasi demonio si aggiri all'interno della mia Reggia deve essere fermato".

Le due guardie si inchinarono al suo cospetto e si affrettarono ad obbedire, lasciando Filippo in compagnia dell'austero conte di Calidus.

"Con tutto il rispetto, Sire, credo che Sua Eminenza possa fare ben poco", gli disse il conte, non appena furono rimasti da soli.

Excelsior: Lo Specchio d'ArgentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora