Guts over fear

91 8 0
                                    

"Nella nostra terra tutte le stagioni si susseguono in un giorno solo: puoi bagnarti di pioggia al mattino e, la sera vedere il più limpido dei tramonti".

LOUIS POV.

Ogni viaggio è  un percorso di metamorfosi che si compie tra demoni sotterranei e ambizioni metafisiche, nell’inquietante mondo della nostra coscienza scissa e tormentata, come ne "La fine del mondo e il Paese delle meraviglie", fino all’incontro vero e pacificante con la propria individualità.

Ma affinché accada, è necessaria una particolare condizione di apertura e disponibilità al nuovo e al nulla, la capacità di lasciare accadere.

Ma come potevo far si che qualcosa accadesse se ero io il primo ostacolo in un qualsiasi viaggio?

Dovevo cambiare atteggiamento, punto di vista, rimodellare la mia concezione di vita.

In questa predisposizione al lasciare fluire gli accadimenti, se pure balordi e incomprensibili, la solitudine è mia compagna taciturna e benevola  anche quando diventa eco di una mancanza o, ancor  più,   grido  di consapevolezza per l’ineluttabilità di un destino. In questa consapevolezza piuttosto ci leggevo una profonda accettazione, sottomessa agli eventi.

Ormai ero abituato a questo supplizio.

La mia sofferenza faceva da anni parte di me, ma per quanto cercassi di alienare il fantasma del passato che viveva silenzioso e taciturno nel mio cuore, quella donna continuava a mancarmi.

Era l'unica al mondo che mi avesse mai mostrato affetto, a parte quello dettato da una amicizia con Zayn a cui ero davvero molto grato.

Mia madre era l'unica persona che mi avesse mai davvero amato eppure se n'era andata ingiustamente, trasportata via da una corrente del destino.

Un incidente stradale me l'aveva rubata via lasciandomi solo con il mio dolore e un padre che non mi accettava affatto, altrettanto ingiustamente. Cosa avevo mai fatto per meritare così tanto odio da una persona che, invece, avrebbe dovuto amarmi incondizionatamente, consolarmi la sera quando i ricordi di quella notte buia e dolorosa bussavano prepotenti o semplicemente stringermi tra le sue braccia protettrici e scacciare via immagini rudi e spaventose, tinte rosso sangue ?

Forse gliela ricordavo.

Ma non assomigliavo a nessuno dei due.

E allora perché?

Forse la mia sola presenza gli ricordavano i momenti in cui mamma era ancora qui con noi.

Lui era andato avanti.

Una nuova casa, una nuova donna, nuovi figli, una nuova famiglia.

Di cui ovviamente non avrei mai fatto parte.

Per lui ero un peso, un mattone sulle spalle da dover sostenere per puro senso di compassione, in fondo, per quanto mi disprezzasse, non avrebbe mai rischiato di sembrare un completo mostro davanti ad una possibile compagna.

Gli ero stato utile a fare buon viso a cattivo gioco, ad essere cordiale con la sua fidanzata finché anche lei si era spesa al non volermi nemmeno conoscere.

Mi compativa come farebbe un riccone sfondato davanti ad un barbone ubriaco: aveva pietà di me, ma preferiva tenere le distanze, come se avessi potuto in qualche modo contagiarle il mio dolore e la mia perenne malinconia.
Meglio prevenire che curare, ancora.

A volte mi capitava di chiamarla 'mamma' e mi odiavo per questo perché significava paragonare una sconosciuta all'unico essere vivente di cui avessi mai avuto bisogno, ma me la ricordava in modo mostruoso ogni qualvolta abbracciava nelle sue strette materne una delle gemelle o i nuovi arrivati, Ernest e Doris.

la città degli angeliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora