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Conobbi Jordie che avevo sei anni.
Eravamo al parco di West Hill, la parte occidentale della collina dove si ergeva la piccola cittadina di Timney Broke.
Mio fratello stava giocando con le macchinine da guerra, io fingevo di essere nella foresta proibita di Hogwarts.
Jordie ci fissava da lontano con uno sguardo indecifrabile per una bimba piccola com'ero io. Avevo gli occhi di chi ragionava come gli adulti e la postura anche, seduto con le gambe accavallate e con il gomito poggiato sul ginocchio e i palmi a sostenergli il mento, era proprio quella di uno dei signori che leggevano il giornale sulle panchine poco più in là.
Con l'unica differenza che sedeva sul tronco tagliato di un vecchio albero e non leggeva il giornale perché ancora non era capace di farlo.
Mio fratello, vedendolo lì, così fermo a non fare nulla, gli chiese se voleva giocare con noi. Io e mio fratello Daniele eravamo gemelli e di soliti ci facevamo gli stessi amici, in quel periodo però ci eravamo trasferiti in Inghilterra da poco e non ne avevamo ancora nessuno.
Jordie aveva scosso la testa «Con te no».
«Perché no?» Daniele già da piccolo tendeva a prendere le cose sul personale.
«Perché giochi a fare la guerra e mia mamma mi ha insegnato che è sbagliato».
«Ma è un gioco, tutti i bambini lo fanno».
«Lei no» e mi guardò, sbattendo i suoi grandi occhi grigi un paio di volte.
Mi ricordo di essere arrossita. «È che a me piace di più il Fantasy, ma la guerra c'è anche lì».
Jordie sospirò, «La guerra è ovunque» e si incurvò tutto come se stesse pensando a qualcosa di doloroso, come se avesse partecipato a una guerra e l'avesse vissuta sulla sua stessa pelle.
Alla fine giocammo a fare i pirati, perché convenimmo tutti che i pirati secondo come li ritraeva la Disney erano l'emblema dell'avventura, della libertà ma anche dell'eroismo.
La sera lo venne a prendere suo padre, Robert, un uomo alto e smilzo da cui aveva ereditato lo sguardo intenso e intelligente. Il signor Thomas aveva un paio di baffoni neri che gli coprivano il labbro superiore e gli solleticavano la punta del naso adunco.
Io un padre non ce lo avevo mai avuto, ma pensai che sarebbe stato divertente se avesse avuto anche lui i baffi.
I giorni seguenti Jordie al parco non c'era ed io e mio fratello giocammo con altri bambini, di cui non conoscevamo i nomi e di cui ci dimenticammo non appena varcammo la soglia di casa.
La domenica rivedemmo Jordie, che questa volta aveva portato un foglio di carta ingiallita e una penna. «Ho preparato per voi una caccia al tesoro!» aveva detto.
Giocammo tutto il giorno, finché, di nuovo, suo padre non venne a prenderlo.
Quando tornammo a casa raccontammo alla nonna di lui.
Mia nonna era molto giovane per l'età media di una nonna comune, aveva quarantaquattro anni e solo una ciocca di capelli bianca a coprire la fronte spaziosa. Aveva avuto mia mamma a ventidue anni, e lei, poi, aveva avuto noi a sedici.
Mia madre era morta da quattro anni e non l'avevamo mai conosciuta, ma da quel che ci era stato detto e che avevamo visto da vecchie foto dedussi assomigliasse molto al nonno, anche lei mora, anche lei dalla carnagione scura e gli occhi neri.
«Jordie?» chiese nonna Cinzia, «Il bambino con cui avete giocato, ragazzi miei, è Jordan Thimas, il nipote del miliardario Thomas».
Il nonno aveva drizzato l'orecchio non appena la parola "miliardario" gli aveva sfiorato le orecchie. «Thomas? Ah! Conosco il padre» disse, «Ha dovuto rinunciare a tutta la sua eredità per sposare la moglie. Questi ricconi non sanno proprio come si deve vivere la vita» e scosse la testa.
