capitolo otto

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La mattina seguente, Jaeden si preparò con un'estrema cura, pettinando i capelli per bene, mettendosi il suo vestito più elegante e utilizzando il suo profumo preferito. E dire che doveva andare solo a colazione.
Era circa un mese che saltava quel pasto importante, ma da quel giorno voleva fare il possibile per non evitare Wyatt, anche se il suo cuore continuava a giocargli brutti scherzi. Jaeden aveva paura del suo cuore. Spesso quest'ultimo era in contrasto con la mente, più razionale, più attenta a non cadere nelle trappole della vita. Ma il cuore invece decideva per e Jaeden avrebbe voluto strapparselo pur di non provare emozioni che gli facevano paura, come quella che provava quando era chiuso nel labirinto degli occhi di Wyatt.
Jaeden aveva paura del suo cuore, ma quella mattina lo accontentò e scese nella sala della colazione.
Nonostante fosse presto, la sala era già piena come ogni mattina. Il pianista non era abituato a tutta quella confusione, aveva dimenticato quanto fosse fastidiosa la gente appena alzata. Il suo sguardo si perdeva tra la folla, in cerca di una divisa verde militare e i capelli perennemente arruffati che continuava a sognare ogni notte.
"Buongiorno Jaeden" Sentì la sua presenza alle spalle e balzò per lo spavento, senza voltarsi. "Buongiorno Wyatt." sussurrò piano, cercando di calmarsi con respiri profondi. Si girò lentamente verso di lui e il suo sorriso lo colpì come un mare in tempesta, come una lama tagliente dentro al petto. Faceva male da morire quel sorriso, però Jaeden sapeva già dentro di che non poteva farne a meno.
Le labbra carnose di Wyatt si schiusero ancora di più, rendendo il sorriso ancora più luminoso. Jaeden cercò di ricambiare, ma la sua anima era troppo scombussolata per mostrarsi in un gesto così semplice, così dovette limitarsi ad un mezzo sorriso che probabilmente sembrava più una smorfia.
"Tutto bene?" chiese il soldato, spegnendo quel sorriso e corrugando la fronte.
"." mormorò Jaeden, ritentando un sorriso decente.
Wyatt si rilassò e ricambiò, con gli occhi che brillavano più del solito. "Ho troppa fame! Hai già mangiato?" domandò all'altro, stiracchiando le braccia e sbadigliando apertamente.
Jaeden lo guardò quasi intenerito, scuotendo la testa in risposta.
"Allora andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, dai."
Il soldato afferrò la manica della giacca di Jaeden, trascinandolo attraverso quella folla, tentando di avvicinarsi ai tavoli sovraffollati.
"Aspettami qui." sussurrò all'orecchio del pianista, prima di scomparire tra la gente.
Jaeden ebbe un tremito per la posizione ravvicinata in cui Wyatt aveva pronunciato quelle due parole, ma anche perché quella mattina, il soldato era maledettamente bello. Mentre lo aspettava si ritrovò a pensare a quanto gli stesse bene quell'uniforme verde che faceva risaltare i suoi occhi. Si ritrovò a pensare ai suoi capelli disordinati che lo attiravano così tanto. Si ritrovò a pensare alle sue labbra, rosse come una mela da mordere, succhiare, assaporare.
Infine, si ritrovò a pensare al fatto che tutte quelle cose, le pensava ogni santa notte.
Lo vide rispuntare con un piatto e due bicchieri dall'ammasso di servi e soldati che lottavano per avvicinarsi al tavolo. "Andiamocene." pronunciò svelto, sorridendo a Jaeden che faticò ad obbedire immediatamente. "Forza andiamo!" lo incitò ancora Wyatt, muovendo il capo in direzione della porta d'uscita.
E Jaeden lo seguì, anche se dopo tutto, non aveva per nulla fame.
Il Palazzo d'Inverno era enorme, infinito. C'erano 1057 stanze, 1786 porte e 1945 finestre, un labirinto di mosaici, oro e quadri spettacolari.
Wyatt sembrava essersi ambientato bene ormai in quell'edificio, tanto da conoscere quasi tutti i corridoi. Jaeden invece, che non usciva mai dalla sua camera se non per le lezioni ad Anastasija e a Marija, non aveva mai visto quei settori del palazzo in cui il soldato lo stava trascinando.
Camminarono per svariati minuti, Wyatt davanti a fischiettare qualcosa e Jaeden pochi passi dietro in assoluto silenzio. Ad un tratto il soldato si fermò di botto e per poco Jaeden non andò a sbattere contro la sua schiena.
"Eccoci qui." sussurrò, aprendo la porta davanti alla quale si era fermato. Entrarono in una stanza piccola, quasi al buio eccetto per una finestrella alquanto malandata. Tutti i mobili erano coperti da lenzuoli bianchissimi, il pavimento di marmo era ricoperto da almeno due strati di polvere, se non di più.
Jaeden storse la bocca, in segno di disapprovazione e Wyatt rise di gusto guardando il volto dell'altro contorcersi.
