Capitolo Sesto

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   La pioggia batteva incessante, non smetteva un attimo di cadere dal cielo, arrogante si scagliava sui tetti del villaggio, quasi volesse squarciarli.
Quella pioggia così violenta risucchiava tutti i rumori esterni, la foresta era muta, incapace di ribattere a quel lungo e battente monologo del cielo.
Nel fine udito di Sesshomaru batteva solo il rumore della pioggia sul tetto, isolandolo dal resto del mondo. Tutto ciò che poteva ascoltare era quello che aveva intorno. Il saltuario crepitio del fuoco, quasi morente, e il respiro irregolare e affannoso di Kagome creavano una discordante sinfonia che lo avrebbe accompagnato tutta la notte, finché quell'umana non sarebbe tornata.
Che diavolo gli era preso? Rimanere a fare da balia ad una ragazzina umana? Continuava imperterrito a calpestare il suo orgoglio, quando anche chi solo osava pensare di farlo sarebbe stato immediatamente decapitato. Eppure, ironia della sorte, la cosa non gli importava. Si imponeva di pensarci, si ripeteva che non avrebbe dovuto avere a che fare con nessun umano al di fuori di Rin, che lui non riconosceva sentimenti al di fuori dell'odio e della smania di potere, che tutto ciò era sbagliato...eppure, nonostante se lo ripetesse come un mantra, sentiva che, dal profondo di sé stesso -quel Sesshomaru che stava pian piano riaffiorando- non gli importava più nulla, di quelle regole che si era rigidamente imposto per secoli. Quella cantilena che si ripeteva stava pian piano perdendo senso, sfumava nel passato, all'ombra di un futuro decisamente diverso.
Aprì gli occhi, non c'era nulla in quel luogo che attirasse la sua attenzione al di fuori di Kagome. Ansava, in preda alla febbre, e sicuramente anche degli incubi, visto il modo in cui si agitava. Le scivolò la pezza dalla fronte e, senza pensarci, Sesshomaru gliela rimise al suo posto. Un gesto naturale, di cui nemmeno si era accorto, ma di cui subito si pentì, maledicendosi.
Tornò con le braccia conserte, imbronciato, cercando di non pensare all'unica cosa che non riusciva a levarsi dalla testa. Quel luogo, poi, non lo aiutava per niente. Quella era la Sua capanna, il Suo odore si era impregnato persino nelle travi di legno. Era una tortura. La sua testa cercava di pensare razionalmente, mentre il suo olfatto sviluppato recepiva ogni singola particella di quel profumo così dolce...si, quella nota la conosceva bene, erano le erbe che crescevano tutte intorno al villaggio e che lei raccoglieva quotidianamente...non impazziva per quella sfumatura, il profumo delle erbe curative pizzicavano il suo sensibile naso...e poi? C'era quella nota calda, avvolgente, data dai suoi lunghi capelli corvini, che gli donava una strana calma interiore...avrebbe voluto prenderne una ciocca tra le dita e annusarli più da vicino, più intensamente, per scoprire tutte le sfumature di quel profumo caldo come il sole, come la terra...un profumo che sapeva di casa, anche se il profumo di casa sua proprio non se lo ricordava...e poi, ancora? Cosa poteva scoprire di lei, di quel suo odore che lo stizziva, lo ammaliava, lo rilassava, lo agitava...sentiva l'odore della sua pelle, bagnata dal sudore che rendeva tutto, maledettamente, più intenso...ora ci si metteva anche il suo udito, che chiaramente distingueva il suo respiro affannoso, irregolare...il battito incessante del suo cuore, che sembrava stesse per scoppiarle in petto...le gocce di sudore che le rigavano il volto...il collo...giù, fino all'incavo dei seni...
BASTA!!
Si alzò di scatto, pentendosene subito, avrebbe potuto svegliarla. Ma lei dormiva ancora, ignara del turbamento che aveva provocato in Sesshomaru.
Il demone si avvicinò ad una finestra, vi si appoggiò a ridosso in modo da non essere visto da fuori. In un luogo così piccolo e povero, quell'ammasso di odori, di rumori, lo stavano facendo impazzire più del chiasso nella foresta durante la stagione degli amori. Assurdo.
Perché? Come poteva una semplice donna umana, in preda alla febbre, immobile così vulnerabile, turbarlo in quel modo? Perché succedeva a lui tutto questo? Perché non riusciva a mantenere il controllo?
Stava per andarsene. Lo voleva? Non ne era sicuro. Ma il suo corpo era al limite, i suoi sensi lo erano ancora di più, ubriachi di Kagome. Ma doveva restare. Almeno finché l'altra donna umana non sarebbe tornata a badare a lei.
  'Che gran seccatura.'
Fece appello a tutto il suo auto controllo tornando a sedersi, stavolta più lontano dal futon, all'ombra della luce del focolare. Tentava invano di fuggire, ma l'odore di Kagome era ovunque, il battito del suo cuore rimbombava nella sua testa, annullando qualsiasi pensiero. Sperò soltanto di non impazzire prima dell'alba.

L'Amore è un Gioco PericolosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora