VI - Sacro e profano

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Gli animi dei nobili iniziarono a scaldarsi nuovamente, in seguito all'incredibile numero di decessi verificatisi nell'ultimo periodo: ricominciò a girare – con sempre più insistenza – la voce riguardante una possibile maledizione scagliata sulla Reggia di Arintha.

Filippo non si sorprese, infatti, quando decine e decine di sudditi rivendicarono il loro diritto di poter tornare nelle proprie abitazioni, così da riuscire a scappare da quel palazzo apparentemente nefasto.

Decise di rassegnarsi al loro legittimo volere e gli concesse di andare ovunque essi stessi desiderassero, promettendo di trovare – il prima possibile – una soluzione che potesse scacciare definitivamente quella sorta di incomprensibile sfortuna.

Pur di non dare nell'occhio – cosa che sarebbe successa se fosse rimasta nella Reggia –, Eleonora seguì l'esempio della maggior parte dei nobili e viaggiò in direzione di Tropeas.

La sua permanenza sarebbe terminata quando l'avesse ritenuto più opportuno, in modo da far calmare le acque e permettere ai vari sudditi di tornare conseguentemente ad Arintha.

Ne avrebbe anche approfittato per approfondire la questione dello specchio argentato, poiché la sua baronia era stata proprio il luogo nel quale la famosa leggenda era nata, lontana da occhi indiscreti e fin troppo curiosi.

Gli abitanti di Tropeas rimasero letteralmente senza parole, quando la videro scendere dalla propria carrozza sfoggiando tutta la sua bellezza appena fiorita.

Francesca ricominciò a riempirla di complimenti sinceri e spontanei, al punto che Eleonora stessa smise di far caso a tutte quelle attenzioni inusuali.

Il suo splendore era evidente, innegabile sotto ogni punto di vista.

Trascorreva intere giornate ad ammirare la propria immagine negli specchi del palazzo, prestando però la massima attenzione nel non sfiorare neanche per sbaglio quello argentato: temeva che, così facendo, avrebbe condannato a morte gli abitanti di Tropeas e non aveva intenzione alcuna di sfogare la sua sete di vendetta nei confronti di chi – fin da quando era bambina – le aveva sempre mostrato il proprio smisurato affetto.

Adorava danzare nelle sue stanze indossando abiti preziosi e gioielli scintillanti, fingendo di essere la regina di Kalobrios e di avere il controllo sul regno intero.

I suoi lunghi e setosi capelli castani ondeggiavano con un'eleganza sopraffina, mentre lei volteggiava per ore con fare altezzoso; i vestiti vaporosi sfioravano il pavimento con estrema leggerezza – mettendo in risalto le curve perfette del suo corpo sinuoso – e splendidi sorrisi le si formavano fra le labbra carnose quando, involontariamente o meno, le capitava di passare davanti ad una superficie riflettente.

Ma la vanità era un lusso che non poteva concedersi per tutta la permanenza a Tropeas, aveva ben altre cose più importanti a cui pensare.

Il libro dedicato alle rose della baronia, seppur citasse anche la leggenda dello specchio argentato, non menzionava il luogo di provenienza dell'anziana donna che l'aveva costruito.

Eleonora era desiderosa di scoprire altri particolari su quel racconto così veritiero, pertanto sperava di trovare ciò di cui avesse bisogno nello stesso luogo in cui lo specchio era stato generato.

Cominciò perfino a passeggiare sulla riva del mare, godendosi il tramonto di cui tanto aveva sentito la mancanza, e spesso si chiedeva in quale parte della spiaggia avesse approdato la nave del noto marinaio, in quale posto avesse incontrato l'antica baronessa, in quale punto preciso l'avesse poi abbandonata.

Excelsior: Lo Specchio d'ArgentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora