CAMILLA

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E mi rendo conto solo dopo qualche secondo che sto praticamente stritolando Eric in un forte abbraccio di sollievo.
     Mi stacco immediatamente e mi asciugo l'ultima lacrima con il dorso della mano.
«Stai bene?» mi chiede scrutandomi a fondo.

«Ehm, sì. Posso entrare in auto?»

«Ma certo. Ti porto a casa». Mi apre la portiera e aspetta che mi siedo per chiedermela gentilmente, dopodiché si siede al posto di guida e avvia il motore. Ma con la coda dell'occhio vedo che si volta spesso verso di me per assicurarsi che stia davvero bene.

      Mi sento molto più tranquilla adesso e al sicuro nell'abitacolo dell'auto.
      La radio è tenuta a un basso volume e guardo alcuni dettagli, notando che è dotata di ogni comfort ed è anche molto pulita. Non c'è niente fuori posto ed è decisamente ampia, di un colore scuro e potente.
      È l'auto adatta ad un uomo di successo come Eric.
      Nel vano porta oggetti c'è solo il suo cellulare e sui sedili posteriori c'è la sua giacca, piegata accuratamente in due parti.
      Sono seduta con la schiena dritta e le mani in mano, sentendo i palmi leggermente sudati, ma al contempo ho la pelle d'oca e lo vedo dai piccoli rilievi che mi si formano sulle gambe scoperte.

      «Spengo l'aria condizionata?» mi dice, come se mi avesse appena letto nel pensiero.

      Annuisco e lui si affretta a premere un tasto, dopodiché abbassa di poco il finestrino dal suo lato.
      Mi vengono in mente le poche cose che Brayden mi ha raccontato di lui e gli rivolgo qualche sguardo di nascosto.
      Mi sembra un uomo del tutto tranquillo, calmo e che difficilmente perde le staffe. È stato anche molto gentile a venire fin qui solo per riportarmi a casa, quando poteva benissimo scaricare il problema a suo figlio e fregarsene. E invece è venuto. Non lo so se l'ha fatto per me o per fare un favore a suo figlio, ma è venuto in mio aiuto.
      Guardo la sua mano sinistra sul volante, l'orologio al polso e una parte del braccio scoperta perché la manica della camicia bianca è arrotolata quasi fino al gomito. Una camicia un po' stretta, aggiungerei, perché aderisce perfettamente ai muscoli delle braccia. E poi, non ha un filo di pancia. Anche da seduto, si vede perfettamente la distesa di addominali che c'è al di sotto della camicia infilata nei pantaloni classici. Ma alzo lo sguardo verso il suo viso. È anche adesso mentre guida, con il gomito dell'altro braccio poggiato sul finestrino e lo sguardo fisso sulla strada, mi sembra di vedere Brayden.
      Peccato che tra loro non funzioni a dovere, perché sarebbero un padre e un figlio davvero perfetti.

      «Scusami per il disturbo», gli dico dopo un lungo silenzio.

       «Nessun disturbo. Ma... dov'è Brayden?»

«Stamattina è uscito per cercare un lavoro e... io non dovevo andare da sola a Los Angeles» abbasso lo sguardo sulle mie gambe e tiro un sospiro.

«Ti è successo qualcosa? Qualcuno ti ha fatto del male?» chiede preoccupato.

«No, anzi, scusami se ti ho fatto spaventare. Ma... non è facile da spiegare».

«Okay, scusami tu. Non voglio essere invadente o altro».

«Non sono abituata a stare in posti molto grandi e affollati, soprattutto da sola. Mi spavento e vado nel panico, ma stamattina ho cercato di fare una prova e volevo vedere a tutti i costi un posto a Los Angeles e... pensavo di farcela. Ma mi sono sbagliata». Impreco tra me e me e spero solo che non stia pensando a quanto sono stupida.

«Questo posto almeno l'hai visto?» mi chiede a disagio. Beh, è comprensibile. Non mi conosce e sta scoprendo adesso che ho anche un mucchio di problemi.

Bad Attraction (storia incompleta) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora