38: Shift

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È il silenzio dell'aria che non è più appesantita dalla pioggia che ti sveglia dal tuo sonno. Spostandoti, sbadigli assonnata e apri gli occhi, stringendoli contro i raggi del Sole che si infilzano come pugnali dalle finestre.

Mentre  ti alzi, senti i muscoli del tuo collo e della tua schiena protestare  per essere stati seduti troppo a lungo. Facendo un po' di smorfie, allunghi il collo e imponi ai tuoi occhi di aprirsi completamente contro  la luce del Sole.

E cadi quasi dal letto.

Occhi neri da cerbiatto sono chiaramente aperti e ti guardano dal basso attraverso uno gli occhi socchiusi. Il corpo lungo di Jungkook è intrappolato al letto da un tuo braccio gettato sopra il suo petto, i  suoi setosi capelli neri ancora sparsi sul tuo grembo.

Quelle affascinanti labbra irregolari sono contorte  in una forma che dice di essere mezzo curioso di come sia finito in questa situazione, e mezzo arrabbiato che tu glielo abbia lasciato fare.

In realtà, c'è probabilmente un po' più rabbia che curiosità.

Sfortunatamente.

"Buongiorno" dice Jungkook in una voce roca  mattutina, secca e non entusiasta. "Ti dispiacerebbe spiegarmi perché sono sulle tue gambe?"

Interdetta per lo shock, ti passa per la mente che l'uomo che ha perso la testa la scorsa notte potrebbe non ricordarsi un singolo secondo di ciò che è accaduto.

Non lo sa.

Non hai mai pensato che potrebbe esserci tanto disordine nascosto nel retro del suo cervello che quando sta piovendo, prende completamente il controllo sulla sua coscienza. È come se Jungkook fosse stato posseduto assolutamente e totalmente dalla sfortuna della sua vita.

Senti che glielo dovresti dire, solo perché così capisce che avresti potuto vedere un po' e sapere un po' di lui che non avrebbe  realmente voluto tu sapessi.

"Ha piovuto ieri notte" dici, tutto ciò che riesci  a pensare come spiegazione. "Sei solito parlare nel sonno? E comportarti completamente conscio quando in realtà non lo sei?"

La realizzazione luccica negl'occhi di Jungkook.

Il suo viso diventa pallido.

Aspetti che si ritiri da te, che rotoli giù dal letto e che se ne vada in un tentativo di riorganizzarsi, spiegando attraverso rabbia e rigetto gli eventi della scorsa notte in un tentativo maldestro di non farti  prendere atto di ciò che hai visto.

Ti aspetti che faccia del suo meglio per scappare da te.

Ma non lo fa.

Invece, ti abbatte quasi con sconcerto quando si gira verso di te per nascondere la faccia, seppellendo le sue emozioni nel tuo stomaco e stringendo il materiale della tua camicia in un pugno chiuso.

È talmente opposto al solito muro sarcastico e  altezzoso che innalza, e nonostante in qualsiasi altro giorno lo avresti  sfidato per essere sdolcinato, si sente troppo fragile in questo momento per persino provare a fare dei commenti spiritosi.

Tutto ciò che fai è lasciare che le tue dita cadano per pettinare le sue  lussuriose ciocche di capelli color notte. Aspetti solo che si riprenda, aspetti che prenda il comando e parli per primo.

È normalmente facile leggere le emozioni nei buchi e spazi di rumori che colmano il silenzio.

Una nuvola di furia, una nebbia fantasma di tristezza, o la gentile luce calda di gratitudine; quelle sono facili da leggere. Questo silenzio...

È così difficile da leggere.

Riesci a cogliere minuscoli visioni e indizi mentre si spostano e si muovono attraverso la pesantezza torbida del silenzio. Riesci a sentire un po' di imbarazzo, un bagliore di rabbia, e forse persino l'accenno più crudo e succinto di quella calorosa gratitudine.

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