epilogo

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Uscì dalla stanza come un razzo, ma la folla di persone della servitù lo avvolse, rendendo difficile ogni movimento. C'era chi urlava, chi piangeva, chi cercava una qualche via d'uscita, ma la consapevolezza che tutto sarebbe finito in pochi istanti li rendeva dolore fatto in carne e ossa.
Wyatt cercò di non arrendersi però. Conosceva il Palazzo come le sue tasche e avrebbe trovato una soluzione. Ma la cosa da fare prima di tutto era trovare Jaeden e portarlo in salvo. Notò che nessun soldato era in quella folla, erano tutti all'entrata a cercare di bloccare l'avanzata dei rossi.
Passavano i minuti, ma di Jaeden nessuna traccia. L'ansia stava iniziando a impossessarsi di nuovo di lui, la sua mente diventava poco lucida, stava letteralmente impazzendo al pensiero che gli avessero fatto del male. Sentì ancora urlare, colpi di pistola e pianti silenziosi di donne del Palazzo che avevano perso ogni speranza, abbracciando per l'ultima volta il proprio figlio e rimpiangendo di essere nate in Russia.
A Wyatt mancò l'aria mentre vagava per quelle stanze. Si appoggiò al muro, cercando di riprendere le forze, mentre le lacrime gli rigavano il volto e nella sua mente comparivano le peggiori immagini: non riusciva neanche a pensare che avessero già preso Jaeden, non riusciva neanche a pensare che l'avessero.. Gemette dal dolore, aprendo gli occhi e continuando la sua ricerca. Lo chiamò a voce alta, urlò il suo nome, lo invocò sperando di ricevere una qualche forma di risposta, ma non c'era nessuno a gridare "Wyatt", non c'era nessuno.
Ma poi lo vide e fu come respirare, come uscire dall'acqua dopo essere quasi annegati, come toccare terra dopo essersi lanciati nel vuoto senza sfracellarsi. Era lì davanti a sé, in un corridoio affollato in cerca di spazio per passare.
I loro sguardi si incrociarono e nessun quadro aveva i colori più belli di quell'azzurro e di quel verde mescolati insieme con una sfumatura di speranza.
"Wyatt!" urlò più forte che poté Jaeden, spingendo persone e liberando la strada verso il soldato.
Wyatt fece lo stesso, piangendo ancora e ancora, fino a quando non riuscì a prendere la mano dell'altro, in una scossa elettrica mai sentita prima d'allora. Avrebbe voluto abbracciarlo e dirgli che ce l'avrebbero fatta, ma non c'era tempo, così fu costretto a distogliere lo sguardo dal volto del pianista e stringere la sua mano così forte da farla diventare più bianca del normale, per poi trascinarlo correndo verso una probabile uscita.
Corsero per un tempo infinito in quel Palazzo. Sentivano che i rossi stavano avanzando, che le guardie non avrebbero resistito per molto e quindi dovevano sbrigarsi. "Di qua." gridò Wyatt, svoltando improvvisamente ad un vincolo che, però, si rivelò cieco. "Maledizione." imprecò ancora, mordendosi un labbro senza però darsi per vinto. Tornarono indietro, continuando quel lungo corridoio che terminava con una scalinata. Scesero velocemente, rischiando più volte di inciampare, mano nella mano sarebbero crollati tutti e due.
Ma era così che ormai funzionava, o nessuno o entrambi. Erano diventati una sola persona, se uno dei due non c'era, l'altro non respirava.
"Wyatt." chiamò Jaeden, in quella che sembrava un gemito di dolore piuttosto che una richiesta. Il soldato non si voltò verso di lui, ma iniziò a sfregare il pollice contro il dorso della mano del pianista, per farlo calmare e per dirgli che era al sicuro.
Ma ormai di sicuro non c'era più niente.
Arrivarono nei sotterranei del Palazzo, luoghi bui e impolverati probabilmente mai utilizzati. Jaeden tremò per il freddo che regnava in quelle stanze, ma continuò a correre seguendo il passo del soldato, che sembrava conoscere bene le strade.
"Dove stiamo andando Wyatt?" chiese con fatica per il fiato che mancava, sia per la corsa, sia per la paura.
"Dovrebbe esserci una stanza con un passaggio che porta fuori." spiegò il soldato, guardandosi intorno tentando di ricordarsi quale fosse la porta giusta.
Poi un sospiro di sollievo: l'aveva trovata.
Si voltò verso Jaeden, con gli occhi che brillavano, facendogli capire che l'uscita era in quella stanza, davanti alla quale si erano fermati.
Aprì la porta della stanza, piccola e angusta, con qualche vecchio mobile probabilmente intaccato dalle tarme. Sentirono passi scendere dalle scale su cui erano passati: l'avanzata era vicina, le guardie avevano ceduto. Wyatt si fece coraggio e entrò nella stanza, trascinando Jaeden con sé e chiudendo la porta. La poca luce che filtrava permetteva di individuare la porta del passaggio di cui Wyatt si ricordava. L'aveva scoperto l'anno prima, quando una notte annoiato e senza sonno, aveva vagato nel Palazzo in cerca di una stanza per lui e Jaeden. Si avvicinò a quella porticina, girandone la maniglia con ansia, mentre il pianista dietro di lui fremeva perché nonostante tutto avevano trovato la via d'uscita.
