Chapter fifteen

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Non so bene quale sia stato il preciso istante in cui mi resi conto di essere vittima di troppe emozioni che danzavano senza sosta dentro me, mi lasciavano immobile e intrappolato.

Audrey non l'avevo più vista se non nei miei sogni la notte, perché si sa: una persona puoi respingerla quanto vuoi, ma l'inconscio troverà il modo di farla tornare.

Scacciavo ogni suo pensiero sul nascere, così come respingevo il mio cuore ignorando la realtà.

Tutti quei pensieri vennero interrotti da mia madre che bussò lievemente alla porta della mia camera.

"Mamma, dimmi" risposi.

"Mi spieghi perché sei chiuso qui dentro da tutto il giorno?" nel frattempo entrò.

"Non mi va di parlarne..." abbassai lo sguardo.

"E' per una ragazza?" sapevo che avrebbe capito, mi conosce troppo bene.

"No mamma" tentennai sussurrando quelle parole.

"Noah, va bene se non vuoi parlarmene, però ricorda, non ignorare ne tanto meno fuggire dalle cose belle" sorrise lievemente e poi uscì dalla stanza chiudendo la porta.

12:00 am.

Pensai a quelle parole per tutta la sera mentre fissavo il soffitto sopra di me.

Siamo fatti per allontanare ciò che può danneggiarci e farci soffrire, sono le cose che amiamo di più a distruggerci.

Forse io e Audrey saremmo anche fatti per stare insieme, l'esatta metà, ma

Mi bloccai.

Ero così preso da tutti quei pensieri che la teoria dell'amore Platonico passò in secondo piano:

due anime gemelle che non possono amarsi, solo perché troppo impaurite da potersi affrontare, ecco l'amore platonico, è solo una conseguenza delle relazioni umane e di noi stessi che abbiamo poco coraggio, vediamo l'amore solamente come qualcosa in grado di distruggerci. Non siamo in grado di crederci quel poco in più per non arrenderci, è sempre più facile mollare la presa che soffrire.

E io non potevo lasciare che Platone ci facesse questo.

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