Era come se tanti pezzetti di vetro fossero entrati nella caviglia, e ad ogni singolo movimento grattavano la carne viva. Non avevo il coraggio di abbassare gli occhi per vedere come era la situazione. Dopo il bacio di Miriam e il breve momento di forza che mi aveva permesso di essere ancora vivo, mi sentivo sfiancato. Avevo vissuto per anni in un palazzo in cui, al minimo graffio, orde di medici venivano a curarmi. L'idea di non sapere cosa fare per quella caviglia mi preoccupava, ancora più del dolore. Ero appoggiato alla spalla di Samuele e di Miriam, e zoppicando sulla gamba buona andavamo avanti. Presto saremmo usciti dal bosco, mi avevano detto: la nostra prossima meta era la Città dei Denti, oscura ma anche affascinante cittadina, ai piedi delle montagne Canine.
Era tardo pomeriggio quando arrivammo alla porta trionfale d'ingresso, attorniata dalle piccole mura di cinta. Mi resi conto che c'era qualcosa che non tornava.
Chi governa sa, che la sicurezza è importante. Da un lato le montagne proteggevano la città, dall'altra c'erano queste piccole mura, che non avrebbero di certo fatto paura ad un esercito serio, ma che erano sufficienti per difendersi dai saccheggiatori. Eravamo in terra di nessuno e nessun signore aveva mai osato portare eserciti in quest'isola. Ognuno si faceva giustizia da sè, ognuno aveva le sue leggi, e solo nelle città come Lionnas o Denti, c'era un minimo di civiltà. Eppure di fronte alle porte non c'era una guardia, anzi, non c'era proprio anima viva. Le porte erano spalancate, ma dall'interno proveniva un silenzio spettrale.
Le fiaccole erano accese e un po' riluttanti decidemmo di entrare. Superammo le porte di legno e ci trovammo in una piazza di porfido. Al centro una fontana da cui zampillava acqua. Le finestre delle case di legno e mattoni erano tutte accese, ma non c'era anima viva. Tutto suggeriva che lì vi abitassero molte persone. Eppure non c'era nessuno. Mi sedetti zoppicando vicino alla fontana, e mi avvolsi nel mantello. Cominciava a salire il freddo.
-Vado a fare un giro di perlustrazione- disse Samuele. Prima che io e Miriam potessimo dire qualcosa, il piccolo monaco divenne invisibile e sparì. Era il più adatto tra i tre a svolgere quel compito. I capelli paglierini erano disordinatamente legati sulla nuca. Aveva spostato i suoi occhi smeraldini sulle strade e le vie deserte, alla ricerca di una qualche forma di vita. Si era seduta vicino a me e aveva tirato un sospiro.
-Come va la caviglia?- mi chiese lei senza attendere una risposta. Si chinò e mi toccò. Le sue mani erano gelide. Rabbrividii sia per il freddo che per il dolore.
-Scusami- disse lei guardandomi. Disse quelle parole chiaramente sentendosi in colpa, non solo per quel tocco innocuo, ma per il litigio di prima, che ci aveva portato a dividerci.
-E' quello che mi merito per la vita che ho fatto fino ad adesso- risposi. Era un bene che fosse successo tutto quello. Avevo aperto gli occhi, avevo capito qualcosa in più. La vita non era questione di noia o non noia. Avevo un compito da portare avanti nel mio piccolo. Un compito che ora non conoscevo ancora, ma che il gufo sacro mi aveva indicato. Lo avrei scoperto man mano, con calma e con il tempo.
-Non so. Non credo le cose funzionino in base a quello che ci meritiamo. Alcune cose succedono, sta a noi adattarci. E' questa la forza di noi esseri umani e di noi ninfe- disse lei con un sospiro.
-Ma voi ninfe credete in qualcosa?- chiesi io incuriosito.
-Noi crediamo nella Vita, che non finisce mai, come il fiume nasce da una sorgente d'acqua, scorre a valle e finisce nel mare, la vita scorre in noi in diversi modi, si modifica a volte tanto da non renderla riconoscibile. Anche nella morte c'è Vita. Ma questa è una banalità, lo sanno tutti- disse lei tirandosi in piedi e guardando oltre le mie spalle.
Ruppe il silenzio un miagolio. Dalla porta di ingresso era sbucato un gatto nero. Sinuoso ed elegante era scivolato pian piano nella piazza e avanzava lentamente fissandoci. Miriam estrasse il pugnale in sua direzione, ma il gatto non arrestò la sua camminata. Si avvicinava guardandoci, come se ci volesse sfidare. Tutto ad un tratto Miriam non era più tranquilla, era tesa e pronta per scattare. Non capivo, ma mi fidavo di lei. Estrassi anche io il mio pugnale. Quel gatto non era semplicemente un gatto. Era improvvisamente calato il silenzio e lo stesso freddo che aveva investito prima me, lo sentivo provenire da quell'animale. A pochi metri da noi si fermò. Miriam in guardia. Tutto ad un tratto mostrò i denti affilati, impiantò gli artigli nel terreno. Un cerchio di luce si disegnò nell'aria, sopra il felino. Miriam fece qualche passo indietro e si avvicinò a me, come per proteggermi. Mi vergogna di me stesso. Ero un peso se non mi davo da fare, se non mi rendevo utile in qualche modo. Ma mentre pensavo questo, la luce investì il gatto, che pian piano si trasformò, crescendo e diventando sempre più grosso. Sempre più nero. Sotto i nostri occhi stava diventando un puma.
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[CONCLUSO] Il Principe Oscuro - La Maledizione dei 12 Jano [SAGA]
خيال (فانتازيا)Tutti a corte sanno che la causa degli strani incidenti a palazzo è Elia, il secondogenito della famiglia reale: gli alloggi dei servitori in fiamme, i cavalli reali mutilati dall'acido, la distruzione delle statue nel parco reale. Ma per il Princi...