"Scusa, lo so che non è una stanza lussuosa, però è una delle poche che non viene utilizzata da nessuno." spiegò il soldato, porgendo a Jaeden il piatto i bicchieri. "Tieni un attimo."
Si allontanò dal pianista per spalancare la finestra, facendo entrare così un po' di aria pulita e fresca, anche se si gelava. Jaeden rabbrividì ma cercò di non pensare al freddo, "Mi porterò qualcosa di più pesante la prossima volta." pensò tra sé e sé, come se una 'prossima volta' fosse scontata.
Wyatt prese uno di quei lenzuoli bianchi che coprivano uno dei mobili e lo tirò via, facendo alzare un sacco di polvere. Sotto quel manto, vi era un divano bianco con dei ricami in verde, che richiamava i colori del Palazzo. Il soldato si avvicinò nuovamente a Jaeden, riprendendolo per una manica della giacca. "Vieni, sediamoci." sussurrò.
Il pianista lo seguì, sedendosi accanto a lui, col piatto sulle ginocchia e i due bicchieri in mano, ma incapace di muovere un muscolo. Wyatt gliene sfilò dalle dita uno dei due, iniziando a sorseggiare il contenuto.
"Ho preso il tè nero, perché non conosco nemmeno una persona a cui non piace, quindi suppongo piaccia anche a te."
Jaeden annuì, stringendo fra le mani il bicchiere con il tè caldo come, ormai di routine, le sue guance. Guardò il piatto sulle sue gambe contenente, adesso che ci faceva attenzione, due fette di pane bianco, due di pane nero, un vasetto piccolo di marmellata e un coltello. Era completamente paralizzato, lo stomaco si contorceva e Jaeden era sicuro che nessuna forma di nutrimento sarebbe passata da lì.
Wyatt finì il suo tè nero, rattristandosi e preoccupandosi un po' per il pianista. Lo vedeva in tensione, completamente spiazzato da quella situazione, sicuramente nuova per lui. Gli tolse il piatto grande d'acciaio dalle gambe, poggiandolo sul divano e si alzò. Jaeden lo guardò stranito, mentre l'altro si avvicinava ad un altro mobile coperto da un altro velo bianco. Sfilò proprio quest'ultimo, rivelando un vecchio pianoforte a coda, non troppo piccolo che occupava praticamente metà stanza.
Gli occhi di Jaeden si illuminarono improvvisamente e un sorriso sincero comparve sul suo volto, facendo perdere qualche battito a Wyatt. Il pianista si alzò di scatto, come attirato da quel piano antico pieno di polvere.
"Ho scelto questa stanza perché sapevo che c'era questo aggeggio qua che poteva interessarti." spiegò il soldato, poggiando la mano sul pianoforte.
"E' bellissimo, è di una marca pregiata tedesca costosissima. Non ne avevo mai visto uno di presenza." mormorò Jaeden, sfiorando i tasti ormai logori del piano.
Provò a premere uno di essi, ma il suono che ne uscì era orripilante, segno che il pianoforte era scordato.
"E' la prima frase completa che ti sento dire." sussurrò Wyatt con un tono angosciato.
Jaeden staccò le dita dal piano lentamente, stringendole in un pugno. Teneva gli occhi bassi, fissi sul piano intarsiato da splendide decorazioni. "Mi dispiace. Non è colpa tua."
A Jaeden non piaceva giustificarsi, ma in quel momento sentì il bisogno di far sapere a Wyatt che non era colpa di quest'ultimo. Era soltanto colpa sua se non riusciva a pronunciare parola con gli sconosciuti, se aveva paura di sbagliare a parlare, di dire cose errate che potessero offendere la gente. Era solamente colpa sua se lo stomaco era in subbuglio ogni volta che vedeva Wyatt, se non riusciva a comunicare con lui perché troppo bloccato dalla mente. Era colpa sua se il cuore voleva ribellarsi ma non glielo permetteva.
"Perché dici così?" chiese Wyatt, sorpreso dalla risposta del pianista. Si avvicinò a lui col desiderio di sfiorargli per la terza volta la guancia, ma si limitò a carezzargli invece il dorso della mano chiusa in un pugno.
"Perché sono un disastro con le altre persone."
Jaeden sorrise amaramente, mentre regalava a Wyatt questa confessione. Il soldato restò spiazzato da essa e fece scivolare le sue dita sul polso dell'altro stringendolo dolcemente. Aveva notato il leggero tremolio di Jaeden, aveva notato la voce leggermente spezzata e in quel momento più che mai avrebbe voluto abbracciare quel ragazzo di cui conosceva solo il nome e la professione.
"Sono un soldato, so affrontare i disastri." gli disse, tenendolo stretto tra le sue dita.
Gli occhi di Jaeden si riempirono di lacrime, ma con un groppo in gola, cercò di non farle scivolare giù sulle guance. "Mangiamo?" propose per cambiare discorso, sorridendo al soldato come non aveva mai fatto.
"Mangiamo." rispose Wyatt, con le labbra distese e gli occhi luminosi come prima.
Il cuore di Jaeden batteva in 'allegretto moderato'.

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