Wyatt riuscì addirittura a sorridere, mentre tirava verso di sé la porta.
Un sorriso che durò esattamente un secondo.
Un secondo in musica è un'unità fondamentale. In un secondo puoi riprodurre più di una nota. Puoi inserire una pausa, oppure iniziare una nuova battuta. Puoi inserire un inizio di scala o di un arpeggio, oppure puoi semplicemente metterti davanti al metronomo e ascoltare il ticchettio. Un solo ticchettio in un secondo.
Un secondo nella vita è un'unità fondamentale. In un secondo puoi baciare il tuo ragazzo a fior di labbra, puoi sfiorargli la guancia oppure puoi anche farlo ridere. Un secondo può essere riempito con un sorriso o con un gemito di piacere, con un "Ti amo" detto all'improvviso o con l'inizio di una citazione di Tolstoj. Un secondo può essere anche il passo dell'armata nemica che avanzava. Un secondo può essere la consapevolezza della fine, che tutto era perduto.
In un secondo ci si può anche rendere conto che il passaggio segreto visto un anno prima e in cui tanto speravi era stato murato.
Un solo battito di cuore in un secondo.
Poi il nulla.
Wyatt si voltò verso Jaeden, dopo essersi reso conto che era tutto finito. Lo superò velocemente, spostando davanti la porta un vecchio comò mal ridotto, cercando per quanto era possibile di ritardare l'arrivo dei rossi.
Jaeden era rimasto nella sua posizione, aveva chiuso gli occhi e aveva rivolto il suo pensiero alla sua famiglia. Mentalmente aveva detto addio ai suoi fratello, ricordandosi dei loro sorrisi e dei loro abbracci. Aveva detto addio anche a sua madre, la donna più importante della sua vita, sperando che non soffrisse troppo per la perdita di un figlio. Pregò un dio che forse non esisteva e che li aveva destinati alla morte affinché la sua famiglia fosse in salvo.
Wyatt intanto aveva teso l'orecchio verso la porta della stanza, cercando di sentire dove erano arrivati i nemici. Ed erano più vicini di quanto pensasse.
L'unica cosa che gli rimase da fare, perciò, era voltarsi vero l'amore della sua vita e baciarlo per l'ultima volta. Fu un bacio devastante che presto iniziò ad avere il gusto amaro delle lacrime, di gemiti di dolore e di speranze perdute.
Le loro lingue stavano vorticando in una pericolosa danza della morte.
"L'amore impedisce la morte. L'amore è vita." pronunciò Wyatt, non appena di staccò da quel bacio costruito sulla sofferenza.
"Tutto, tutto ciò che io capisco, lo capisco solamente perché amo." aveva continuato Jaeden, citando forse per l'ultima volta il loro amato Tolstoj, che in qualche modo li aveva uniti. O forse, si sarebbero ritrovati comunque, in un'altra vita senza guerra, senza fobie, senza nulla che potesse separarli.
"È solo questo che tiene insieme tutto quanto." concluse Wyatt, abbracciando l'altro e aspettando la loro fine.
Non ebbero bisogno di dirsi altro. I loro sguardi, incastrati l'uno dentro l'altro, parlavano per loro.
Lo sguardo verde ringraziò quello azzurro per aver guarito le ferite di guerra, per avergli fatto conoscere un mondo bellissimo, per avergli permesso di farsi amare.
Lo sguardo azzurro ringraziò quello verde per avergli insegnato ad amare, per averlo fatto innamorare e per averlo salvato da sé stesso e dalle sue paure.
Poi una spinta contro la porta: qualcuno stava cercando di entrare.
Jaeden sorrise a Wyatt.
Wyatt sorrise a Jaeden.
Non si pentirono di nulla. Tutte le scelte prese aveva portato le loro strade ad unirsi, per questo non avevano alcun rimpianto o rimorso.
Andava bene loro così, andava bene anche morire. Purché lo facessero insieme.
Un'altra spinta contro la porta: questa volta il comò dalle gambe troppo logore per far forza, si spostò di qualche centimetro.
Wyatt però aveva voglia di fare un'ultima cosa, prima di cadere in balia dei nemici. Voleva toccargli la guancia. Era così che aveva iniziato ad amarlo per la prima volta. Perché sì, si era già innamorato del pianista al loro primo incontro e poi anche al secondo e al terzo. Più passavano i giorni, più Wyatt si innamorava di Jaeden.
Così, con la mano leggermente tremante, appoggiò le dita sulle guance bagnate del pianista, salutandolo in questo modo.
Gli disse addio proprio come gli aveva detto ciao, all'inizio di quella che sarà per sempre la più bella storia d'amore.
L'ultima spinta contro la porta: il tonfo del vecchio mobile che aveva ceduto.
I cuori di Jaeden e Wyatt batterono per l'ultima volta.
In sincronia.