Mio fratello gli si sedette sulle ginocchia. «Fece come il mio, di papà?»
La nonna ci aveva raccontato che nostro padre era stato una stella cadente, che, scendendo dal cielo, si era innamorato perdutamente di nostra madre e si era fatto uomo per poterla conoscere. Secondo la storia di mia nonna, le stelle cadenti restavano in vita un giorno solo dopo essere giunte in terra e poi morivano. Nostro padre aveva deciso di sacrificare la propria vita per amore. Era l'eroe di mio fratello.
Crescendo mio nonno prese facilmente il suo posto, anche perché a questa sua domanda si astenne dal rispondere, senza accrescere fantasie destinare a sbiadire con il tempo come invece tendeva a fare mia nonna.
Jordie e Daniele divennero ben presto migliori amici frequentando lo stesso campetto di calcio, lasciandomi un po' indietro sotto molti aspetti. Jordie non parlava molto con me, preferiva rivolgersi sempre per primo a mio fratello, e la cosa mi infastidiva. Quando iniziò la scuola io e Daniele stringemmo amicizia con altri bambini, ma lui e Jordie continuarono a giocare insieme mentre io trascorrevo le mie giornate con Sam e Chris.
Sam aveva un anno in meno di me e aveva iniziato prima la scuola perché era molto veloce ad apprendere, Chris invece ne aveva uno in più perché aveva perso un anno trasferendosi dalla Cina senza conoscere una parola d'inglese. Il suo nome, infatti, era la traduzione più semplice del suo vero nome cinese, che a suo dire era impossibile da pronunciare per un europeo.
Sam era la prima amica che avessi mai avuto, con tanto di comportamenti femminili ed interessi da ragazza. Fu lei a farmi conoscere le winx e i trucchi finti.
Chris invece amava le arti marziali e i videogiochi e mi riempiva i quaderni di sharingan e maldestri disegni di pokemon.
Chris e Sam e Daniele non andavano d'accordo. Sam e Daniele soprattutto litigavano spesso.
Sapevo già che Daniele la punzecchiava solo perché Sam era molto carina, con quei suoi bei capelli lunghi e biondi e i vestitini rosa, ma non potendo certo tradire mio fratello finii piuttosto per allontanarlo, smettendo di uscire con lui e Jordie, cosa che per quest'ultimo iniziai a credere fosse stata solo che un piacere.
Daniele inoltre si fece amicizie differenti, trovando più simpatico l'umorismo di Gale, un bulletto vestito bene con dei denti da cavallo, e di Owen, che invece si vestiva male ma era il più carino della classe. Trovai la loro amicizia bizzarra, giacché i due amavano più di ogni cosa prendere in giro Rodrigo Fernandez per il suo peso sopra la norma, chiamandolo "ciccio-bomba" ed altre cose poco carine, quando Jordie stesso a sei anni era sovrappeso e non poco.
Notai infatti che Daniele evitava il più possibile di uscire con tutti e tre allo stesso tempo, forse per timore che anche l'amico venisse preso di mira, o forse per non far brutta figura con i compagni di classe.
Sta di fatto che io e mio fratello non facemmo più parte dello stesso gruppo di amici e di conseguenza iniziammo a passare meno tempo insieme.
I nostri compleanni li festeggiavamo separati ed era più il tempo che restavamo chiusi nelle nostre rispettive camere che quello che trascorrevamo assieme.
Una mattina, a nove anni, le scuole restarono chiuse per neve. Ricordo di essermi messa in salone a leggere perché volevo vedere il campanile della chiesa tinto di bianco. Mio fratello era uscito dalla sua camera con una certa urgenza, stringendo tra le mani la slitta e vestito di tutto punto per scalare l'Everest. Si era fermato davanti alla porta di casa, vedendomi, e aveva aperto la bocca, quasi a volermi chiedere di venire con lui. Era rimasto fermo per un po' senza dire nulla.
Io mi ero alzata dal divano, scalza, e gli ero venuta incontro. Ero più alta di lui di almeno cinque centimetri e gli sconosciuti credevano sempre che fossi sua sorella maggiore.