Le lacrime di Finn scendevano copiose, bagnando tutta la felpa di Ed che lo aveva abbracciato vedendolo in quello stato disastroso. Il giovane si era commosso per la storia appena raccontata, lui, il piccolo Finn che non piangeva mai per nulla.
Ed si era intenerito quella vista, così lo aveva stretto forte a sé cercando di consolarlo con qualche parola di conforto.
Dopo qualche minuto, Finn riuscì a riprendersi, scusandosi per la felpa bagnata.
"Dovevi avvertirmi all'inizio che sarebbe finita così male." disse, mollando un pugno sulla spalla del rosso che sussultò per il dolore. "La prossima volta non ti racconto niente, stai tranquillo!" rispose col braccio sofferente, fingendosi arrabbiato.
"Come hai fatto ad avere questa sinfonia allora? I fogli erano rimasti nella stanza di Jaeden e Wyatt." aveva chiesto curioso il corvino, con la fronte corrugata.
"Si vede che qualcuno ha avuto il buon senso di recuperarli e tramandarli ai posteri."
"Ma tu come la sai allora questa storia? Non è che te la sai inventata di sana pianta?" lo accusò Finn, imbronciandosi e incrociando le braccia.
"Vai a casa Wolfhard, si è fatto tardi."
Finn sbuffò, guardando l'orologio: si era fatto davvero molto tardi, così senza neanche pensarci più di tanto scappò via dal negozio, per evitare l'ennesimo rimprovero di sua madre. Eppure, Ed Sheeran lo sapeva.
Sapeva che Finn era stato profondamente colpito da quella storia e che sarebbe tornato per risentirla. Sapeva che quella melodia che aveva sentito, l'avrebbe segnato per sempre e magari avrebbe voluto anche suonarla da sé.
Chiuse la tastiera del pianoforte, così come chiuse gli occhi, rispondendo mentalmente all'ultima domanda posta da Finn.

Giugno 1918, Ekaterinburg.

"Caro Diario,
Questa prigionia mi sta uccidendo dentro. Preferirei che mi uccidessero subito piuttosto che farmi soffrire in questo modo. Siamo tutti distrutti da questa situazione, non c'è speranza. Ma ormai ci siamo arresi alla cruda realtà e la sottoscritta Anastasija Nikolaevna Romanova di certo non ha paura di morire.
Forse un po', ma tanto tu caro diario, rimarrai segreto.
Sai una cosa? Oggi voglio raccontarti una storia bellissima. Gli altri dormono, quindi posso scrivere tranquillamente.
C'era una volta un soldato di nome Wyatt e un pianista di nome Jaeden e.."

fine.

sinfobie ; jyattDove le storie prendono vita. Scoprilo ora