A quella distanza, in quel momento, mi ci sentii un po', più grande, e gli chiusi per bene il cappotto, tirandogli la chiusura lampo su fino a sfiorargli il mento.
«Fai attenzione che fa freddo» gli dissi e tornai a sedermi e leggere il mio libro.
Le nostre giornate divennero più o meno tutte così e finimmo per fissare un giorno fisso da trascorrere solo noi due, ovvero la domenica, quando la sera con i nonni compravamo la pizza, guardavamo un film e la notte finivamo per dormire nella stessa stanza e raccontarci le cose importanti della settimana.

A dodici anni Daniele divenne più alto di me di sette centimetri e la sua voce divenne rauca e sfalsata, salendo e scendendo come una chitarra scordata. Il calcio gli aveva regalato un metabolismo molto veloce e braccia e gambe muscolose, con tanto di addominali sulla pancia. Il suo amico Gale rimase basso e tozzo con i denti da cavallo, mentre il viso di Owen si fece più squadrato e anche il suo corpo crebbe a dismisura, tanto che incrociandolo per strada lo si poteva credere facilmente un sedicenne.
Quello fu l'anno in cui rividi Jordie dopo tanto che non lo avevo più incontrato. Daniele non lo invitava spesso a casa, forse perché l'amico stesso non poteva o forse perché s'imbarazzava a presentarlo alla nonna. Comunque fosse, quel giorno tornò a casa un'ora più tardi e quando entrò in salotto al suo seguito c'era un ragazzino smilzo dagli occhi vispi e indagatori.
«Nonna, Jordie. Jordie, mia nonna» presentò Daniele, tutto denti. Io ero seduta sul divano, avevo alzato lo sguardo e il mio sguardo si era intrecciato al suo. Era diventato la metà di quello che era una volta.
Mi sembrava più brutto, però, a dir la verità, giacché i lineamenti del suo viso erano tutto angoli e sporgenze e pareva quasi di poterlo spezzare con un soffio.
«Ciao» salutò, senza un sorriso né un altro cenno emotivo, e constatai non fosse cambiato di una virgola a livello caratteriale. Gli feci un cenno del capo e continuai a leggere.
«Vuoi una tazza di tè, tesoro?» gli chiese mia nonna. Jordie scosse la testa e Daniele le disse che erano venuti a casa per studiare.
«Mi aiuti, Lia?» mi chiese mio fratello, porgendomi il suo libro di grammatica, pieno di orecchie e scarabocchi.
«Non c'è bisogno» disse Jordie, «Ti aiuto io».
«Sul serio?»
Jordie aiutò mio fratello a studiare tutti i giorni da allora. Mi sentii tradita e il mio già presente disprezzo per quel ragazzino che conoscevo a malapena crebbe verticalmente.
Una delle uniche parti della giornata che ancora condividevo con mio fratello era proprio quella dello studio, ma Jordie mi aveva portato via anche quella.
Un pomeriggio ero in cucina a fare matematica mentre loro se ne stavano insieme a fare storia in salone, in compagnia anche di Gale, che però continuava a distrarre mio fratello con battute e chiacchiere da quattro soldi.
Jordie la pensava probabilmente come me sul suo conto e a un certo punto si era alzato ed era venuto in cucina, con la scusa di dover bere. Supposi fosse una falsa motivazione perché non si alzava mai nelle ore di studio ed era sempre molto silenzioso e diligente se bisognava fare il proprio dovere.
Io feci finta di nulla quando mi passò accanto, ma lui si sedette alla mia destra ed iniziò ad osservarmi.
«Che c'è?» gli chiesi, spazientita.
«Cosa studi?»
«Matematica».
«Ti posso aiutare?»
«No».
«Okay».
Pur non insistendo continuò a guardarmi studiare, finché mio fratello non venne a recuperarlo e, comprendendo che forse Gale e Jordie non sarebbero mai stati capaci di essere migliori amici, decise di non ripetere più lo stesso sbaglio.

Tre Passi DistantiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora